Anticipazione. Dal libro «Concerti e Sconcerti, cronache musicali 1915-’19», Mimesis
di Silvana Silvestri, Fabio Francione, Antonio Gramsci fonte il manifesto del 9 aprile 2022
Pubblichiamo l’anticipazione di «Concerti e sconcerti», un libro che raccoglie recensioni di spettacoli musicali scritti dal giovane cronista Antonio Gramsci appassionato di teatro e lirica fin dai tempi del liceo, collaboratore dell’Avanti! che aveva la sua redazione torinese in via Alfieri. Ritroviamo in quelle cronache una riconoscibile atmosfera culturale della città, anche se alcuni dei luoghi di cui si parla non ci sono più, teatri colpiti dai bombardamenti come il Chiarella di via Principe Tommaso («gioiello del liberty») diventato famoso anche per una serata futurista organizzata da Marinetti nel 1910, distrutto poi dai bombardamenti del 20-21 novembre 1942 o ricostruiti dopo essere stati distrutti da incendi come il teatro Regio nel ’36 o colpiti sia da incendi che da incursioni aeree, come il teatro Alfieri.
Dopo un primo volume dedicato ai più conosciuti scritti sul teatro (A. Gramsci, Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni 1915-1920, a cura di Fabio Francione, Mimesis) in questo secondo Concerti e sconcerti, cronache musicali 1915-1919 in uscita il 14 aprile, sono raccolti per la prima volta le cronache dedicate agli spettacoli musicali (concerti, opere, operette) con testi del 1918-1919, sinora mai attribuiti a Gramsci, sono proposti e proposti da Maria Luisa Righi curatrice del volume con Fabio Francione.
Scrive Maria Luisa Righi nella sua introduzione dove analizza precisamente i riferimenti, mette in risalto la passione di Gramsci per il teatro e la musica fin dai tempi in cui viveva a Cagliari, già cronista liceale:
«Perché quindi si ripubblicano solo ora? Per rispondere occorre fare una premessa: Gramsci non firmò quasi mai i suoi articoli, che comparivano per lo più anonimi, né pubblicò mai un’antologia di essi. I volumi che portano il suo nome – a partire dai classici Sotto la Mole, L’Ordine nuovo, Socialismo e fascismo, ecc. – sono raccolte di «attribuzioni», ovvero di articoli che i curatori hanno ritenuto scritti da lui».
Gli scritti musicali attribuiti a Gramsci in passato erano stati solo due, l’ Omaggio a Toscanini e l’altro dedicato all’esecuzione di L’Inno delle nazioni di Verdi: «Da questi primi appunti sino alle note carcerarie la musica è quindi inclusa a pieno titolo negli interessi culturali di Gramsci » e ancora: «nella sua possibilità di esprimere l’indicibile e di superare le barriere linguistiche nazionali, la musica apparve a molti giovani intellettuali come l’arte del futuro».
La lettura in ordine cronologico delle recensioni offre un panorama del programma culturale della città, dalle opere liriche alle operette, le preferenze e i decisi pareri negativi, le interessanti notazioni sugli spettacoli in tempo di guerra, che ci riportano direttamente agli ostracismi attuali nei confronti della cultura russa: così allora il pubblico si mostrava ostile nei confronti di Beethoven, che riteneva tedesco come il nemico.
Silvana Silvestri
«Gramsci. Uno spettatore di professione critico»
di Fabio Francione
[postfazione al volume «Concerti e sconcerti» cronache musicali (1915-1919) a cura di Fabio Francione e Maria Luisa Righi (Mimesis)]
Mentre si andava progettando la nuova edizione delle «cronache teatrali» è balzato immediatamente agli occhi di chi scrive la presenza nei numerosi articoli collazionati di alcune note aventi ad oggetto non la prosa, ma opere musicali, operette e vaudeville.
Chiedendo lumi a Maria Luisa Righi, che lavorava per l’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci ai testi del 1910-1916, confermò che lei stessa aveva individuato una serie di articoli di argomento musicale, sicuramente attribuibili a Gramsci, che sarebbero stati pubblicati nei volumi in corso di lavorazione. Pertanto si delineava accanto a un conosciuto Gramsci cronista teatrale anche un Gramsci inedito giornalista musicale. Da queste intuizioni ha origine il presente libro che raccoglie le puntuali cronache musicali redatte da Gramsci dalla fine del 1915 all’inizio del 1919, prima che l’attività politica lo assorbisse in modo totalizzante. Ecco dunque che si ha davanti la scoperta di un Gramsci «cronista musicale» tanto per rispolverare la felice trovata di Italo Calvino riguardante la produzione giornalistica dedicata al teatro dal filosofo sardo; quelle «cronache teatrali» poste dallo scrittore di «Ti con zero» e da Felice Platone in appendice, all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, nel volume dei Quaderni del carcere «Letteratura e vita nazionale», rappresentarono pur sui generis il primissimo tentativo di antologizzare scritti su un unico argomento. Nel caso specifico proprio quei lontani articoli, interamente dedicati a quello che oggi si conosce come spettacolo dal vivo, consegnano in prospettiva rovesciata, cioè con il cannocchiale della storia, un Gramsci pienamente inserito in quella temperie che vedeva l’intellettuale moderno, con sguardo «novissimo» a cavallo tra il XIX e il XX secolo e nei trent’anni seguenti, confrontarsi con il teatro, la musica e il cinema.
