In Italia c’è una parte crescente di politici, giornalisti commentatori, conduttori di talk show, “storici” à la carte che si basano sull’aria che tira, cui la memoria storica e l’analisi conseguente dei fatti accaduti è sconociuta. Ovviamente la storia va continuamente ripensata e rivista ma non cancellata o ribaltata per le convenienze del momento.
Questo esercizio al ribaltamento della verità di solito viene esercitato un po’ su tutti gli accadimenti storici, quelli più lontani ma anche quelli più vicini. Avvicinandosi l’anniversario del lancio delle monetine a Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael, il 30 aprile del ’93, naturalmente si dimenticano tante cose che stavano dietro quell’esplosione di rabbia di una piccola folla che però, in quel momento, aveva il consenso dell’opinione pubblica.
Era il tempo di “Mani pulite” e degli avvisi di garanzia della Magistratura che avevano lo stesso effetto, per chi ne era oggetto, della ghigliottina politica e morale. Dietro a questa furia iconoclasta – favorita anche dai giornali di lorsignori – che decapitò l’intero sistema politico basato sui partiti antifascisti, c’erano tanti motivi. Uno di questi fu che il sistema che andava crollando aveva presentato un conto economico salato agli italiani. Qualche mese prima del Raphael, infatti, il governo del socialista Amato aveva presentato una Finanziaria “lacrime e sangue” facendo incursione perfino nei conti correnti degli italiani. E ciò aveva scatenato le ire anche dell’elettorato di destra, abituato a fruire di ampie benevolenze in nome della “conventio ad excludendum” politica nei confronti della sua bestia nera: i “rossi” del Pci. E che non si sentiva affatto responsabile, come al solito, per i suoi comportamenti elettorali e per i consensi dispensati nelle urne a quelli che ora chiamava “ladri”. Il Pci, per altro, era già stato suicidato da Occhetto avendolo posto sotto le macerie del muro di Berlino e del venir meno del comunismo dell’Urss e dei paesi del suo blocco politico, ideologico e militare.
Craxi era considerato dall’opinione pubblica e si era considerato – portando lì il Psi – la guardia pretoriana della “conventio” e anche di quel sistema politico che aveva prodotto l’esplosione del debito pubblico degli anni ’80 e che aveva “obbligato” Amato a fare la famigerata Finanziaria del ’92.
I socialisti craxiani erano ritenuti, e a ragione, i più disinvolti e spregiudicati nell’aver utilizzato il sistema delle tangenti non solo per finanziare il proprio partito. Craxi, infatti, fu accusato di aver preso soldi anche per sé in altri processi che si interruppero per la sua morte.
Per una serie di ragioni politiche e anche morali Craxi non è stato un eroe perseguitato, fu condannato 2 volte con sentenza passata in giudicato, è stato uno che è scappato per non andare in carcere, rifiutando di osservare la “dura lex sed lex” democratica della Repubblica. Non proprio uno statista.
Quegli anni replicarono in qualche modo un certo “diciannovismo” della destra italiana che negli anni della prima Repubblica si era nascosta nella pancia democristiana. I leghisti di Bossi si presentavano con il cappio in parlamento, Berlusconi, venuta meno la protezione di Craxi, cercò di coinvolgere Martinazzoli che dismessa la Dc andava rifondando il Ppi e anche Segni che dalla Dc prese il largo nel marzo, prima del Raphael. Alla fine, non trovando leader prestanome, il cavaliere, per difendere i suoi affari e le sue aziende, decise di mettersi a capo del rassemblement della destra in libera uscita dalla Dc allargandola verso il Msi e in altre direzioni centriste ex Dc purché anti progressiste. Una tipica operazione eversiva e populista ma d’ordine.
Le speranze che dall’inchiesta “Mani pulite” potesse scaturire un’ “Italia pulita” sono state ingenue e sopraffatte via via dal berlusconismo che ha infettato di sé un po’ tutta la politica italiana, anche certi territori della sinistra post comunista. La quale, da parte sua, ha agevolato la destra abbandonando a se stessi i lavoratori e i ceti popolari, illudendosi di poter governare e moderare il neoliberismo imperante.
Dietro le monetine del Raphael c’erano l’indignazione e le speranze dell’ “Italia pulita” ma anche il sovversivismo astuto e trasformista della destra italiana. Non era la prima volta che ciò accadeva nella storia d’Italia, quella che andò in scena era solo una replica di un deja vu, in forme nuove e con personaggi nuovi. Lo si è verificato cammin facendo nel trentennio successivo.
Ma è l’agire politico di Craxi, con il suo anticomunismo e antiberlinguerismo, che aveva covato e aperto la strada al berlusconismo populista e illiberale, tanto è vero che molti socialisti craxiani salirono subito su quel carro.
Bettino non c’è da rimpiangerlo, né come politico né come socialista. Non fu un eroe ma più semplicemente un “Ghino di Tacco”.