La crisi in Ucraina sta riproponendo una contrapposizione che un tempo ormai remoto sarebbe stata politica e ideologica; prima della caduta del muro di Berlino e della dissoluzione dell’URSS una crisi simile si è verificata quando Kennedy puntò i missili su Cuba in quanto avamposto comunista a poca distanza dalla Florida.
Ma l’URSS si è dissolta, sostituita da stati indipendenti, e la Russia di Putin, in cui il potere economico è in mano ai ricchissimi oligarchi e il cui modello politico non ha più nulla di comunista, corrisponde invece a una dittatura che appoggia e fomenta quei movimenti nazionalisti utili ai suoi scopi, oltre ad aver dato una bella mano di sostegno alla campagna elettorale di Trump.
Dall’altro lato, Biden è in chiara difficoltà politica interna, specialmente dopo la vergognosa fuga dall’Afghanistan, deve recuperare consensi, mostra i muscoli e fa il protettore dell’oppressa Ucraina, che vorrebbe tanto entrare nella NATO ma, poverina, le viene impedito.
Lascio a compagni molto più addentrati di me nella dinamica dei fatti e delle politiche economiche una analisi approfondita, ma la situazione di pericolo per la pace è evidente a tutti, come pure la necessità di riattivare un consistente movimento pacifista per fermare l’escalation simmetrica dei due colossi militari, che sono parimenti arroganti nel minacciare l’utilizzo di missili, armi, guerra, schieramento di navi, lancio di questo e di quello, con media che trasmettono filmati di individui armati che si addestrano nel fine settimana, intrisi di retorica patriottarda.
Da queste premesse, l’idea di lanciare una raccolta di firme su CHANGE.ORG, da indirizzare al Presidente della Repubblica in quanto garante della Costituzione, che dice ben chiaro: l’Italia ripudia la guerra.
Segnaliamo inoltre l’iniziativa dei sindacati per una manifestazione che si terrà nella mattinata del 26, di cui pubblichiamo il documento.
Segnaliamo il documento siglato dall’ANPI Nazionale, che programma iniziative concrete.
Segnalo anche l’appello di Francesco Bergoglio ad una mobilitazione pacifica e pacifista.
FACCIAMO FARE LA VOCE GROSSA ALLA PACE
Chiediamo al Presidente della Repubblica, in nome della Costituzione Italiana ove si dice chiaramente “l’Italia ripudia la guerra” di esprimere con un messaggio esplicito e chiaro questo dettato costituzionale.
Riteniamo che le prove di forza e l’escalation simmetrica dei due contendenti siano dettati da motivazioni economiche e di prestigio in politica interna.
Niente di tutto questo è più importante della PACE.
La PACE deve avere una voce e deve essere una voce imponente. Perció è necessario che tutti ci muoviamo a darle una voce, che AIUTIAMO LA PACE A FARE LA VOCE GROSSA, in modo da coinvolgere più persone possibile in un movimento pacifista.
Chiediamo a tutti coloro che ODIANO LA GUERRA e tutto il suo apparato di armi tradizionali, nucleari, bianche, nere, di prima o di ultima generazione, tutte buone a uccidere e distruggere, Chiediamo a tutti coloro che vedono nel GIOCO AL RIALZO tra potenze militari una pericolosa minaccia alla pace, di FIRMARE QUESTO APPELLO per spingere il nostro Presidente della Repubblica a dare la sua voce autorevole per sostenere la PACE.
Apprezzo e condivido la proposta di Flavia di farsi promotori di una iniziativa sul tema della pace. Ritengo sia un nostro assoluto dovere aprire un confronto su questo tema. Credo però che questa proposta sia parte dell’analisi di una realtà complessa che non può avere risposte semplici o, quantomeno, non solo quelle. Il rischio è quello di cadere in luoghi comuni e retorica che non aiutano il nostro percorso. Condivido ed apprezzo i richiami sulla nostra chat a quanto peso avesse il movimento pacifista negli anni ‘70. Quegli anni hanno rappresentato per gran parte di noi un percorso formativo essenziale ed irrinunciabile. Da allora però la rivoluzione liberista ha costruito la sua apoteosi culturale e comunicativa ed ha anestetizzato le coscienze di tanti, situazione che constatiamo quotidianamente anche nelle difficoltà ad allargare quella platea che vorremmo sensibile alle nostre idee e ai nostri progetti.
