Il 15 agosto scorso su “la Repubblica” Ezio Mauro ha concluso le sette lunghe puntate – lunghe relativamente a un giornale – dedicate alla rievocazione del 25 luglio e parte degli avvenimenti successivi. Lettura interessante e non priva di notizie circa i movimenti delle “alte sfere” monarchiche e fasciste e dei reciproci rapporti e sotterfugi che le caratterizzarono in quei giorni drammatici. Il giudizio di Mauro sul re fellone, sulla classe dirigente monarchica, su Mussolini, Badoglio, d’Acquarone ecc. è netto e corrisponde alla verità storica e all’animo di un giornalista rigoroso, democratico e antifascista.
Tuttavia a mio giudizio è mancato qualcosa alla sua rievocazione, seppur nella chiave dell’indagine sulle “alte sfere”. Ed è l’atteggiamento monarchico-badogliano verso le masse popolari che pur avevano gioito alla caduta di Mussolini al grido di “Viva il re” e “Viva Badoglio” che li avevano liberati del regime fascista e da cui speravano una rapida pace.
Non sapevano che cosa li attendeva.
Fin da subito gli ordini per la repressione del popolo festante furono spietati. Il nuovo ministro degli Interni Fornaciari si affrettò ad inviare ai prefetti direttive draconiane: “È necessario agire massima energia perché attuale agitazione non degeneri in movimento comunista o sovversivo. […] Impiegare tutta l’energia per il bene della patria”. Il giorno prima, e sempre per il bene della patria, il generale Roatta, con diligente spietatezza, aveva emesso una circolare che invitava i reparti militari a procedere contro chi perturbava l’ordine pubblico “in formazione di combattimento et si apra fuoco a distanza, anche con mortai et artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche […] non est ammesso il tiro in aria; si tira sempre a colpire come in combattimento”. Le manifestazioni operaie e popolari furono stroncate con eccidi di massa. A Bari, a Torino, a Genova, a Savona a Reggio Emilia, davanti alle fabbriche o sulle piazze, si ebbero, durante i “45 giorni” 93 morti, 536 feriti e 2276 arrestati. Il vero nemico, come al solito, furono le masse del popolo e di lavoratori verso cui non era “ammesso il tiro in aria”.
Questa repressione feroce, questo atteggiamento anti popolare fu in seguito alla base del disastro dell’8 settembre. Il re e Badoglio non volevano essere disturbati dal popolo, e dai partiti antifascisti che andavano rapidamente ricostituendosi, nelle loro ridicole e risibili manovre di arrivare alla pace con gli Alleati – che poi non poteva che essere, come fu, la resa incondizionata – senza pagare il prezzo dello scontro con la Germania di Hitler.
Volevano salvare solo se stessi e il regime monarchico. La fuga vergognosa del 9 settembre non fu un accidente fu l’epilogo inevitabile e né evitato di una dinastia e di classi dirigenti che si erano prostrate al fascismo.
Immagine in evidenza: Milano – 26 luglio 1943, autore ignoto, P.D., fonte Wikimedia