Quindi bisognava uccidere e con l’obiettivo di uccidere ci si è mossi.
dalla Sentenza n. 16/85
Pubblichiamo l’estratto della Sentenza di primo grado del 1985 che ha condannato gli esecutori materiali dell’attentato del 16 giugno 1979 e ricostruisce le vicende di quegli anni.
La Sentenza di primo grado è stata, per quanto ci interessa (ricostruzione del fatto e responsabilità) confermata nel corso dei giudizi di Appello e Legittimità. È una sentenza enorme (circa settecento pagine) e di enorme importanza per la ricostruzione di quella fase della eversione fascista a Roma, si occupa di 31 reati per cui furono processati 57 imputati, a vario titolo. Il procedimento, un vero e proprio maxi-processo denominato NAR1, è stato il primo che ha affrontato organicamente quella organizzazione terroristica che si era data il nome di Nuclei Armati Rivoluzionari.
L’estratto è diviso in tre parti, la prima (metodologica) in cui vengono riassunte (ricerca nostra) tutte le citazioni dell’attentato in quella Sentenza, la seconda che ricostruisce il “fatto”, la terza che riassume le considerazioni dei giudici (il cosiddetto “diritto” o “motivi”).
Il testo integrale della Sentenza sarà presto disponibile presso l’Archivio Flamigni.
NB: il testo contiene alcuni errori di ortografia e/o di sintassi che non sono stati volutamente corretti.
Corte d’Assise di Roma, Sentenza 2 maggio 1985, R.G.n. 43/82, Sent. N. 16/85, Angelini più altri
Citazioni dell’attentato in Sentenza
Pagina del File | Pagina del Cartaceo | Note |
20 | 15 | Imputazioni |
58 | 53 | Imputazioni |
62 | 57 | Parti civili |
63 | 58 | Parti civili |
186/200 | 123/137 | Capo della Sentenza: Svolgimento del Processo, Pag. 123 / 137 (trascrizione dei fogli 186 / 200, file PDF) Nota: Descrizione del fatto, testimonianze |
233 | 170 | |
277 | 214 | Svolgimento (sequestro bombe a mano area di servizio Piave) |
312 | 249 | Furto bombe |
316 | 253 | |
317 | 254 | |
362 | 299 | Arresto V. Fioravanti / crisi dirigenza NAR |
396 | 333 | Attentato Sez. PCI Via T. Vipera 19/9/78, ferimento Mancini Claudio, Pasquale Francesco, Paolo Lanari |
403 | 340 | |
403 | 340 | |
404 | 341 | Possesso bombe |
405 | 342 | Possesso bombe / alibi V. Fioravanti |
445/454 | 382/391 | Capo della Sentenza: Motivi. Pag. 382 / 391 (trascrizione dei fogli 445 / 454, file PDF) Nota: Motivi di condanna o assoluzione |
483 | 420 | Ruolo direzionale Pedretti |
491 | 428 | |
497 | 434 | Ruolo Aronica |
543 | 480 | |
546 | 482 / 483 | Ruolo Gruppo FUAN |
562 | 498 | |
565 | 502 | |
596 | 533 | |
599 | 536 | |
607 | 544 | |
618 | 555 | |
619 | 556 | |
639 | 576/577 |
Nota di trascrizione: l’elenco comprende le pagine in cui, con la ricerca testuale dopo un passaggio in un programma OCR, si ritrovano le parole: “Esquilino” oppure “Cairoli” oppure PCI (legato a uno degli altri termini o comunque riferito all’attentato);
la prima colonna si riferisce alla pagina del file della sentenza (come viene riportato da tutti i programmi di lettura dei file pdf); la seconda colonna è il numero di pagina stampato o riportato a mano nella pagina come copiata, non c’è corrispondenza di numerazione tra file e stampato perché la sentenza è composta di diverse parti senza continuità di numerazione; la terza colonna riporta, solo per alcune citazioni, il contesto in cui si parla dell’attentato.
Capo della Sentenza: Svolgimento del Processo, Pag. 123 / 137 (trascrizione dei fogli 186 / 200, file PDF)
11. Il 16.6.79 un altro grave attentato veniva messo a segno e subito dopo siglato dai NAR ai danni di un folto gruppo di militanti del PCI riuniti in assemblea nella sez.ne dell’Esquilino in via Cairoli 131.
L’episodio, seppur meno grave, con stretto riguardo alle sue immediate conseguenze, richiamava per vari aspetti l’assalto alla sede di Radio Città Futura del 9.1.79.
Erano invero palesi, sia nel fatto in sé che nelle immediate rivendicazioni, la deliberata manifestazione di una capacità di colpire con immediatezza e sfoggio di adeguato armamento, gli avversari politici nelle loro sedi, per vendicare, in modo sommario e indiscriminato, torti subiti e ad essi genericamente attribuiti. Ma la sfida terroristica, non si fermava ancora una volta agli avversari politici, bensì si rivolgeva apertamente allo Stato e ai suoi rappresentanti.
Dal rapporto della DIGOS in data 19.6.79 (cfr.proc.to. 13/83 vol. 1, atti gen.ci fg. 4 e segg.) l’episodio veniva così ricostruito.
Verso le 19:30 del 16.6.79, mentre era in corso, nei locali della sez.ne una affollata riunione di circa cinquanta persone, due giovani irrompevano e mentre uno esplodeva dei colpi di arma da fuoco (pistola), l’altro lanciava due bombe a mano, che esplodendo ferivano ben 25 persone.
Subito dopo i due si allontanavano raggiungendo rispettivamente una Vespa color bianco e una motocicletta color verde, alla guida delle quali li aspettavano altri due, e con essi si davano alla fuga verso via Giolitti e virgola almeno uno dei due veicoli, immettendosi poi nel tunnel di S. Bibiana.
Sul luogo dell’attentato venivano recuperati 5 bossoli di pistola cal 7,65, le cuffie e le linguette di due bombe a mano SRCM da esercitazione con le scritte “lotto 1.4.76” e “lotto 10/8-4-66” e due frammenti di proiettile. Successivamente, all’interno della stessa sez.ne, veniva recuperato un sesto bossolo di calibro non stabilito, mentre due frammenti metallici venivano estratti chirurgicamente dal corpo di uno dei feriti.