E’ in questo contesto che diventa essenziale la consapevolezza delle motivazioni apparenti e reali che governano questi “episodi” sempre più frequenti e preoccupanti. Non si tratta infatti di schierarsi né, almeno per me, sarebbe possibile scegliere tra le pretese egemoniche del capitalismo russo, cinese o statunitense. Ma il concetto di pace perde astrattezza solo se viene contestualizzato affrontando i temi che la minano.
Nel 1950 il National Security Council produsse ed in tutta segretezza sottopose alla firma dell’allora presidente Truman un documento denominato NSC-68 che definiva le strategie da adottare nell’ambito della Guerra Fredda. Solo venti anni dopo il documento venne reso pubblico ed è interessante leggerlo citato in una recente intervista rilasciata da Noam Chomsky a CJ Polychroniou e recentemente apparsa online. E’ opportuno citarne qualche passo pur anticipando una traduzione certo non esemplare ma comunque chiara:
“Le raccomandazioni politiche di NSC-68 sono state ampiamente discusse dagli studiosi, pur evitando la retorica isterica. Si legge come una favola: il male finale di fronte alla purezza assoluta e al nobile idealismo. Da una parte c’è lo “stato schiavo” con il suo “progetto fondamentale” e la sua intrinseca “coazione” a ottenere “l’autorità assoluta sul resto del mondo”, distruggendo tutti i governi e la “struttura della società” ovunque. Il suo ultimo male contrasta con la nostra assoluta perfezione. Lo “scopo fondamentale” degli Stati Uniti è assicurare ovunque “la dignità e il valore dell’individuo”. I suoi leader sono animati da “impulsi generosi e costruttivi e dall’assenza di cupidigia nelle nostre relazioni internazionali”, che è particolarmente evidente nei tradizionali domini di influenza degli Stati Uniti, l’emisfero occidentale.
Chiunque avesse familiarità con la storia e l’attuale equilibrio del potere globale in quel momento avrebbe reagito a questa performance con totale sconcerto. I suoi autori del Dipartimento di Stato non avrebbero potuto credere a quello che stavano scrivendo.”
In merito alle potenze emergenti:
“Il Consiglio Atlantico descrive la formazione del Nuovo Asse come un “cambiamento tettonico nelle relazioni globali” con piani davvero da far “girar la testa”
Il “cambiamento tettonico” non è un mito e rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti. Minaccia il primato degli Stati Uniti nel plasmare l’ordine mondiale. Questo vale per entrambe le aree di crisi, ai confini della Russia e della Cina. In entrambi i casi sono a portata di mano accordi negoziati: accordi regionali. Se verranno raggiunti, gli Stati Uniti avranno solo un ruolo accessorio, che potrebbero non essere disposti ad accettare anche a costo di infiammare scontri estremamente rischiosi.”
In ultimo, prima ancora del mancato rispetto degli accordi di Minsk, bisognerebbe ricordare anche questo:
“La Russia fa valere problemi di sicurezza. Per gli Stati Uniti, è una questione di alto principio: non possiamo violare il sacro diritto alla sovranità delle nazioni, da cui il diritto di aderire alla NATO, che Washington sa che non accadrà.
Da parte russa, un impegno formale di non allineamento difficilmente aumenta la sicurezza russa, non più di quanto la sicurezza russa sia stata rafforzata quando Washington ha garantito a Gorbaciov che “non un centimetro dell’attuale giurisdizione militare della NATO si estenderà in direzione orientale”, presto abrogata da Clinton, poi più radicalmente da W. Bush. Nulla sarebbe cambiato se la promessa fosse passata da un gentlemen’s agreement a un documento firmato.
