Der Krieg, der kommen wird / La guerra che verrà
Bertolt Brecht
Der Krieg, der kommen wird / Ist nicht der erste. Vor ihm / Waren andere Kriege. / Als der letzte vorüber war / Gab es Sieger und Besiegte. / Bei den Besiegten das niedere Volk / Hungerte. Bei den Siegern / Hungerte das niedere Volk auch.
La guerra che verrà / non è la prima. Prima / ci sono state altre guerre. / Alla fine dell’ultima / c’erano vincitori e vinti. / Fra i vinti la povera gente / faceva la fame. Fra i vincitori / faceva la fame la povera gente egualmente.
Roma Piazza Santi Apostoli
I media stanno dando una lettura assolutamente parziale e strumentale della mobilitazione di oggi, in tutta Italia, ne fanno una mobilitazione di mero appoggio all’Ucraina, di protesta contro il nuovo Zar Putin.
C’è anche questo in piazza ma il livello della nostra mobilitazione è diverso e più alto perché è una critica a tutto l’ordine mondiale basato sulla forza, è un rifiuto della santa alleanza atlantica, un rifiuto della contrapposizione obbligatoria in tifoserie. Sono sicuro di parlare interpretando bene il pensiero di tanti, compagni o meno che possano considerarsi, tra coloro che sono scesi in piazza oggi.
La citazione della poesia di Brecht non è casuale, siamo convinti che siano i popoli, i poveri, i proletari, le donne e gli uomini, quelli che perdono le guerre e questo significa che non siamo a favore di questo o di quello né che siamo equidistanti, noi siamo “oltre” si direbbe oggi, con un insopportabile lessico televisivo, o, meglio, come scrivemmo nel nostro primo documento quando parlammo di “salire in politica”, noi vogliamo salire di livello. Vogliamo essere il motore del carro disarmato della pace.
Enrico Berlinguer alla Marcia per la pace di Assisi nell’ottobre del 1983, pochi mesi prima di morire, disse:
Trattino, dunque, gli Stati; non cedano alla facile lusinga dell’intransigenza, della sfida, della provocazione. Ma, al tempo stesso, i popoli facciano sentire la loro voce, il loro peso, la loro volontà di vita. Si devono chiamare gli uomini e le donne del nostro e di tutti i paesi a guardare in faccia il pericolo che ci sovrasta; e, al tempo stesso, a individuare e fare scendere in campo le grandi, immense energie positive, costruttive e non distruttive che esistono in Italia e nel mondo. [ … ] La diplomazia dei popoli dovrà tentare di invertire la rotta seguita attualmente dalla diplomazia degli Stati. Il governo italiano, tutti i governi europei, ma anche le massime potenze, dovranno ascoltare l’ammonimento dei popoli del mondo. Questo movimento è assolutamente non monolitico e non unilaterale sul piano politico e ideale, ma proprio per questo esso è forte e impetuoso come un fiume nel cui alveo confluiscono acque di tutte le sorgenti.
Questo appello di Berlinguer, allora inascoltato, mi sembra che possa essere fatto nostro e sia la sintesi delle aspirazioni di chi oggi è sceso in piazza.
Foto di R. Bernardini