Secondo un sondaggio di Demopolis – riportato da Paolo Pagliaro a “otto e mezzo” di giovedì 4 maggio – il 54% degli italiani ha promosso quanto deciso sul Reddito di cittadinanza (Rdc) dal Decreto lavoro della Meloni.
Io stesso ho potuto verificare negli ultimi due anni sentendo alcuni lavoratori in Trentino, in Abruzzo e a Roma che sul provvedimento varato dal governo gialloverde nel 2019 vi era una certa diffusa contrarietà con motivazioni le più diverse ma tutte assai influenzate dalla propaganda della destra. Queste persone, come dice anche Demopolis, non sono affatto contrarie a un sostegno ai cittadini impossibilitati a lavorare, mentre altro discorso è per quelli disoccupati in cerca di lavoro. Su questi le contrarietà, almeno stando alla mia esperienza personale, oscillavano fra considerazioni sull’impossibilità di trovare lavoratori per le richieste delle piccole aziende a quelle antisolidaristiche derivanti proprio dalle proprie tribolazioni lavorative: “io mi sono alzato la mattina presto per andare a lavorare per 800 euro e facevo i turni”, “io sono ancora precaria eppure non me ne sto sul divano” ecc.
Sta di fatto che il discorso del “divano” ha fatto breccia nel profondo del corpo sociale anche in quello dei più deboli, esposti, ricattabili.
Questo per dire quanta strada la sinistra, avendo abbandonato negli anni passati le periferie sociali, deve percorrere per ricostruire una “connessione sentimentale” e un idem sentire basato sulla solidarietà di classe fra i lavoratori, fra alte e basse qualifiche, fra lavoratori stabili e precari, fra lavoratori e disoccupati ecc.
Chi ha una certa memoria dei tempi passati sa benissimo che certe spinte corporative e financo qualunquistiche sono sempre state insite nei lavoratori medesimi, ma erano quotidianamente combattute da una sinistra forte, solidale e popolare e da un sindacato altrettanto solidaristico che aveva una presa forte sui lavoratori nell’epoca fordista.
Ai motivi di fondo di un lungo abbandono se ne è aggiunto anche uno più recente e più propriamente politico. Il ministro del lavoro Orlando, con la collaborazione di Chiara Saraceno, nel novembre 2021, regnante Draghi sostenuto anche da Pd e M5s, presentò 10 punti per riformare il Rdc. Ma di essi non se n’è fatta una proposta semplice e comprensibile per contrastare in qualche modo la narrazione della destra. E, di conseguenza, su di essa non è stata promossa una campagna divulgativa apposita. Per cui i semplicismi della destra, il “divano”, hanno continuato ad avere libero corso. Ci si è limitati a dire che quel provvedimento aveva funzionato durante i mesi bui della pandemia e che andava migliorato e, giustamente, esteso.
Il pregiudizio dell’opinione pubblica non è cambiato e ha continuato a persistere; e dopo sono arrivati i post fascisti che il Rdc lo hanno semplicemente destrutturato e ridotto, perché la loro filosofia di fondo è sempre quella: la povertà e la disoccupazione è colpa dei poveri e dei disoccupati.
E quel che più deve preoccupare è che lo hanno fatto, stando sempre al sondaggio di Demopolis, con un certo consenso maggioritario degli italiani.
Una ripresa urgente dell’unità fra le opposizioni progressiste deve prendere avvio anche da questa constatazione: il punto da cui ripartire per ricostruire un fronte progressista in “connessione sentimentale” con i lavoratori e le masse popolari, è socialmente e culturalmente molto arretrato.
La destra cui si è lasciato spazio politico, sociale e culturale è quella che vediamo: corporativa, anticivile e antisociale. Come sempre del resto; e con la post fascista Meloni è al governo.
Cosa deve succedere ancora per averne piena coscienza e, di conseguenza, accelerare un’intesa unitaria su proposte alternative in un programma alternativo?
Foto di Andrew Khoroshavin da Pixabay