L’appello degli Stati Uniti difficilmente raggiunge il livello di commedia. Gli Stati Uniti hanno un totale disprezzo per il principio che proclamano con orgoglio, come la storia recente conferma ancora una volta drammaticamente.”
Apprezzo quindi e condivido l’appello di Flavia ma mi auspico si ponga la dovuta attenzione alle motivazioni e ai meccanismi che fomentano pericoli e tragedie nel solo interesse del capitale e di una egemonia criminale.
Su Facebook trovo molti post nei quali si elencano le “giuste” motivazioni di Putin rispetto a equilibri geopolitici di cui la NATO si è, da molti anni, allegramente infischiata, avanzando e accerchiando la Russia, passo dopo passo..
Tutto giusto, se non fosse che questi post a difesa di Putin sembrano scritti da persone che, siccome lo vedono contrapposto alla NATO, lo considerano come un avamposto comunista contro il capitalismo.
Una visione che ignora quanto egli sia stato alleato con personaggi come Berlusconi e Salvini, e TRUMP, e come abbia fomentato tutti i nazionalismi, e stia sparando ADESSO e non dieci mesi fa o tre anni fa, per motivi precisi, che non so intravedere, ma che rispondono alla domanda “perché proprio ora?”, che considero fondamentale per capire i fatti.
Costoro sono TUTTI capitalisti e imperialisti, tutti loro perseguono politiche economiche che prevedono la concentrazione di molto nelle mani di pochi, Putin fa uccidere le spie col polonio radioattivo nel sushi, negli USA i neri ancora muoiono ammazzati dai poliziotti, la NATO ha processato e ucciso Saddam Hussein (che era un criminale) sulla base di prove FALSE come ammesso da Tony Blair (che era un labourista cui la nostra sinistra di allora si voleva ispirare!!!), guerra in Siria, guerra in Libia, tutto quello che accade in Palestina, Erdogan, che Draghi ha definito un “utile dittatore”… onestamente, cme si fa a intravedere differenze di merito o di modo?
Nel frattempo, ci stiamo distraendo dal ricordarci che dal problema della produzione di energia e dalle emissioni che esso comporta dipende l’intero futuro del pianeta; Draghi in diretta ha appena parlato di riapertura “temporanea” delle centrali a carbone, di gas acquistato dagli USA, ma non ha detto a quale prezzo.
Gli USA hanno una lunga tradizione di generosi aiuti forniti a caro prezzo.
Hai ragione anche se non noto ridondanza di queste posizioni. In realtà non ci sono “giuste” motivazioni per le guerre. Sostituirei “giuste” con “conseguenti”. Credo anche pretestuoso il confronto tra le pseudodemocrazie liberali ed i regimi più o meno totalitari. Questo è uno scontro tra potentati globali che mirano al raggiungimento di una egemonia o, come nel caso della Nato, alla immotivata presunzione di mantenerala in un mondo completamente cambiato.
E le guerre, non solo negli ultimi decenni, costituiscono per il capitalismo uno strumento irrinunciabile.