A cui vanno aggiunti il progresso tecnologico e scientifico che pure permeavano le punte più avanzate di tali forme di intrattenimento e spettacolo. Questo accadeva in Italia, perché già nell’Ottocento si avevano esempi illustri in Francia ed in Inghilterra, dove gran parte di questo sviluppo era dovuto alla grande diffusione della stampa quotidiana.
Il ritardo culturale italiano era dettato da un sostanziale disinteresse delle élite intellettuali verso gli intrattenimenti popolari. Tale svista portò a non comprendere il valore che spettacoli e concerti avevano nel mostrare i cambiamenti che avvenivano nel gusto delpubblico. Infatti, molto più di inchieste e trattati lo spettacolo teatrale di prosa o lirico-operistico tendeva a sintonizzarsi proprio sui quei movimenti sociali e sui nuovi bisogni che sommovevano larghe fasce di popolazione. Tale azione si riverberava nelle aspirazioni, soprattutto economiche, della borghesia che proprio tra Ottocento e Novecento cominciava ad occupare sempre più ampi spazi nella società e nelle istituzioni dello Stato. Anche oggi, a cento anni di distanza da quei fatti, due spettacoli teatrali (M – il figlio del secolo di Massimo Popolizio dal romanzo di Antonio Scurati e Museo Pasolini di e con Ascanio Celestini) riescono, meglio di tanti libri, a comunicare, con straordinaria lucidità di osservazione cosa sono stati quei primi 30 anni del ’900, attraversati da subitanee euforie e catastrofiche tragedie, trascinatesi in modocarsico e con qualche emersione per tutto il «secolo breve». Come si legge in questi articoli politica e cultura, attivismo e critica giornalistica non sono mai scissi per Gramsci.
Tutto ciò come detto fu assorbente e totalizzante, prima e anche dopo l’arresto. Pur con i dovuti distinguo e impedimenti dovuti alla condizione di detenuto e osservato speciale. Ed in tal senso le cronache musicali, al pari di quelle teatrali, sono inscindibili dal resto e costituiscono per l’intellettuale isolano riflessione sociologica, osservazione delle capacità del popolo di comprendere un «testo», finanche visuale, tentativo di istituire una sorta di pedagogia dello spettatore e non in ultimo procurare per sé piacere nel godere lo spettacolo. Questa è da ritenersi l’autentica novità della critica teatrale e musicale gramsciana insieme alla vocazione pedagogica e didattica da tenere sempre a mente nel leggere in modo integrale Gramsci. Tutte le cronache teatrali e musicali, a differenza del progettato libro su Pirandello nel programma carcerario di studio e pubblicazioni, potevano allo stato delle cose già indirizzare a una futura sociologia dello spettacolo.
Ovviamente riferiti alla frequentazione di teatri e sale da concerto, ben delineata nell’introduzione e nell’apparato curatoriale a essa allegato. Dunque, partecipata da Gramsci fino a quasi a lambirequell’uragano storico che accompagnò dall’uscita dalla guerra al fallimento del biennio rosso la preparazione all’avvento del futuro regime fascista. Pertanto, con l’elastico temporale della storia e ladiacronica collocazione documentale, consentita dai nuovi media, del Gramsci critico messo a confronto con la critica contemporanea si vengono a creare coincidenze che sembrano anticipare sia nelle forme sia nei contenuti singolari analogie. Di certo, non è da pensare nemmeno lontanamente a un Gramsci «influencer», ma a una possibile stratificazione del suo pensiero critico, diviso tra visione, ascolto, piacere trasferito sulla pagina come veicolo di informazione e formazione, questo sì. Per fare un paragone, le «misurazioni» marinettiane recuperate dalle riviste e dai rotocalchi settimanali dei tardi anni ’60 e ’70 risultano non più al passo con i tempi, mentre le cronache di Gramsci a una lettura attenta riescono perfettamente, sebbene gli oggetti criticati – titoli, opere, protagonisti, cantanti e autori – siano caduti per la maggior parte nel dimenticatoio della storia, a interpretare un sentire attuale in cui la professione di critico si sovrappone, anche senza mediazioni se non il puro piacere, a quella di spettatore.