Dai referti e dagli accertamenti medico legali riguardanti le 25 persone ferite, si rileva che Striano Angelo, Luciani Vincenzo e D’Agostino Rodolfo riportavo rispettivamente, ferita da arma da fuoco al gomito destro e ferite da schegge considerate guaribili in giorni 160; ferita da arma da fuoco al piede destro e lesioni da schegge, considerate guaribili in giorni 85; ferite da arma da fuoco al ginocchio destro e lesioni da schegge considerate guaribili in giorni 55. Tutti gli altri riportavano lesioni non gravi da schegge, ritenute guaribili in tempi variabili dai sei ai 15 giorni, con eccezione di D’Amico M. Rosaria, per la quale veniva diagnosticato un periodo di giorni 36.
Tra i feriti va ricordata di Paolo Matilde, la quale aveva con se la figlia di anni tre e mezzo, rimasta fortunatamente illesa.
Le indagini di polizia non approdavano nell’immediato a risultati positivi, ma già con il rapporto del 9.4.80 (cfr. vol.2 fg. 137) la DIGOS segnalava che bombe dello stesso tipo di quelle lanciate all’interno della sez. di via Cairoli erano state sequestrate in occasione dell’arresto di Pedretti Dario – avvenuto, si ricorda, il 5.12.79 (cfr. paragrafo 8 della presente narrativa) – e dell’arresto di Di Mitri Giuseppe – avvenuto il 14.12.79 in stretta connessione con la scoperta del deposito di via Alessandria (paragrafo 10 della presente narrativa).
Le rivendicazioni non si facevano attendere e rimarcavano, tra l’altro, la determinazione di vendicare Cecchin Francesco, giovane della destra deceduto, in seguito a ferite, la sera del 15.6.79 (il giorno precedente allo attentato in parola), ma non trascuravano di ricordare la morte del giovane Giaquinto Alberto, avvenuta nel corso di disordini nel quartiere di Centocelle il 10.1.79 (di cui si dirà).
Verso le ore 20,20 dello stesso giorno 16.6.79 (poco meno di un’ora dall’attentato) una voce maschile telefonava al “Il Messaggero” il seguente comunicato: “Siamo i NAR. Abbiamo colpito una sezione del PCI di via Cairoli, è stato abbattuto un compagno. Onore al camerata Cecchin, seguirà comunicato”.
Dopo una telefonata all’ANSA delle ore 3.30 del 17.6.79, veniva trovato il preannunciato comunicato che era del seguente tenore e siglato NAR: “Ieri un nucleo armato rivoluzionario ha colpito la sez.ne del PCI di via Cairoli. Eseguiamo così in parte la nostra sentenza di condanna nei confronti dei responsabili dell’omicidio del camerata Francesco Cecchin, ucciso davanti alla sez.ne del PCI di P.za Vescovio, diciamo in parte perché se ieri abbiamo colpito semplici attivisti del PCI, complici morali in quanto portatori dell’antifascismo più reazionario, domani colpiremo i responsabili materiali, già individuati e condannati (questa volta a morire). Ribadiamo ancora una volta che i nostri veri nemici sono i rappresentanti dell’antifascismo di Stato in quanto i loro mezzi subdoli (dai mass-media alla magistratura) ci colpiscono certo di più di chi ci affronta apertamente in piazza. Ma chi oggi ha riempito le galere di camerati ed ha insozzato sui giornali e alla televisione la memoria dei nostri caduti, sappia che dopo averli distrutti sapremo anche convincere la gente che quello che abbiamo fatto rientra nel giusto”.
Nello stesso testo un post-scriptum destinato a non lasciare dubbi sull’autenticità della rivendicazione: “precisiamo che sono stati sparati sei colpi cal. 7,65 e lanciate due bombe a mano del tipo SRCM da esercitazione”. Circostanza, come si è visto, conforme alla realtà accertata.
Il 2.7.79 perveniva alla questura di Roma un altro comunicato datato 19.6.79 del seguente tenore: “comunicato nr. 2. Innanzi tutto precisiamo la condanna a morte di … (il nome non risulta leggibile), responsabile del vile assassinio del camerata Cecchin. De Francesco l’infame questore pagherà personalmente. A Giaquinto non deve dimenticarlo, noi lottiamo per un’Italia più vera e non falsificandola con ignobili compromessi (vedi Ingrao-Zaccagnini). Tutti i giornalisti di regime stiano attenti, di Francesco, della sua morte sappiamo tutto e non perdoneremo a nessun mistificatore di speculare sulla morte, voluta dal PCI, di un giovane che era colpevole solo perché di destra. Onore ai combattenti nazional-rivoluzionari per l’Italia vera e giusta. NAR”.
Le informazioni raccolte dai testi e dalle vittime dell’attentato acquisivano i seguenti dati:
- Sciarra Nicolino riferiva di avere visto i due attentatori entrare e uscire dalla sez.ne. Uno gli era apparso più alto con capelli corti e biondi;
- Viola Pasquale aveva notato uno dei due (lineamenti femminei un po’ abbronzato, capelli neri e lisci, con taglio corto) armato di pistola, che aveva subito esploso dei colpi;
- D’Agostino Rodolfo aveva notato anche lui il giovane armato di pistola che aveva sparato (altezza 1,75 circa, baffi, capelli scuri e ricci). Il D’Agostino si rendeva disponibile per un esperimento di ricognizione personale nei confronti di Pedretti Dario, indiziato, eseguito il 7.7.81 (cfr vol.es.testi fg. 74) che aveva esito negativo. Tuttavia, il teste rilevava nel Pedretti una somiglianza con l’attentatore da lui sommariamente descritto;
- De Paolis Giuseppe, attirato dall’esplosione, notava dalla finestra di casa sua due giovani in fuga; uno alto circa 1,70, tarchiato robusto, capelli neri corti, raggiungeva una vespa bianca e si allontanava con un complice che era alla guida per l’arco di S. Bibiana. L’altro si allontanava nella stessa direzione a bordo di una motocicletta di media cilindrata verde scuro, con un altro alla guida;
- Pulcini Nunzio riferiva di avere visto 4 persone in fuga, 2 con dei giubotti allantanatisi verso il tunnel, e 2 con camice bianche, che si erano nascosti in un portone;
- D’Antoni Claudio, Castellucci Giorgio e Sparaciari Guido avevano notato anch’essi due giovani allontanarsi verso il tunnel;
- Colc[.. illeggibile n.d.r.]se Cesira aveva notato due giovani fuggire per via Giolitti e il tunnel, donde si erano eclissati a bordo di due motocicli (“vespe”) condotti da altri due. I due primi avevano statura di circa m. 1,70/75 – uno un po’ più basso – con capelli non lunghi.
