La Resistenza a Roma cominciò, dopo l’8 settembre del 1943, anche nell’VIII zona partigiana, ovvero nei quartieri compresi tra via Prenestina e via Casilina e tra via Casilina e via Tuscolana, come il Quarticciolo, Centocelle, Torpignattara, il Quadraro. Già il 9 settembre in piazza della Marranella furono distribuite le armi alla popolazione. La formazione più numerosa era Bandiera Rossa, i partigiani si muovevano liberamente, in alcuni periodi, facevano i comizi a piazza dei Mirti con la camicia rossa e il fazzoletto al collo. Quartieri appena nati, case piccole e giardini, palazzine di borgata, baracche, strade di terra e vasche per abbeverare i cavalli agli incroci, le rotaie del tram. Abitati dagli sfollati del centro, da immigrati, persone che si erano lasciate dietro strade polverose e mari per provare a migliorare le loro vite, a stare meglio, lavorare e mangiare un po’ di più.
Leonina Rondoni, scomparsa nell’aprile del 2020, era la vedova del partigiano Pilade Forcella, combattente nei Gap dell’VIII zona con il nome di ‘Adriano’. Nel quartiere di Centocelle, che nel 2018 è stato insignito del riconoscimento della Medaglia d’oro al merito civile per il contributo offerto alla lotta di Liberazione, era molto conosciuta e ben voluta. Finita la guerra la sua attività politica non si ferma. Rondoni diventa una militante del Fronte della gioventù comunista e poi del Pci. Resta molto attiva nelle lotte sociali del suo quartiere. Insieme al marito (morto nel 2013) aveva fondato, nel 2006, la sezione ANPI di Centocelle intitolata a Giordano Sangalli, uno dei più giovani partigiani dei GAP, morto nella battaglia di Monte Tancia, in Sabina, il 7 aprile del 1944.
A Leonina alcune librerie di Centocelle hanno deciso di intitolare un concorso Letterario avente come tema la Resistenza. Viene qui proposto uno dei lavori presentati nell’ambito del concorso.
“La coscienza dei vecchi e la libertà”
Via del Boccaccio è una traversa di Via Rasella. Tutto, in specie i muri dei palazzi, nei quali si notano i fori dei proiettili, ricordano quello che era lì accaduto nel marzo del 1944. Eppure, quel giorno lì, quando fui incaricato di recarmi presso l’abitazione di una coppia di anziani partigiani per intervistarli, a tutto pensavo ma non al fatto che mi sarei trovato di fronte alla Resistenza vivente, ancora pulsante e quasi emergente dai racconti di quei due protagonisti.
di Lelio La Porta
Diventava complicato distinguere, nella loro capacità di racconto, ciò che era avventura da ciò che era storia, antifascismo, lotta per la democrazia. Una cosa era chiara, limpida: avevano compiuto una scelta che aveva, in un modo o nell’altro, condizionato la loro vita rendendoli, però, meravigliosi protagonisti di una vicenda dalla quale è dipesa la mia, e non solo mia, libertà di oggi.
Li guardavo mentre parlavano; mano nella mano, tono della voce forte, determinato che lasciava intendere quanto e quale fosse stato il loro coraggio nel compiere quello che avevano compiuto. Lì, davanti a me, l’antifascismo militante, due persone nelle cui vite è radicata l’idea stessa di democrazia.
L’incontro terminò. Mi accompagnarono alla porta. Ci salutammo. Scesi in strada; mi sembrava quasi di udire il sibilo delle pallottole, le voci gutturali degli aguzzini; mi sembrava quasi di vedere la lunga fila di uomini e donne, spalle al muro, davanti ai mitra spianati dell’invasore e del suo occhiuto collaboratore. La pura immaginazione, sostenuta dal realismo di quanto mi era stato raccontato poco prima, riusciva a trasformarsi in azione, quasi che potessi divenire il protagonista di una di quelle scene, che, oggi, spesso si vedono nei film, nelle quali una sola persona ne salva migliaia. Non era possibile!
Mi restava il coraggio di quei due anziani a testimoniare della libertà vicina e realizzata. Non mi rimaneva che raccontare ad altri quello che avevano raccontato a me. Esempio, eredità, vita vissuta e vivente!