L’alluvione che si è abbattuta sulla Toscana in questi giorni è stata devastante: lutti, ingenti danni e stravolgimento della vita delle persone. Pochi mesi fa, a maggio, l’Emilia-Romagna ha subito una analoga alluvione che ha messo in ginocchio le sue popolazioni e la sua economia. Immagini drammatiche si vedono da anni: frane su case e strade; pezzi di collina e di montagna che vengono giù, strade interrotte e paesi isolati, auto spazzate via dalle acque e dal vento, coste devastate, alberi sradicati, case allagate, quartieri, casolari, aree industriali e campagne inondate, fango e detriti nelle strade e nelle abitazioni, mancanza di acqua in alcune zone, così per il servizio elettrico.
È la replica della natura alla “guerra” che le emissioni dei gas serra, l’industrialismo inquinante, la devastazione del territorio, la cementificazione, l’urbanizzazione massiccia e l’abbandono hanno condotto contro di essa fin dal secolo scorso.
Oggi, tutti sappiamo che i cambiamenti climatici provocano fenomeni meteorologici estremi, anzi, sempre più estremi. Non si fermeranno se non riusciremo a bloccare e ridurre le emissioni dei gas serra che provocano l’aumento della temperatura. Nel nostro paese, si passa nel giro di pochi mesi dalla siccità alle esondazioni dei fiumi, dagli incendi dei boschi a temporali devastanti.
Sappiamo, da tempo, che il nostro territorio è fragile e che il pianeta è entrato in una nuova epoca meteorologica dove i fenomeni sono estremi e devastanti.
Sappiamo pure cosa bisogna fare per ridurre le emissioni inquinanti e per mettere in sicurezza il territorio, le attività economiche e la vita delle persone: ci sono leggi nazionali ed europee che lo dicono.
Eppure non si è fatto, e non si fa, nulla di coerente e di strutturale.
Il motivo è che manca una decisa scelta politica che indichi la difesa programmata del suolo come la priorità delle priorità dello Stato centrale, delle regioni e dei comuni.
Quello che, viceversa, serve è agire con metodi diversi e intervenire sulle cause del dissesto idrogeologico.
Il nuovo metodo implica un’azione del governo di coinvolgimento delle popolazioni, delle forze sociali, degli enti locali, delle regioni e del Parlamento. Nessuno può e deve essere escluso dall’impegno per la difesa del suolo e nella lotta ai gas serra.
Vediamo nei fatti, come il metodo tecnocratico con cui si è formato il PNRR non funziona, perché è straniante: le scelte di merito sono sconosciute ai più,
si conoscono solo le cifre dei finanziamenti ma che non dicono molto sul cosa e come fare, sulle opere e la loro efficacia. Viceversa, occorre trasparenza e partecipazione democratica per decidere priorità, finanziamenti, tempi di esecuzione, chi fa cosa.
La scelta di merito la possiamo definire “riorganizzazione dei piani di bacino e della rete idraulica” delle città e delle campagne.
Il Parlamento e il Governo dovrebbero indicare un piano d’intervento (strumenti, finanziamenti e tempi di attuazione) per riorganizzare la rete idraulica nazionale. Finora si stanziano insufficienti risorse per riparare i danni subiti dalle popolazioni e dalle imprese, cosa sacrosanta, ma non si aggrediscono le cause del dissesto idrogeologico.
Intervenire sulle cause significa cose precise: verificare la validità dei piani di bacino e dare loro centralità nella programmazione del territorio, eliminare le opere cementizie che imbrigliano e velocizzano i corsi d’acqua, ripulitura dei fiumi, manutenzione dei fossi agricoli, aumento della permeabilità del suolo, manutenzione della rete idrica, ampliamento della portata delle tubature idriche (distribuzione dell’acqua, canali di scolo e fognature) delle città e delle campagne.
Ma quello di cui c’è assoluto bisogno, è il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle forze sociali di categoria e sindacali. Perché è da cambiare velocemente, la logica dello sviluppo economico che non può più essere guidato dal profitto di pochi che usa e degrada la natura e penalizza ora, e nel futuro, le popolazioni.
Altra scelta da fare immediatamente, è cambiare la proposta di legge finanziaria per dare priorità alla grande opera pubblica della “difesa del territorio” che interessa direttamente milioni di cittadini, miglia e migliaia di imprese e crea occupazione, permanente, per alcuni milioni di persone. Le risorse finanziarie ci sono. Si possono utilizzare: a) circa due miliardi, stanziati per il prossimo biennio, per il Ponte sullo stretto, che è un’opera inutile, tecnicamente improbabile e situata in zona fortemente sismica; b) le risorse del PNRR; c) risorse ricavate dalla lotta all’evasione fiscale; d) tassazione dei super profitti. Certamente cambiare l’indirizzo di politica economica e ambientale di questo governo di destra non sarà facile. Ma sicuramente sarà impossibile se non ci sarà una mobilitazione sociale unitaria e di massa, se le forze di opposizione non daranno alla “questione” dissesto idrogeologico la dimensione di una grande e strategica riforma e se continueranno a fare solo propaganda e non iniziativa unitaria, sociale e politica. La difesa del suolo è una battaglia strategica che si può e si deve assolutamente vincere. Non bisogna essere pessimisti ma lottare.
Articolo originariamente apparso su Strisciarossa.