Il 18.6.79 (due giorni dopo l’attentato) la polizia svizzera fermava al valico di Ponte Chiasso Fioravanti Valerio, Borgogelli Francesco e Pallara Enzo, trovati in possesso di una pistola cal. 7,65 mod. 70, con matricola abrasa, silenziatore e 8 cartucce, nonché alcuni foglietti di carta con il disegno della croce uncinata.
Essendo il Fioravanti Valerio indiziato (in seguito, anche in questo giudizio, si riconoscerà colpevole) del furto di 72 bombe a mano tipo SRCM sottratte il 17.5.78 dal poligono militare del “Cellina/Meduna” in località Vivaro (Pordenone), veniva inquisito per l’attentato ai danni della sez.ne del PCI di via Cairoli.
Il 20.10.79 peraltro il Fioravanti veniva scarcerato per insufficienza di indizi, essendo risultati negativi gli esperimenti di ricognizione nei suoi confronti; avendo la perizia balistica escluso che la pistola Beretta cal 7,65 mod. 70 (matricola ricostruita “B 51324W”), sequestrata al Borgogelli – che si era peraltro assunto la esclusiva responsabilità del possesso- avesse esploso le cartucce, i cui bossoli erano stati reperiti nella sez.ne di via Cairoli; e avendo il Fioravanti Valerio indotto a suo discarico le testimonianze di Bresciani Anna Maria (sua fidanzata alla data del giugno 1979) e di Mazzocchi Alda, sua vicina di casa.
Entrambe avevano riferito al GI (fg 42 e 44 vol.es.testi) che il pomeriggio del 16.6.79 il giovane si era intrattenuto con la Bresciani nel giardino di casa sua a raccogliere albicocche e [illeggibile – n.d.r.], sino alle 20 circa. Il viaggio in Svizzera con il Borgogelli, a dire della Bresciani, era stato determinato dal progetto di acquistare dei pezzi di ricambio di un impianto stereofonico in precedenza procurato in Svizzera dallo stesso Borgogelli per il Fioravanti.
Più specifici elementi emergevano successivamente dalle informazioni fornite da imputati in questo o altri procedimenti, apertisi alla collaborazione.
Nell’interrogatorio del 26.3.81 Trochei Patrizio riferiva di avere appreso dalla Mambro Francesca che l’attentato era stato compiuto da Pedretti, Aronica e Di Vittorio, oltre ad una quarta persona che non ricordava. I primi due erano penetrati nella sez.ne e, dopo avere spento le luci, avevano sparato e lanciato le bombe. Quindi si erano dati alla fuga con due “vesponi” condotti dagli altri due, che li avevano attesi al tunnel sotto la ferrovia.
L’attentato era stato compiuto per vendicare la morte di Francesco Cecchin.
A suo avviso le bombe usate erano di quelle sottratte dal Fioravanti Valerio in provincia di Pordenone (cfr vol 1/5 fg 166 e segg.).
Il dì 8.5.81 (cartella 5 vol 2/5 fg 325) il Trochei confermava al GI le dichiarazioni ora riassunte, interrogato ancora il 5.6.81 (proc.to 13/83 vol.int.ri imp.ti) ribadiva le circostanze esposte sulle modalità dell’azione – apprese dalla Mambro Francesca, allora sentimentalmente legata al Pedretti -, confermando altresì che non ricordava il nome del 4° complice materiale del fatto, forse perché non riferentesi a persona da lui conosciuta, ma che, secondo Fioravanti Cristiano, forse, era da identificarsi in Morsello Massimo.
Aggiungeva che l’attentato era stato preceduto da una riunione alla quale avevano partecipato Pedretti e Aronica, capi del gruppo gravitante presso il FUAN, la Mambro, Morsello e Di Vittorio, e altri ancora del nord, che lui non conosceva, mentre era assente Fioravanti Valerio (secondo lui allora detenuto per il furto delle bombe in provincia di Pordenone).
Nella riunione, tenutasi subito dopo la notizia della morte del Cecchin al FUAN, si era deciso – su proposta del Pedretti e dell’Aronica – la rappresaglia in danno di una sez.ne del PCI, con armi e bombe a mano, che gli stessi Aronica e Pedretti avevano indicato.
Fioravanti Cristiano negli interrogatori del 13 e 14.4.81 (cartella 5 vol 1/5) dichiarava di avere appreso dal fratello Valerio che l’attentato era stato compiuto da Aronica e Pedretti, i quali erano entrati nei locali della sez.ne; non sapeva chi era rimasto all’esterno di copertura (int.rio 13.4.81). successivamente (int.rio 14.4.81) precisava che lo stesso Valerio aveva fornito le bombe e la pistola, una 7,65 Beretta mod. 81 bifilare; di copertura era, forse, stato il Morsello.