Francamente, il gioco cui assistiamo in questo momento nei vari talk show e sui social in cui si confrontano molto spesso “tifosi” delle due fazioni, con gli atlantisti in spolvero quasi unanime, mi appassiona pochissimo, anzi mi porta a riflessioni tutt’altro che favorevoli sulla comprensione di cosa questa crisi significa. Sono assolutamente d’accordo con Flavia quando evidenzia che quello cui assistiamo è lo scontro tra due imperialismi, più simile alla situazione che portò alla prima guerra mondiale che ad uno scontro di visioni diverse del mondo. In questa vicenda non vedo parte in causa che possa vantare un “primato etico” sull’altra perché se oggi le bombe cadono (proditoriamente aggiungo io) su Kiev, da otto anni cadevano sul Donbass. Non mi interessano (in questa sede) ricostruzioni storiche complesse che lascio agli storici, sono d’accordo con Vauro non essendo né per Putin né per Zelensky ho come unico nemico la guerra, chiunque la porti. Però quello che mi sembra indubbio è che il diritto internazionale, come si è consolidato alla fine della 2° guerra mondiale, non regge più al mondo multipolare e che nozioni come “sovranità nazionale” e “autodeterminazione dei popoli” vanno ripensate e non possono essere “a geometria variabile”. Se oggi la Nato e gli USA si appellano alla integrità territoriale dell’Ucraina per non riconoscere l’indipendenza del Donbass domani non potranno opporsi (se non con il solito criterio dei due pesi e due misure) alle pretese della Repubblica Popolare Cinese su Taiwan (che è uno stato “de facto” ma non di diritto, con cui neanche gli USA hanno rapporti diplomatici formali). D’altra parte se si riconosce l’autodeterminazione del Donbass, nessuno potrà opporsi alla pretesa secessionistica della Catalogna (o anche dell’Alto Adige) con motivi eticamente condivisibili. Nel tempo del multilateralismo e della bomba H (e delle guerre a distanza) occorre passare dal Diritto internazionale degli stati sovrani a quello dei popoli, come non lo so…
I professionisti della guerra [Il canto delle sirene]
Perché le guerre scoppiano in certo modo e non altrimenti? Perché in un certo momento e non in un altro? Perché sono fautori di una guerra determinati ceti borghesi e non altri?
Non è molto facile rispondere a queste domande. Ma ciò non vuol dire che sia assolutamente impossibile, o che non sia utile cercar di fissare dei criteri per poter rispondere almeno approssimativamente, e per poter fissare quindi la linea d’azione costante che un partito contrario alla guerra in genere debba tenere per rendere impossibile le guerre in ispecie.
I socialisti affermano che le guerre sono un portato dei sistemi di privilegio. Essendo oggi classe privilegiata la borghesia, essendo il capitalismo la forma economica specifica che il privilegio ha oggi assunto, i socialisti affermano che oggi la guerra è una fatalità borghese. Ma non bisogna intendere fatalità nel significato naturalistico-matematico, come una legge assoluta. Se così fosse, la guerra sarebbe una realtà quotidiana, le nazioni capitalistiche dovrebbero essere in perenne conflitto tra di loro. Bisogna intendere fatalità nel senso idealistico, come interpretazione di una necessità, come giudizio degli uomini. Il conflitto esiste perenne, ma non è perennemente di fatto; perché tale diventi è necessaria una iniziativa umana, è necessario ci sia chi giudichi essere arrivato il momento dell’azione, il momento utile per la realizzazione di un nuovo privilegio, oppure per impedire che un privilegio acquisito decada a beneficio altrui, e la guerra scoppia. E allora nascono appunto le domande: perché scoppiano le guerre? Perché in un certo momento e non in un altro? Perché trovano i fautori in alcuni ceti e non in altri?
Queste domande furono poste a Norman Angell quando pubblicò “La grande illusione”. Norman Angell si era posto il problema della guerra da un punto di vista perfettamente e recisamente logico. Egli ragionò: la guerra è un fatto talmente enorme che è necessario supporre che gli uomini che la scatenano abbiano enormi ragioni per scatenarla e siano di queste ragioni sinceramente persuasi. Le guerre moderne nascono dal bisogno di assestamenti economici migliori per certi capitalismi nazionali: gli uomini che di questi capitalismi sono i componenti, sono in preda a una grande illusione: credono che le guerre siano economicamente proficue, che le guerre creino condizioni migliori di produzione e di scambio. Io dimostro che una guerra, dato l’assestamento attuale della produzione e degli scambi, non può arricchire nessuno, non è utile a nessuno, che in una guerra moderna non vi possono essere vincitori e vinti, ma tutti saranno vinti, cioè per tutti si abbasserà il livello di vita economica, perché il danno dell’uno sarà inevitabilmente danno dell’altro. La rivelazione, la dimostrazione matematica di questa verità deve uccidere la guerra.
