Tornando a Palazzo Masdoni, tra arte, cultura, storia
Piazza San Giovanni a Roma: lì ci si dava appuntamento per ascoltare i discorsi di Enrico Berlinguer ed avere le indicazioni su quale fosse la linea politica, interna ed internazionale, che il Pci intendeva assumere. Lì una comunità si incontrava e lì ascoltava il Segretario.
Le sue parole erano sempre destinate a proporre elementi fondamentali per il cambiamento dello stato esistente delle cose; i suoi ragionamenti erano indirizzati alla costruzione di un progetto alternativo rispetto a quello della nuova alienazione globalizzata e globalizzante; un progetto che vedeva i giovani in prima fila e che doveva avere come spina dorsale la coerenza con i propri principi e la discussione delle cose quali esse sono e non come vorremmo che fossero. Anche un minimo risultato positivo lungo questa strada avrebbe consentito di esclamare, come lo stesso Berlinguer al termine di una manifestazione per la pace tenutasi a Roma nel 1983: “Mi pare che sia andata proprio bene!”.
Con questo spirito, animato anche dalla memoria che appartiene a tante e tanti della mia generazione, mi accingevo a raggiungere Reggio Emilia per rispondere all’invito in occasione della riapertura di Palazzo Masdoni e del ritorno in pubblico del tavolo ottagonale. Purtroppo a causa della situazione drammatica creatasi in Emilia-Romagna fra mercoledì e venerdì, dopo essermi consigliato con alcuni degli organizzatori, sono stato costretto a rinunciare al viaggio.
Avrei dovuto discutere con alcuni giovani nell’ambito di un incontro intitolato “Chiedi chi era Enrico Berlinguer”. Non potendo parlare con loro in presenza, ho ricevuto per posta elettronica le domande che mi avrebbero posto e ho risposto con un audio.
Di seguito compaiono le tre domande preparate da Eugenio Capitani, Giulia Domenichini e Luca Spagni e l’audio di risposta.
Eugenio Capitani: Nel 2016 il referendum istituzionale promosso dal governo Renzi spezza il popolo di sinistra. In esso anche l’eredità e il patrimonio di Berlinguer, con esponenti del partito democratico che lo citano in maniera strumentale e opportunistica. Negli anni successivi, il fenomeno si acutizza e lo stesso Veltroni, autore di un celebre documentario sul segretario sardo, prosegue nella sua narrazione particolare e forse eccessivamente “piaciona”.
Oggi, con lo spettro di una nuova riforma costituzionale potenzialmente divisiva e incongruente, il nome di Berlinguer é di nuovo tornato sulla bocca di chi, anche a sinistra, vorrebbe stravolgere l’impianto istituzionale.
Ora, come è possibile preservare e valorizzare il pensiero di Berlinguer e la sua eredità senza che venga strumentalizzato a seconda di scopi e interessi?
E qual era l’effettivo pensiero dello stesso segretario in merito a riforme costituzionali così dirompenti?
Giulia Domenichini: Una o la tematica maggiore per cui è ricordato E. Berlinguer è quella del compromesso storico. Sappiamo che l’idea nasce in realtà già negli anni 50 quando Togliatti auspica l’incontro fra comunisti e cattolici accumunati secondo lui dalla comune visione nel contestare l’economia capitalista che getta sul mercato un’enorme quantità di beni di consumo subordinandone la vita sociale e dalla denuncia della solitudine dell’uomo moderno. Un pensiero dunque che parte da lontano e che viene formalizzato dal nuovo segretario quasi 20 anni dopo, nel ‘73, nel XIII congresso del partito in cui dice che solo i dilettanti della rivoluzione possono eludere il problema delle alleanze sociali e che è necessario un ampio blocco di forze sociali, politiche e ideali. E aggiunge noi non parliamo di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica cioè di una prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione cattolica oltre che con formazioni di un altro orientamento democratico. Sappiamo che fino al caso Moro Berlinguer rincorrerà questa idea del compromesso con le forze cattoliche pur non trovando spesso neppure il sostegno dei propri compagni di partito. Guardando però la storia a ritroso forse la ricerca dell’unità sotto gli ideali democratici è il più grande insegnamento che trasmette (e che rimane ancora da imparare) a noi giovani militanti d’oggi. Basti pensare che l’anno dopo la proposta di compromesso l’Italia partecipò ad uno dei più grandi referendum della storia repubblicana che vide fronteggiarsi, diametralmente opposti, cattolici e comunisti, quello sul divorzio, ma che ciò non mise in discussione un solo momento la ricerca dell’unità a riprova della superiorità dell’ideale ricercato. Se pensiamo alla situazione politica delle forze di centro sinistra degli ultimi anni o decenni è difficile individuare una idea(le) che sia stato curato ed elaborato per così tanti anni e per il quale si sia spesa la gran parte dell’attività politica di un uomo, di un segretario di partito. C’è una traiettoria storica nell’azione di quel segretario ma non qui utopica, saldamente ancorata al contesto italiano, e dalla portata talmente forte da generare, con altri fattori, una risposta dalla caratura altrettanto storica (BR, ’73 rapimento Ettore Amerio direttore del personale della FIAT, Compromesso storico o potere operaio armato: questa è la scelta che i compagni devono fare, perché le vie di mezzo sono state bruciate). Come mai oggi non riusciamo più a collocarci in una prospettiva politica temporale di questo genere? E com’era possibile farlo all’epoca? 