Più diffusamente il Fioravanti Cristiano riferiva sull’episodio nell’interrogatorio del 5.6.81 (cfr. proc. 13/83 cartella 1, vol.int.ri imp.ti, fg. 19 e segg.), confermando che autori del fatto erano stati Pedretti e Aronica entrati nella sezione, in attesa dei dui con un “vespone” e una “Gilera 125” di proprietà di Bevilacqua Roberto (peraltro ignaro dell’uso che se ne faceva) erano due complici. Uno, forse, era Di Vittorio (il nome gli era stato fatto poi dalla Mambro, o dal fratello Valerio, o era emerso nel costo di una discussione sull’argomento). Del secondo, già indicato in Morsello, dichiarava di non sapere nulla, soggiungendo che la partecipazione di costui era frutto di una sua supposizione, dal momento che gli era nota l’abilità del Morsello nel condurre la motocicletta.
Confermava che le armi impiegare esano state una Beretta 81 e bombe appartenenti al quantitativo sottratto da Fioravanti Valerio a Pordenone e che lo stesso aveva messo a disposizione, precostituendosi tuttavia un alibi, essendo egli inquisito per quel furto.
Sulla preparazione e il movente dell’attentato riferiva che in seguito alla morte del Cecchin vi erano stati un forte fermento nell’ambiente del FUAN e discussioni animate e gravide di risentimento (“tutti cercavano il morto per vendicare la morte di Cecchin”).
Di tali discussioni egli era certo o per avervi assistito o per averne avuto notizie dal Valerio, che aveva egli stesso suggerito le modalità dell’azione.
Sullo svolgimento dell’azione era stato informato in seguito (a fatto compiuto) dalla Mambro e dallo stesso Valerio.
Nell’arma sequestrata al Borgogelli a Ponte Chiasso dichiarava che si trattava di una pistola sottratta nel corso della rapina ai danni dell’“Omnia Sport”, regalatagli da Valerio e da lui data al Borgogelli.
Nell’interrogatorio del 29.3.82 ribadiva le informazioni fornite sulle armi impiegate, precisando che le bombe (provenienti dal furto a Pordenone) erano state prelevate dal deposito sito nel quartiere Talenti (cfr. paragrafo 10 della presente narrativa). Confermava che l’attentato era stato oggetto di discussioni tra la Mambro, l’Aronica, suo fratello Valerio, il Morsello, il Pedretti e il Di Vittorio, i quali avevano dibattuto, anche in sua presenza, del modo di vendicare la morte del Cecchin, e ancora affermava che autori dell’azione erano stati Pedretti e Aronica, penetrati nella sezione, mentre in attesa per facilitare la fuga con il “vespone” e la moto “gilera” erano il Di Vittorio e, forse, Morsello.
Sentito il Bevilacqua Roberto (proc.to 13/82 vol.es.testi fg. 69) dichiarava di essere stato compagno di scuola del Fioravanti Cristiano e di avere frequentato saltuariamente il FUAN dove aveva conosciuto Pedretti, Di Vittorio e Morsello. Egli era effettivamente proprietario di una moto “Gilera 125” Tg. Roma 358602, che poteva avere prestato talora al Morsello come a qualche altro amico.
Ulteriori informazioni venivano date sull’episodio da Sordi Walter (proc.to 13/83, vol 3° atti gen.ci fg. 448 ter e quater), il quale dopo il suo arresto, avvenuto il 17.9.82, riferiva che l’attentato al PCI di via Cairoli era stato deliberato nell’ambiente del FUAN e che autori materiali erano stati Pedretti, Aronica e Di Vittorio. Tali notizie gli erano state date dallo stesso Aronica e dall’Alibrandi (ma la notizia era comunque scontata nell’ambiente). L’Alibrandi gli aveva anche riferito che le armi erano state procurate da lui.
Aleandri Paolo – altro militante dell’estremismo di destra – riferiva al GI (in altro procedimento) che da Scorza Pancrazio aveva saputo della partecipazione della Mambro all’assalto al PCI di via Cairoli, nel corso del quale erano state lanciate delle bombe SRCM ed esplosi dei colpi di pistola (cfr.proc, 13.83 vol.int.ri imp.ti fg.28).
Infine, Izzo Angelo (militante dell’estremismo di destra, già condannato per omicidio e violenza carnale) dichiarava al GI il 17.3.84 che aveva appreso in carcere dal Di Vittorio che l’impresa contro il PCI di via Cairoli, decisa per vendicare la morte di Cecchin era stata compita da lui stesso, Pedretti, Aronica e Morsello, quest’ultimo rimasto con le motociclette in attesa per la fuga. Il DI Vittorio aveva affermato di essere entrato nella sezione insieme agli altri due e, avendo allora i capelli lunghi, era stato scambiato per una donna, tanto che la stampa aveva parlato della partecipazione all’attentato di una donna.
Gli imputati dei reati relativi all’episodio assumevano le seguenti posizioni:
- Fioravanti Valerio, interrogato il 21.6.79 dal PM di Como (subito dopo il suo arresto a Ponte Chiasso e la consegna alle autorità di polizia italiane) dichiarava che si era recato in Svizzera per comprare dei pezzi necessari per un impianto stereo-fonico acquistato per lui in Svizzera dal Borgogelli, il quale si occupava di commercio in questo genere di articoli. Egli si trovava allora in libertà provvisoria. Il successivo 7.7 negava ogni sua partecipazione all’attentato al PCI Esquilino, ricordando che quel sabato 16.6.79 si era intrattenuto nel giardino di casa sua con la sua ragazza e che certo i vicini lo avevano visto. La sera era andato al cinema sempre in compagnia della sua amica. Successivamente ancora rifiutava di rispondere sul punto, cfr.proc.to 13/83 vol.int.imp.ti fg. 4, 11, 22 e 37). Tuttavia, nell’interrogatorio reso il 10.2.81 al PM di Padova (dopo il suo arresto in seguito all’omicidio in conflitto a fuoco di 2 carabinieri) commentava l’episodio affermando che era stato compiuto per vendicare la morte di Cecchin e che aveva rappresentato un momento proprio del cambiamento di stile nella lotta, nel quale anche il linguaggio rivoluzionario si era adattato agli schemi delle organizzazioni di sinistra (cfr. cartella 5, vol. 5/5);
- Mambro Francesca (proc.t 13/83 vol.int.imp.ti fg. 30) negava di avere partecipato in qualsiasi modo al fatto e alla sua preparazione, così come il Fioravanti Valerio, il quale le aveva detto di essersi intrattenuto quel pomeriggio con la Bresciani Anna Maria. Lei era allora impegnata quotidianamente dalle 8 alle 13,30 e dalle 15,30 alle 19,30 nello studio dell’avvocato Manzo dove lavorava. Esprimeva il suo dissenso riguardo all’azione, evidentemente decisa a caldo dai camerati, che avrebbero dovuto più coraggiosamente affrontare la polizia o colpire i diretti responsabili della morte del Cecchin;
- Pedretti Dario negava ogni sua partecipazione e rifiutava di rispondere ulteriormente;
- Morsello si rendeva latitante;
- Di Vittorio negava ogni responsabilità; dichiarava di non avere mai conosciuto Pedretti, Morsello e Fioravanti Cristiano. Aveva conosciuto di vista l’Aronica e, di nome, Fioravanti Valerio. Saltuariamente si era intrattenuto al bar Penny, vicino al FUAN;
- Aronica negava anch’egli ogni responsabilità e dichiarava di avere conosciuto il Di Vittorio, incontrato saltuariamente, mentre non aveva mai conosciuto Pedretti, i fratelli Fioravanti e Bevilacqua. Nulla gli diceva il nome di Morsello.
