Ricorre oggi l’anniversario della morte di Pietro Ingrao. Lo ricordiamo attraverso una recensione pubblicata sul numero 5 di “Critica Marxista” nel 2015
Rileggere in volume unico due tra gli scritti di Ingrao più famosi, è un invito da accogliere con favore, e non solo per rendere omaggio al dirigente comunista scomparso il 27 settembre di sei anni fa.
I due lavori riuniti in volume (Pietro Ingrao, Masse e potere. Crisi e terza via. Intervista di Romano Ledda, introduzione e cura di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2015) comparvero, separatamente e sempre per Editori Riuniti nel 1977 e nel 1978, anni di cui protagonista fu il Pci che, com’è noto, nelle elezioni politiche del 20 giugno del 1976 aveva fatto registrare una straordinaria avanzata elettorale. Sulla spinta della quale si era determinata la scelta di Ingrao come presidente della Camera dei deputati (eletto il 5 luglio del 1976 e in carica fino al 1979).
Quindi fu proprio Ingrao a vivere quei due anni nel rispetto del ruolo ricoperto, ma con quella che egli stesso definì in un altro luogo “una passione per la politica che è […] tenace dentro di me”.
Masse e potere è una raccolta di scritti e interventi stesi fra il 1964 e il 1977. Organizzati in tre parti, i saggi affrontano tematiche che vanno dall’analisi della politica della Democrazia Cristiana ai fatti di Cecoslovacchia del 1968, dal rapporto fra democrazia e socialismo al nesso Stato-partiti negli anni Settanta.
Fra questi scritti compare il saggio intitolato L’indimenticabile 1956, che è il testo di una lezione tenuta nel 1971 nell’ambito del seminario “Momenti e problemi di storia del Pci”. Dal XX Congresso del Pcus all’VIII del Pci passando attraverso i fatti di Polonia e di Ungheria, la crisi di Suez, le elezioni amministrative del giugno e l’incontro di Pralognan, Ingrao sviluppa un ragionamento finalizzato a mettere in evidenza le particolarità determinate nel mondo socialista dall’epoca post-staliniana, il tramonto del vecchio colonialismo e l’emergere di nuovi Stati (ma anche di nuove forme del colonialismo stesso), il declino del centrismo in Italia e la comparsa di nuovi modi di essere del capitalismo destinati a sottoporre a profonde novità il quadro politico e sociale italiano.
A proposito di quest’ultima questione, sollecitato da Bobbio intorno a una possibile alternativa alla democrazia rappresentativa, il dirigente comunista non sembrava avere dubbi indicando nella saldatura fra la stessa democrazia rappresentativa e la democrazia di base la soluzione della questione: la democrazia di massa. Che essa potesse presentarsi come auspicabile soluzione era, secondo Ingrao, possibile prendendo come riferimento la Costituzione, e in modo specifico il suo art. 3 che, sottolineando “una contraddizione di fondo tra l’assetto della società e il pieno sviluppo della persona umana” (p.140), rimanda non soltanto alla riflessione intorno all’esperienza storica attraverso la quale si è pervenuti alla Costituzione stessa, ma soprattutto a quell’incompiutezza che rende la democrazia moderna potenzialmente sovversiva.
Di notevole importanza sono, inoltre, le considerazioni ingraiane intorno al pensiero di Gramsci e i suoi interventi intorno a una discussione che fu molto accesa nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso: sono conciliabili egemonia e pluralismo? Nel libro compare (pp. 148-158) l’intervento di Ingrao al seminario di studi organizzato a gennaio del 1977 presso la scuola di partito delle Frattocchie, al quale si collega un articolo scritto da Ingrao per «Rinascita» (3 dicembre 1976) e intitolato Discutendo di questa ”parolaccia” che è l’egemonia, nel quale, rispondendo a Craxi, ancora una volta a Bobbio e a Zaccagnini, l’appena eletto presidente della Camera affermava, in polemica con i suoi interlocutori, che la democrazia di massa doveva essere la realizzazione di un progetto egemonico fortemente vincolato alla democrazia politica, al pluralismo e alla molteplicità delle realtà politiche in campo.
Il libro-intervista curato da Ledda propone già dal titolo il tema centrale: crisi e terza via. Certamente, come ricorda Guido Liguori nell’Introduzione, non si tratta della terza via di cui parlarono Giddens e Blair un ventennio più tardi, negli anni Novanta del Novecento, bensì della ricerca operata dal Pci, soprattutto con la segreteria di Berlinguer, di un socialismo nuovo, un socialismo in grado di coniugarsi con la democrazia politica senza gettare a mare la propria tradizione. Ancora una volta era Gramsci il punto di riferimento di Ingrao: lo “spirito di scissione” di cui scrive nel carcere il comunista sardo aveva necessità di esprimersi nella forma del mito (scrive Gramsci: «Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico, la prima condizione del quale è l’esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umana», in A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1975, p. 333, ossia Quaderno 3, nota 49); questa necessità, nota Ingrao, è durata più a lungo del previsto in quanto l’orizzonte di lotta è andato globalizzandosi (il testo recita “è divenuto planetario”: non sembra una sollecitazione attualizzarlo nei termini della globalizzazione). Questo ha comportato il manifestarsi di un fronte sempre più ampio in cui i subalterni (in questo caso il testo recita “il movimento operaio”) e la loro soggettività hanno “dovuto fare i conti con la profonda diversificazione delle storie nazionali, delle culture, delle civiltà” (p. 353).
Per quanto i due libri possano risultare imperniati su tematiche in parte riconducibili a un tempo storico passato, nella realtà si tratta di pensieri che possono essere “tradotti” facilmente nell’ottica di una riflessione sull’attualità, almeno per chi cerca le strade per oltrepassare il restringimento odierno della democrazia, che sta portando a morire la politica e la partecipazione, fatto da cui si origina quella tensione della politica che è la stessa che fece scrivere Gramsci contro “gli indifferenti”.
Lelio La Porta
articolo apparso sul n. 5 di “Critica Marxista” del 2015