5 anni (73-78) non sono nulla per la storia ma, se guardiamo la storia della principale forza di centro sx oggi, sappiamo che in 5 anni facciamo in tempo a cambiare, e più volte, gli organi dirigenti del partito. Li cambiamo perché non siamo più in grado di produrre prospettive di questo genere o viceversa non ne siamo più in grado perché le persone che compongono la classe dirigente attuale sono così diverse da quelle di all’epoca? E all’epoca erano davvero le persone ad essere così diverse da quelle che oggi si impegnano in politica o è la società nel suo complesso a non permettere un approccio di quel tipo oggi? Sappiamo fra l’altro che Berlinguer sostenne l’idea del compromesso storico anche come strategia preventiva alle derive istituzionali come quella che avvenne pochi mesi prima con il rovesciamento del governo Allende in Cile. La prospettiva in cui si colloca il pensiero di Berlinguer dunque non è solo lunga temporalmente ma anche larga geograficamente. Difficile pensare oggi di ragionare progettualmente di politica nazionale riferendosi a fatti oltreoceano, come se mancasse questo respiro internazionale, questa visione di una collocazione più ampia dei meri confini nazionali. I riferimenti alla politica estera non sono mai mancati nel pensiero del segretario così come l’impegno per la pace e il disarmo. Scrive sull’Unità, nell’83: Diciamo che bisogna raggiungere tappe più avanzate: il congelamento, la progressiva riduzione fino al bando completo delle armi nucleari, di quelle biologiche, di quelle chimiche. Il disarmo totale può essere considerato una utopia? Io dico di no. Tecnicamente oggi è possibile controllare il disarmo. Io dico che esso diventerà una necessità, non solo per sopravvivere, ma anche per risolvere i problemi dell’umanità a cominciare da quelli dello sviluppo. Certo oggi il mondo sembra andare in una altra direzione, ma io credo che questa che è stata una tipica utopia del movimento socialista ritorni oggi di grande attualità. L’altra mia domanda allora è: cosa è andato storto? Non tanto nei contenuti di affermazioni come questa (sappiamo che la storia del mondo poco altro è rispetto alla storia dei conflitti del mondo) ma come mai oggi non v’è partito o capo di partito che osi parlare di disarmo? Siamo diventati più realisti, in un certo senso più credibili, o solo più deboli e codardi? Nuovamente si tratta di fattori sociali o ti tratti personali? Ralf Dahrendorf, sociologo liberale anglo tedesco degli anni ’70 e più volte commissario europeo, sosteneva che la libertà è un valore, l’Europa no, intendendo con ciò che l’Unione Europa deve essere lo strumento per raggiungere e difendere quel valore di libertà e non mai piegare la libertà in nome dell’Europa. In un contesto di conflitti sempre più vicini al suolo e allo spirito Europeo, come mai oggi non sentiamo più formulare pensieri vasti che guardino oltre i confini nazionali in ottica internazionalista, che guardino non al Sud America ma per lo meno ad una Europa che si riformi e rifondi per divenire davvero finalmente strumento di libertà, democrazia e pace? Cosa è cambiato rispetto ai tempi del segretario Enrico Berlinguer?
Luca Spagni: Tra i tanti aneddoti su Berlinguer, mi ha sempre colpito un racconto particolare di sua figlia Bianca, che in un’intervista raccontò che il padre, il giorno prima delle elezioni, non riusciva a dormire per la preoccupazione che la gente non andasse a votare.
Nel confronto tra il periodo di Enrico Berlinguer e gli ultimi anni, si può osservare un calo significativo dell’affluenza e dell’interesse dei giovani verso la politica. Ad esempio, confrontando i dati di partecipazione elettorale delle elezioni politiche del 1976 con quelle del 2022, emerge una differenza notevole.
Questa diminuzione dell’affluenza si riflette, in particolare, nella disaffezione dei giovani, i quali non solo mostrano una mancanza di interesse per la partecipazione politica attiva, ma anche una generale sfiducia nel dovere del voto.
Enrico Berlinguer ha sempre avuto un forte impegno nei confronti dei giovani, come dimostrato nei suoi discorsi e interventi. Ad esempio, il suo discorso al XIX Congresso della Fgci nel marzo del 1971, il suo articolo ‘La Questione Giovanile’ nel maggio 1975 e l’intervista ‘Il riscatto dei giovani’ a Moby Dick nel giugno 1981.
Durante il periodo di segreteria di Enrico Berlinguer, si è assistito a un notevole coinvolgimento dei giovani nella politica. Quali fattori secondo lei hanno contribuito a suscitare l’interesse e l’entusiasmo dei giovani per la politica durante quel periodo? In che modo la figura di Berlinguer ha influenzato la partecipazione politica dei giovani e qual è stata la sua eredità nel coinvolgimento politico della gioventù italiana? Inoltre, se Berlinguer fosse qui oggi, cosa direbbe a un giovane appartenente alla Generazione Z?
La risposta in Audio
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