Il GI – a conclusione dell’istruzione del proc.to 13/83 – rinviava a giudizio Fioravanti Valerio, Morsello Massimo, Pedretti Dario, Di Vittorio Marco, Aronica Luigi e Mambro Francesca per rispondere tutti di:
A) strage aggravata (422, 110, 112 n. 1 CP)
B) detenzione e porto di armi comuni e da guerra per commettere il delitto sub A);
C) detenzione di armi per attentati alla sicurezza (artt. 21 e 29 legge n. 119/75;
D) ricettazione di armi e bombe;
il Fioravanti inoltre:
F) cessione di armi a Predetti, Aronica e Di Vittorio; [errore di numerazione presente in sentenza n.d.r.];
G) detenzione e porto di armi per commettere il delitto sub F);
H) detenzione di armi per attentati alla sicurezza (artt. 21 e 29 legge 110/75) – fatti del 16.6.79 e ant.te.
In dibattimento Trochei Patrizio (udienza 22.12.84) confermava le dichiarazioni istruttorie sulle modalità dell’azione e sui partecipanti, che confermava in Pedretti Aronica e Di Vittorio, mantenendo la riserva del dubbio circa la identificazione del quarto coautore nel Morsello. Rettificava l’informazione circa la riunione preparatoria nel senso che a tale riunione erano intervenuti il Fioravanti Valerio (che in precedenza aveva affermato in quel periodo detenuto) e lui stesso. Il Valerio aveva manifestato dissenso, non ricordava per quali motivi, ma si era detto disposto a mettere a disposizione le armi.
Si era quindi allontanato dalla riunione, seguito da lui, che in quel periodo condivideva le sue posizioni in tutto.
Circa l’esecuzione dell’azione e i partecipanti dichiarava di essere stato informato dalla Mambro, dal Pedretti e dallo stesso Valerio, cioè dalle persone che abitualmente frequentava.
Fioravanti Cristiano (udienza del 15.12. e del 22.12.84) confermava anch’egli le dichiarazioni istruttorie sulle modalità dell’azione, sui partecipanti – che ribadiva erano stati Pedretti e Aronica, entrati nella sez.ne, e Di Vittorio e Morsello che aveva condotto rispettivamente il ”vespone” e la motocicletta Gilera – e sulla provenienza delle armi (pistola e bombe a mano), che erano state messe a disposizione dal Valerio. Riguardo al Morsello, tuttavia, manteneva le riserve e i dubbi formulati nell’istruzione, affermando che aveva supposto la partecipazione di questi, avendo appreso che aveva preso in prestito nella circostanza la motocicletta dal Bevilacqua (pag. 24 udienza 15.12.84).
Confermava che la morte del Cecchin aveva creato al FUAN un diffuso sentimento di vendetta, per cui l’azione era stata decisa con l’intento di uccidere. Per tale determinazione il Valerio, messe a disposizione le armi, aveva deciso di precostituirsi un alibi. Successivamente aveva avuto modo di criticare il Pedretti perché il morto non c’era stato, non avendo il Pedretti – pur armato di una pistola cal. 7,65 bifilare – esploso tutto il caricatore.
Le bombe impiegate erano state prelevate dal deposito sito nel quartiere Talenti e doveva trattarsi di ordigni provenienti dal furto al poligono di Pordenone, cui il Valerio aveva cambiato i cappellotti, per evitarne la identificazione.
Le rivendicazioni erano state fatte, probabilmente, dal Pedretti, il quale – per il prestigio che aveva nel gruppo – curava queste cose, anche collaborato dalla Mambro e dal Valerio.
Fonte delle notizie da lui apprese erano stati il fratello, la Mambro e lo stesso Pedretti, insomma le persone che in quel periodo abitualmente frequentava, quotidianamente.
Sordi Walter (udienza del 1.3.85) confermava quanto dichiarato in istruzione, specificando che egli era stato molto amico del giovane Cecchin, che aveva incontrato nel carcere di Casal del Marmo. Il ferimento dell’amico l’aveva turbato e ripetutamente era andato a trovarlo. Parendogli in via di miglioramento aveva deciso di attuare il suo programma di imbarcarsi come mozzo, ma dopo una settimana aveva saputo per telefono dalla madre che il Cecchin era morto. Dopo un mese, rientrato dalla navigazione, si era informato dell’azione di rappresaglia che lui stesso avvertiva come esigenza insopprimibile, e l’Alibrandi gli aveva riferito dell’attentato e della partecipazione di Pedretti, Aronica e Di Vittorio.
Le armi erano parte della riserva del FUAN.
Anche l’Aronica gli aveva parlato dell’attentato, pur non specificando la sez.ne colpita, ma lui aveva dedotto che si era trattato della sez. di via Cairoli.
