Qualche giorno fa ha fatto un certo scalpore la lettera, ritrovata dall’archivista vaticano Francesco Coco, del gesuita tedesco antinazista Lothar König al segretario particolare del Papa, tedesco anche lui, Robert Leiber, sul meccanismo di sterminio in atto degli ebrei nel lager di Belzec: camere a gas e forni crematori. Situato nella Polonia orientale in quel lager furono eliminate tra le 500 e le 600 mila persone fra ebrei, russi, zingari ecc. La lettera porta la data del 14 dicembre 1942 ed è stata pubblicata sul “Corriere della sera”.
La sua importanza sta nel fatto che essa mette definitivamente una pietra tombale sulla pretesa dei difensori di Pio XII nella vexata quaestio del suo atteggiamento nei confronti dell’Olocausto ebraico basata sul fatto che il Papa non sapesse. Sapeva eccome! Che gli ebrei venissero sterminati dai nazisti gli era noto già dalle quattro relazioni di Don Pirro Scavizzi, cappellano militare, mandato nel ’41 e nel ’42 dal Vaticano ad accertarsi che cosa succedesse nelle regioni orientali, in particolare in Polonia e Ucraina. Il 7 ottobre aveva informato: “La eliminazione degli ebrei, con le uccisioni in massa, è quasi totalitaria, senza riguardo ai bambini nemmeno se lattanti. Del resto per loro – che sono tutti contrassegnati con un bracciale bianco – la vita civile è impossibile. Non possono andare in un negozio, salire in tranvai o in carrozzella, assistere ad uno spettacolo, frequentare una casa non di ebrei. Prima di essere deportati od uccisi, sono condannati a lavorare forzatamente in lavori materiali, anche se sono della classe colta. I pochi ebrei rimasti appaiono sereni, quasi ostentando orgoglio. Si dice che altri due milioni di ebrei siano stati uccisi”.
Tre giorni dopo della lettera ritrovata, il 17 dicembre ’42, gli Alleati (Belgio, Cecoslovacchia, Grecia, Jugoslavia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica e il Comitato Nazionale Francese) denunciavano con una dichiarazione solenne le infamie naziste contro gli ebrei: “Non si hanno più notizie di nessuno di quelli portati via. Coloro che sono in buone condizioni fisiche muoiono lentamente per sfinimento in campi di lavoro. Gli infermi sono lasciati morire all’aperto o per fame o sono deliberatamente uccisi in eccidi di massa. Si calcola che il numero delle vittime di queste crudeltà letali sia di molte centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, del tutto innocenti”. E alla fine aggiungevano: “I Governi suddetti e il Comitato Nazionale Francese condannano nel modo più assoluto questa politica bestiale di sterminio a sangue freddo. Dichiarano che tali eventi non possono che rafforzare la risoluzione di tutti i popoli amanti della libertà di rovesciare la barbara tirannia hitleriana. Essi riaffermano il loro solenne impegno di far sì che i responsabili di questi crimini non sfuggano alla giusta condanna, nonché di intraprendere tutte le necessarie misure pratiche affinché tale scopo sia raggiunto.”
Nel frattempo, c’erano state pressioni alleate perché Pio XII condannasse esplicitamente le infamie naziste contro gli ebrei. La risposta venne col radiomessaggio natalizio di Pacelli il 24 dicembre ’42. Non pronunciò la parola ebrei ma quella assai più vaga di “stirpe”. È evidente la sproporzione fra ciò che sapeva e ciò che fece e gli veniva richiesto a gran voce. Del resto prima degli ebrei a sperimentare i “silenzi” di Pio XII erano stati i cattolicissimi polacchi.
L’altra giustificazione dei “silenzi” pacelliani più dura a morire, accampata più volte dallo stesso Pio XII, è che se avesse condannato più direttamente i nazisti avrebbe fatto più male agli stessi ebrei – ad maiora mala vitanda – e a tutti quelli che l’azione caritatevole della Chiesa soccorreva in vario modo: nascondendoli, sfamandoli, curandoli ecc.. A questo proposito l’argomento principe che i difensori di Pacelli portano è ciò che successe agli ebrei olandesi dopo che i vescovi olandesi avevano diffuso, il 20 luglio ’42, nelle parrocchie una lettera pastorale contro le persecuzioni antiebraiche. Hitler, infatti, per rappresaglia diede l’ordine di arrestare anche tutti gli ebrei convertiti.
Il punto è che di fronte allo scontro epocale anche umanitario contro il nazifascismo Pio XII non mobilitò a fondo i cattolici. Questa mobilitazione avrebbe sicuramente fatto correre dei rischi al Papa medesimo e anche all’opera caritatevole della Chiesa ma avrebbe anche influito grandemente nell’accorciare la guerra antinazista salvando milioni di vite umane, tra cui anche quelle degli ebrei. Del resto per loro che cosa c’era di peggiore dell’Olocausto in corso?
Questa condanna esplicita del nazismo non venne neanche dopo la liberazione di Roma, in omaggio al dettato seguito fin dall’inizio della guerra di stare “al di sopra delle parti” come se nazifascismo e anti nazifascismo fossero la stessa cosa. Non si fece aspettare, invece, la scomunica del ’49 contro i comunisti.
Indro Montanelli, grande giornalista di idee non certo di sinistra, ha scritto nella sua “Storia d’Italia” di papa Pacelli: “Si può dire concludendo che fu in quei frangenti tragici più il Vescovo di Roma e il Sovrano dello Stato pontificio che il Capo spirituale della immensa comunità cattolica”.
Pio XII non fu nazista, o “Il Papa di Hitler” come titolò il suo libro John Cronwel nel 1999, ma è innegabile che verso il nazifascismo la sua azione non fu adeguata alla sua funzione e ai princìpi umanitari in ballo nello scontro in atto. In questo pesò la sua propensione anticomunista e il considerare la Germania, anche nel “male assoluto” da cui era pervasa fin dall’avvento di Hitler, un baluardo contro il bolscevismo? Certo. Come è certo che pesò anche un certo antisemitismo di cui la Chiesa di Pacelli era ancora e dogmaticamente pervasa. Non erano esagerazioni ebraiche, come pensava monsignor dell’Acqua membro della segreteria di Stato, quelle di cui il gesuita Lothar König informava Papa Pacelli.
È evidente che anche sulla questione Pio XII, di cui rimane in ballo la sua beatificazione, si gioca l’eterna partita fra rinnovatori e conservatori in Vaticano. Non a caso è stato Papa Francesco a desegretare tutte le carte relative al pontificato pacelliano durante il periodo bellico.
Una cosa appare certa: Papa Bergoglio avrebbe avuto in quei tragici frangenti un atteggiamento ben diverso e profetico consono al capo del cattolicesimo mondiale.
Immagine in evidenza: l’allora Cardinale Pacelli firma il concordato con il Reich Tedesco il 20 luglio 1933 – fonte Archivio Federale Tedesco via Wikimedia – Licenza CC BY-SA 3.0 DE