Diffondetela, propagatela: quando tutti saranno persuasi, la guerra scomparirà, quanto prima questa verità avrà conquistato la maggioranza degli uomini, tanto prima la guerra scomparirà.
Si obbiettò a Norman Angell: ma credete proprio che gli uomini inizino la guerra proprio per questi motivi enormi? Essi potranno servire per far continuare una guerra già iniziata, per prolungarla, per fissare a essa dei fini. Ma le guerre scoppiano per tali e tante ragioni, che è inutile ricercarne le origini immanenti, ed è impossibile fissare le prime essendo esse sempre nuove, sempre diverse. La verità è che non si sa perché le guerre scoppino, e pertanto esse devono ritenersi un retaggio della società umana, e gli uomini devono cercare di farle, quando sono costretti a farle, nel modo migliore, più onorevole e proficuo per le nazioni cui appartengono.
Ma chi fa queste obbiezioni non è un avversario della guerra. Per i socialisti il problema non si conchiude definitivamente in questi termini.
È vero che le guerre non si iniziano per delle ragioni logicamente adeguate al fatto che sta per scatenarsi; ed è vero che queste ragioni, questi stimoli sono tali e tanti che difficilmente si riesce a imprigionarli in uno schema compiuto e definitivo. Ciò è vero perché troppo pochi sono ancora gli uomini che si preoccupino veramente di ciò che accade loro d’intorno, che si preoccupino di non lasciar aggrupparsi dei nodi che poi domanderanno l’intervento della spada per sciogliersi e faranno diventare di fatto la guerra che è immanente nella società attuale. Perché troppo pochi sono gli uomini che si sforzano di comprendere in tutte le sue complicate risorse malefiche la società cui appartengono; troppo pochi sono quelli che si propongono di trasformarla concretamente, che si propongono – nell’attesa di poterla sostituire – di imprigionarla nella rete di un intenso controllo per impedirle di far diventare troppo attivamente crudele il maleficio che rinchiude latente.
Perché c’è chi lavora sempre, continuamente per iniziare le guerre. Perché c’è chi getta continuamente delle scintille sulle polveri infiammabili, e opera fra gli uomini, e suscita dubbi, e semina il panico. Perché ci sono i professionisti della guerra, perché c’è chi dalla guerra guadagna, anche se la collettività, le collettività nazionali non ne ricavano che lutti e rovine.
I seminatori di panico sono sempre esistiti. Sono sempre esistiti i professionisti della guerra. Anche nel mondo antico. Nelle favole di Fedro se ne trova traccia.
[…]
Non basta quindi l’avversione alla guerra in genere. È necessaria un’opera di controllo assidua sulle forze perverse che tendono a iniziare le guerre, a gettare i germi di guerre future.
Due sono i compiti dei socialisti. Irrobustire sempre più il proprio movimento per sostituire le borghesie, per rendere quindi impossibile qualsiasi guerra.
Nel frattempo, controllare assiduamente quei ceti borghesi che creano le ore topiche, che giudicano in certi momenti necessaria la guerra. Il secondo compito integra il primo: non basta essere contrari alla guerra in genere, come non basta dichiararsi socialisti genericamente. Bisogna cercare di far evitare le guerre in ispecie, sventando tutti i trucchi, sventando le trame dei seminatori di panico, degli stipendiati dell’industria bellica, degli stipendiati delle industrie che domandano le protezioni doganali per la guerra economica. Poiché è pur necessario che la guerra scoppi in un certo momento, bisogna impedire che questo momento arrivi mai.