Izzo Angelo (udienza del 1.3.85) confermava la sua posizione istruttoria, anche in contraddittorio con il Di Vittorio, che esplicitamente lo accusava di avere tratto le informazioni dalla lettura degli atti del processo che lui stesso, per sua richiesta, gli aveva messo a disposizione. L’Izzo non negava di avere preso visione di incartamenti riguardanti questo processo per desiderio dello stesso Di Vittorio, ma contestava di avere desunto le notizie dagli atti. Le aveva apprese dallo stesso Di Vittorio e dal Pedretti.
Aleandri Paolo (udienza del 4.3.85) confermava sostanzialmente quanto riferito in istruzione, precisando che lo Scorza, militante dell’“Ordine Nuovo”, ma in contatto con diversi ambienti dell’eversione di destra, gli aveva parlato del fatto insieme ad altri episodi, senza specificazioni ulteriori rispetto a quelle già da lui riferite, all’infuori della partecipazione all’impresa anche di Fioravanti (non precisando però il nome).
Gli imputati negavano la loro partecipazione alla aggressione in qualsiasi forma. Fioravanti Valerio e la Mambro davano anche una valutazione negativa dell’episodio, il primo considerando l’azione come un regresso per il ritorno alla logica degli attentati contro i comunisti, mentre da colpire l’obiettivo doveva essere lo Stato; e la seconda dicendo il fatto ispirato a una logica stragista a lei estranea.
Il Di Vittorio presentava anche una sua memoria difensiva confutando analiticamente le accuse.
Il Pedretti non rendeva l’interrogatorio.
Capo della Sentenza: Motivi. Pag. 382 / 391 (trascrizione dei fogli 445 / 454, file PDF)
11. – Dagli elementi emersi nel processo ed esposti risulta acquisita la prova piena della partecipazione al fatto, come autori, di Pedretti, Aronica e Di Vittorio, nonché del Fioravanti Valerio per avere messo a disposizione le armi.
La materiale partecipazione al fatto del Morsello è invece ancorata a dichiarazioni incerte, quando non fondate su ammesse supposizioni, del Trochei e del Fioravanti Cristiano, che hanno trovato riscontro solo nella deposizione di Izzo Angelo.
Per il Trochei, il Morsello avrebbe preso parte alla riunione in cui venne presa la determinazione dell’impresa, ma la posizione dello stesso Trochei sul punto non è coerente e decisa.
Deve pertanto concludersi che l’imputato non è stato raggiunto da prova convincente.
Per la Mambro sussistono rilevanti elementi di prova, tuttavia non esaurienti.
Il Trochei ha riferito per primo dell’episodio in istruzione in maniera circostanziata, aderente alla realtà delle risultanze obiettive, coerente e disinteressata. Egli ha riferito costantemente della certa partecipazione di Pedretti, Aronica e Di Vittorio, e della messa a disposizione delle armi da parte del Fioravanti Valerio.
La posizione del Trochei è attendibile per le caratteristiche intrinseche di essa, per l’aderenza ai fatti e perché la fonte della sua informazione si identifica nelle persone certamente a conoscenza dell’episodio per avervi partecipato o comunque per la posizione che occupavano nel gruppo eversivo, cui esso è riferibile con sicurezza.
La priorità temporale nel riferimento delle notizie e la sua compiutezza dimostrano, ancora una volta, l’inconsistenza dell’assunto difensivo che egli sia stato indotto alle rivelazione dal Fioravanti Cristiano, che gliene avrebbe addirittura suggerito i contenuti.
È invece il Fioravanti Cristiano che, indipendentemente da lui e avendo come referente il fratello Valerio, gli ha dato riscontro in maniera circostanziata, ribadendo la certa partecipazione dei tre (Pedretti, Aronica e Di Vittorio), la provenienza delle armi, indicando specificatamente i veicoli impiegati, le modalità e la genesi dell’azione, le polemiche a essa seguite per le critiche mosse dal Valerio al Pedretti (circostanza questa sintomaticamente non nuova, se si ricordano i pesanti commenti dello stesso Valerio sulla condotta del Pedretti nell’assalto a radio “Città Futura”).
Anche le informazioni del Fioravanti Cristiano hanno rilevante valore probatorio, pur essendo de relato, per la fonte qualificata dalla quale sono derivate.
Incertezze e dubbi su taluni punti non inficiano l’attendibilità delle dichiarazioni la dove esse sono rese con coerenza e sicurezza.
Significativo e conclusivo il riscontro che alle dette dichiarazioni, fra loro concordi, ha dato Sordi Walter, che al dibattimento ha chiarito le circostanze in cui apprese del fatto. Circostanze che rivelano un contesto che da credibilità alla sua informazione, il Sordi era particolarmente motivato a conoscere dell’episodio, perché la morte del Cecchin lo aveva affettivamente ed emotivamente colpito. Ed infatti parlò del fatto con l’Alibrandi poco tempo dopo, non appena rientrato dal periodo di imbarco, ottenendo conferma anche dallo stesso Aronica.
Concorda anche l’indicazione derivata dalla deposizione di Izzo, che proprio per le varianti introdotte nella ricostruzione dell’episodio e per la menzione di una notizia (non fondata) apparsa su un giornale del tempo sulla presunta partecipazione all’azione di una donna, dimostra di non avere attinto – come si è preteso – dalla lettura degli atti del processo.
Del resto, aldilà degli strumentali atteggiamenti di ingiusto disprezzo che sono stati da taluni assunti nei confronti del teste a cagione del fatto da lui a suo tempo commesso (e per il quale sta comunque espiando la sua pena!), la dichiarazione dell’Izzo è disinteressata, al pari delle altre, non essendo emerso alcuna ragione di specifica che possa averlo indotto a muovere accuse nei confronti delle persone indicate come responsabili.
A fronte di un compendio probatorio – nel quale non si considera la generica e imprecisa informazione dell’Aleandri -, che per la convergenza e la coerenza delle indicazioni è di piena attendibilità, gli imputati non hanno opposto critiche ed elementi conclusivi.