Helena Morstyn, un successo completo
di Antonio Gramsci
A Torino avviene quasi sempre così: quando un artista si presenta per la prima volta, davanti al nostro pubblico, deve accontentarsi di un uditorio scarsissimo…Così è avvenuto per Helena Morsztyn che, pel suo primo concerto a Torino, eseguito lunedì sera al Teatro Vittorio Emanuele, dovette suonare dinanzi a poco più d’un centinaio di persone (…) Ma Helena Morsztyn non è soltanto una pianista virtuosa. È di più. È un’anima squisitamente dotata di senso artistico, d’emozione. La sensibilità, l’intuizione, la comprensione sono in lei costanti come la tecnica, che pur avendo raggiunto sicurezza notevole, non ostacola l’essenziale, la libera espressione dell’artista. Le sue interpretazioni sono impregnate di profonda umanità. Soffre e ama equilibratamente quello che suona. Armonizza la gioia e la commozione. Udendola ci siamo accostati all’anima di Chopin a traverso il fiume dei suoi sentimenti, delle sue nostalgie (…)
(14 giugno 1916, Teatro Vittorio Emanuele)
Puccini, i valori musicali sono pochissimi
di Antonio Gramsci
Si va a sentire, o risentire la musica di Puccini con una certa esitazione. Specialmente la Madame Butterfly, nella quale i valori musicali sono pochissimi, ma che si fa applaudire lo stesso dal pubblico, il quale si dimentica di essere andato a teatro per udire della musica, e si lascia trasportare alla commozione dal contenuto sentimentale, drammatico dell’opera, che non ha niente a che fare col suono, ridotto a semplice accompagnamento, a segno marginale, senza un tessuto suo proprio, essenzialmente caratteri stico. Ma fatte queste riserve, si può passare una serata deliziosa. Ci si abbandona agli artisti: sono questi che possono, con le qualità speciali della loro personalità, suscitare una suggestione che pur non essendo musicale, può avere il suo fascino. Come riesce a fare Gina Viganò in Butterfly. Si segue l’artista nel finissimo lavoro di sviluppo drammatico della protagonista, si sente un’anima in lei; un’anima tenue, settecentesca, in cui la bellezza è sostituita dalla grazia, la bontà dalla rassegnazione, ma sempre un’anima, alla quale si finisce per trovare naturale l’ambiente musicale che il Puccini le crea, fatto di piccole intuizioni, un po’ scolorite, un po’ snervate, da piccole anime. La Viganò s’immedesima perfettamente in questo mondo, lo rivive ridandone tutta la grazia, nella fusione della sua voce e della sua persona d’artista, senza alcuna meccanicità, senza alcun urto sgradevole, senza una stanchezza o un oblio di se stessa. E i maggiori applausi andarono a lei, che trovò del resto nel tenore Saludas, nel Sartori, nella Ferluga dei collaboratori efficaci. E questa edizione dell’opera di Puccini continuerà a trovare il successo, certamente.
(2 novembre 1916, Teatro Chiarella)
Beethoven, non possiamo che ammirare
di Antonio Gramsci
…Non siamo critici, ma cronisti. Registro più o meno banale (superfluo forse!) di entusiasmi, di emozioni profonde, di vittorie spirituali, di esaltazioni e di sensazioni. Oh! Non proviamo alcun senso di umiliazione dichiarando la nostra incompetenza critica di fronte a Beethoven. Davanti alla sua possanza che – qui l’unica ragione del nostro entusiasmo – s’alimenta da sempre e per sempre all’amore e alla giustizia, non possiamo che ammirare. Rimaniamo dominati da una ammirazione profonda, ma cosciente: non abbandono di piccole anime decadenti per le quali la musica rappresenta sollazzo raffinato. Il nostro amore per Beethoven è l’aspirazione profonda alla fraternità umana, alla giustizia, alla bellezza, al socialismo.
Che importa a noi l’analisi o la vivisezione dell’opera d’arte? Volessimo non sapremmo, per temperamento, esercitare questo mestiere; non abbiamo alcuna dimistichezza con i ferri… di esso. Solo quando il nostro cuore non avrà più palpiti, potremo consacrarci a tali fatiche, e questo giorno auguriamo non giunga. …..
Queste ore di musica che elevano l’anima al di sopra della mischia formano il più grande conforto di questi nostri giorni troppo bassi per l’umanità. Com’è possibile che questo pubblico capace di trattenere il respiro per non turbare minimamente l’esecuzione della Redenzione, e che al termine della «magniloquente perorazione finale» esplode in un applauso irrefrenabile sia lo stesso piccolo volgare, cattivo, inumano che ci circonda, che ci opprime nella vita ordinaria? (…)
(14 maggio 1916, concerto di Toscanini)