Ci sono troppe sirene che cantano le canzoni fallaci della perdizione. Bisogna educare il proletariato, ma bisogna anche imbavagliare le sirene. Troppo pochi sono gli Ulissi che si premuniscono, che essendosi fatti legare all’albero della nave, avendo fatto tappare colla cera le orecchie degli uomini della loro ciurma, passano tra il canto senza sprofondare nel baratro. Ma anche le sirene sono poche: che gli uomini di buona volontà provvedano a imbavagliarle. Fino a quando il proletariato non comprenda tutto il popolo, e non sia immunizzato, bisogna che esso almeno pensi a gettare sulla società borghese la rete del proprio controllo, per imprigionarla, per rendere impossibile un altro così enorme spreco di vite e di ricchezze.
10 ottobre 1917 Antonio Gramsci in “Il Grido del Popolo”
Grazie Lelio, Gramsci è come sempre, anche in questi tempi orribili, un faro nella notte
Sono d’accordo con i pareri espressi finora: la guerra è da condannare, e siamo facilitati nel farlo soprattutto se pensiamo alla popolazione civile che dovrà pagare, ingiustamente, le conseguenze di queste tensioni internazionali, che hanno radici profonde.
La cosa che più mi colpisce è che le guerre c’erano già sul nostro pianeta, sebbene più lontane dai confini europei (neanche troppo in certi casi), eppure gran parte della popolazione europea sembra essersi accorta solo adesso delle conseguenze delle politiche degli ultimi decenni. Mi chiedo, ci voleva una guerra in Ucraina per guardare con uno sguardo critico all’intero panorama globale? Che dire allora della guerra economica che si trovano a dover combattere quotidianamente i lavoratori, i precari, i migranti, non merita lo stesso allarme? Le lotte per rispettare le differenze di genere? La distruzione naturale del pianeta Terra? Noi siamo tra quelle persone che cercano di ricordarsi a vicenda, giorno per giorno, le conseguenze del capitalismo, di quel modo di guardare il mondo e di vivere, ma ci sono tante altre persone che non vogliono svegliarsi da questo sogno occidentale, o non ci riescono, e quindi guardano con occhi illuminati alle democrazie odierne come a quei baluardi di uguaglianza che dovrebbero essere, ma che non sono. Penso che Putin sia da condannare tanto quanto Biden, o Draghi, in termini di “uguaglianza”, soprattutto per le volte in cui hanno chiuso gli occhi di fronte alle disastrate condizioni del tessuto sociale, alla mancanza di tutele e diritti, di welfare.
La guerra che sta prendendo forma è una tremenda conseguenza di queste partite a risiko tra governance, in cui non c’è posto, spesso e volentieri, per analisi e problematizzazioni delle reali condizioni di vita della popolazione mondiale, del punto di non ritorno a cui siamo giunti per quanto riguarda la crisi climatica, del divario abissale tra fasce più povere della popolazione e i più ricchi al mondo (che hanno rimpinguato ulteriormente le proprie finanze durante questa pandemia). La cosa che più mi spaventa, e che più mi porta a ribellarmi, è proprio la mancanza di criticità politica, l’incapacità di parlare di politica sociale, e non solo di diplomazia d’alti salotti. Ce l’ho con gran parte dei media europei…
La pace è un’invenzione pericolosa, che ha permesso devastazioni e ingerenze pesantissime sul piano internazionale sotto il pretesto di “esportare la democrazia”, e sono più di cinquecento anni che si cerca di esportare la civiltà, con risultati opinabili e conseguenze terrificanti. La pace è auspicabile, ovviamente, ma non deve essere innalzata sulle spalle di nessuno.
Se l’Ucraina era il secondo paese più povero d’Europa, dopo la Moldavia, mi viene da pensare che non era “pace” quella che regnava in questo stato cuscinetto, quanto piuttosto la mancanza di prospettive di vita.
L’Unione Europea dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza, guardare a come ha smantellato gradualmente gran parte delle tutele sociali conquistate a fatica nell’età contemporanea, e dovrebbe interrogarsi sulle possibili conseguenze della disperazione sociale. “Fanno il deserto e la chiamano pace”, affermava Tacito, ai tempi dell’imperialismo romano, ora cosa possiamo dire ai tempi dell’egemonia culturale occidentale? (In crisi evidente tra l’altro… )