L’alibi ostentato del Fioravanti Valerio e il suo allontanamento da Roma per la Svizzera poco dopo il fatto si risolvono anzi in un riscontro all’accusa che gli è stata mossa. La circostanza che egli fosse perseguito per il furto delle bombe a Pordenone non lo poneva in posizione deteriore rispetto al Pedretti, che per il fatto in questione venne, difatti, inquisito. E del resto la giustificazione che egli ha dato del suo viaggio per la Svizzera è del tutto incongrua e inattendibile.
Valutando poi la complessiva posizione del Valerio sull’episodio emerge una contraddizione di qualche significato tra la valutazione da lui espressa nell’interrogatorio reso al PM di Padova il 10.2.81, ove ha sottolineato un cambio di stile nella lotta anche nel linguaggio rivoluzionario, adattantesi alla prassi delle formazioni eversive di sinistra (alle quali il Valerio e altri guardavano con spirito di emulazione). E l’appressamento negativo del fatto dato al dibattimento, considerandolo un regresso e un ritorno agli attentati ispirati all’anticomunismo.
Essendo tale ultima valutazione stata condivisa dalla Mambro e dal Lai Livio (pur personalmente estraneo al fatto), e cioè da personaggi che si sono riconosciuti responsabili di altri gravi fatti (come del resto il Valerio), sorge il problema del senso di tali atteggiamenti.
Come già rilevato a proposito dell’attentato al cinema Ambra-Iovinelli e altrove, gli imputati su detti hanno rivendicato a se medesimi un passato di lotta armata, affermando una linea di decisa opposizione allo Stato e di relativa simpatia verso le organizzazioni dell’eversione di sinistra, prese a modello per la loro efficienza e, soprattutto, non indiziate di fatti strage. Accusa questa, che invece ha gravato su non pochi esponenti dell’eversione di destre – a torto o a ragione, qui non interessa – compresi alcuni degli imputati di questo processo.
Da qui l’esigenza di presentare un’immagine in deciso contrasto con tale accusa, espressa anche dai “comunicati” che taluni imputati hanno elaborato nel corso del dibattimento e che sono tati acquisiti agli atti.
La verifica di tale immagine qui non interessa. Interessa cogliere la ragione che ha spinto gli imputati – anche non coinvolti personalmente dall’accusa specifica – a dissociarsi da questo episodio, dandone valutazione negativa.
Ma appunto tale valutazione negativa da parte loro non regge, perché in questo fatto sono presenti alcuni elementi comuni e altri divergenti da altri fatti – ad esempio l’assalto a radio “Città Futura” – che dimostrano come l’episodio in esame si collochi coerentemente nella linea di lotta allo Stato e al “regime” che ha ispirato la condotta del gruppo eversivo del FUAN, e quello che lo ha preceduto.
Comune con il fatto di radio “Città Futura” è lo stile dell’aggressione, condotta da un gruppo armato di pochi, ma dotati di armi efficienti e pericolose, sì da dar luogo a una manifestazione di capacità offensiva. Comune è anche il metodo di cercare la vendetta, colpendo indiscriminatamente chiunque appartenga al gruppo o all’area cui è ascritta l’offesa ricevuta. Insomma, la barbarie della vendetta del clan.
Diverso, l’obiettivo prescelto e i fini da conseguire. L’obiettivo nel caso è stato una sez.ne del partito comunista, non quindi un’espressione dell’area dei “compagni” con i quali si voleva la tregua d’armi, desiderando emularli e lottare con loro da opposte sponde contro lo Stato, ma uno dei partiti considerati integrati nel “regime” da abbattere insieme allo Stato, pervaso e strutturato da questo “regime”.
Conseguentemente, non v’era bisogno di condurre l’azione in modo che l’espressione di potenzialità offensiva potesse a un tempo mostrare la capacità “militare” dell’eversione di destra e stimolare il riconoscimento dell’opportunità di convivere con essa. V’era bisogno invece di colpire duramente, spargendo il panico e svuotando così le sez.ni del partito di “regime”, con effetto destabilizzante contro Stato fondato su questo e altri simili partiti.
Quindi bisognava uccidere e con l’obiettivo di uccidere ci si è mossi.
La valutazione dell’impostazione difensiva sin qui esposta dà ragione del perché, anche chi fra gli imputati – come il Fioravanti Valerio – ha deciso di ammettere la propria partecipazione ad altri fatti, rivendicando una sua immagine di “combattente” contro lo Stato con particolari qualità “militari” e seguendo certe regole di “correttezza”, ha poi decisamente respinto ogni responsabilità in episodi come quello in parola.
Le posizioni difensive degli altri imputati, nei confronti dei quali si ritiene pienamente provata la responsabilità, non presentano aspetti di particolare rilievo.
L’Aronica ha negato, affermando che a quell’epoca conosceva solo il Di Vittorio, il che è in contrato con le emergenze processuali attestanti che già da allora si delineava una sua leadership nell’ambiente del FUAN, che si fermerà poi, quando egli avrà modo di impossessarsi delle armi del Fioravanti Valerio – come da questi affermato ripetutamente e di rilanciare ciò che del FUAN era rimasto dopo l’arresto di Pedretti e l’allontanamento del Valerio, deluso anche dal fatto della sottrazione delle armi durante la sua detenzione di seguito all’arresto a Ponte Chiasso il 18.6.79.
Di Vittorio ha esposto delle censure analitiche sulle accuse mossegli, ma, a parte la dimostrata inconsistenza di tali censure, egli non dà ragione della convergenza di tali accuse proprio nei suoi confronti. Ha ammesso la sua militanza nei gruppi del MSI/Balduina e MSI/Prati, per approdare poi al FUAN, dove -a suo dire – non esisteva una leadership di Pedretti Dario e Fioravanti Valerio. Ciò in contrasto, per tacer d’altro, con la Mambro, la quale, a proposito della rapina alla “Omnia Sport”, nell’interrogatorio dell’8.2.85, affermava testualmente: “… se non fosse stato per Valerio penso che al FUAN di azioni militari non se ne sarebbero neanche fatte. Per quanto mi risulta, l’azione fu preparata e organizzata da Valerio in tutti i suoi aspetti…”
Il Pedretti, è noto, non ha resto per sua scelta alcun interrogatorio in dibattimento, coerentemente ad analoga posizione istruttoria.
Riguardo alla Mambro sussiste a suo carico una rilevante prova di avere concorso alla decisione dell’impresa, derivante dall’informazione del Trochei che ella sarebbe stata presente a una riunione preparatoria. L’affermazione è riscontrata dal ruolo preminente che la Mambro aveva all’epoca nel FUAN per le sue qualità e per il legame affettivo che aveva con il Pedretti.
Ma l’incertezza di ricordi sul punto della riunione mostrata dal Trochei e la mancanza di altri, più pregnanti riscontri, induce all’assoluzione con formula dubitativa.
Per il Morsello l’accusa non trova coerenti affermazioni sufficienti a ritenere dimostrata la sua partecipazione all’azione. Si rimanda per questo alle informazioni dubitative o fondate dichiaratamente su supposizioni, del Trochei e del Fioravanti Cristiano. Tale incertezza non si può considerare risolta dall’informazione de relato dell’Izzo, la quale rimane isolata sostanzialmente.
Della partecipazione a una riunione preparatoria si hanno dichiarazioni del Trochei, s’è visto, non del tutto coerenti sulla riunione stessa e i suoi partecipanti. È stato comunque affermato che nella risoluzione all’azione prevalse la tesi dei “duri” (soprattutto Pedretti e Aronica), e non si danno elementi per stabilire che ruolo abbia svolto il Morsello che proprio un “duro” non si può definire. Il Fioravanti Cristiano ha detto che al più lo vedeva alla guida di una motocicletta per agevolare la fuga dei complici.
Gli indizi a carico dell’imputato sono dunque incerti e contraddittori, pur cui si impone l’assoluzione con ampia formula.
È stata contestata la qualificazione giuridica di Strage -art. 422 CP – sotto il profilo della mancanza di prove in ordine alla sussistenza del dolo specifico richiesto. I colpi di pistola furono esplosi alle gambe, mentre le due bombe lanciate – di tipo SRCM da esercitazione – non sarebbero ordigni idonei a dare la morte, potendo provocare al massimo ferite lievi da schegge, come in fatto avvenne.
Queste proposizioni difensive non si possono condividere.
Va ricordato che sono in atti due perizie balistiche sulle bombe SRCM, eseguite in relazione alle bombe dello stesso tipo, trovate il 6.10.80 ad Aronica e altri alla autostazione di “Piave est” sull’autostrada A727, e il 7.12.80 nel deposito di Castelnuovo di Porto.
In riferimento al primo episodio il perito balistico dr. Francesco Guannica (cartella 2, vol. B, fg. 304 e 361 e segg.) osservava che la bomba SRCM, in dotazione alle forze armate e alle forze di polizia, va lanciata da una distanza di sicurezza di ml.20/25. Essa esplodendo fra un gruppo di persone produce effetti anche mortali o quantomeno dilanianti.
Nella stessa cartella 2, vol B gli fa riscontro la perizia Frascatani sulle stesse bombe e su quelle di Castelnuovo di Porto, che riferisce della capacità offensiva di questo tipo di ordigno. Esso può provocare, esplodendo, la morte o gravi ferite entro la distanza di un metro, e ferite da proiezione di piccoli frammenti di alluminio nella distanza fra i 15 e 30 ml.
Risulta dalle dichiarazioni di Fioravanti Cristiano e Trochei che fu scelta deliberatamente una sez.ne dove ara annunziata una folta assemblea di militanti e in fatto venne presa di mira la sez.ne PCI di via Cairoli, nella quale erano affollate una cinquantina di persone, e fra queste furono lanciate due bombe. Delle 2[3] persone ferite solo da schegge, fortunatamente, solo D’Amico Maria Rosaria riportava ferite rilevanti, dichiarate guaribili in giorni 36, mentre gli altri subivano lesioni da schegge guaribili nel tempo massimo di gg. 15.
Ma alla luce delle perizie, del rilevante numero di persone ferite (una seriamente) e del fatto che nella sez.ne erano radunate 50 persone circa (metà delle quali, approssimativamente, ferite), non si può dubitare che le due bombe furono lanciate con il proposito di uccidere taluno dei presenti.
Inoltre risulta che altre tre persone furono ferite gravemente (Striano Angelo, Luciani Vincenzo e D’Agostino Rodolfo) da colpi di arma da fuoco (pistola cal. 7,65) e in particolare Striano fu colto al gomito destro. Dunque su sei colpi, almeno uno fu sparato in modo da colpire ad altezza del busto, quindi con il proposito di uccidere.
A ciò fa riscontro la rivendicazione che seguì di circa un’ora il fatto, comunicata telefonicamente a “Il Messaggero” nella quale, evidentemente in mancanza di notizie più certe, gli autori affermavano con sicurezza: “… è stato abbattuto un compagno … etc.”.
Preso atto che v’erano stati solo feriti, gli autori della aggressione, nel comunicato fatto reperire con una telefonata all’ANSA delle ore 3,30 del 17.6.79 (il giorno successivo al fatto), affermavano: “… se ieri abbiamo colpito semplici attivisti del PCI complici morali in quanto portatori dell’antifascismo più reazionario, domani compiremo i responsabili materiali, già individuati e condannati (questa volta a morire) …”.
Completa il quadro probatorio di inequivocabile attendibilità l’informazione del Trochei, del Fioravanti Cristiano e del Sordi sul clima di vendetta instauratosi nel FUAN e nell’ambiente dell’eversione di destra a seguito della morte del giovane Cecchin, e quella del Fioravanti in specie, sulla circostanza che “tutti cercavano il morto per vendicare la morte di Cecchin”.
E lo stesso Fioravanti al dibattimento ricordava le critiche mosse dal Valerio al Pedretti che non aveva neppure esploso tutto il caricatore, pur essendo in possesso di una pistola bifilare, 7,65, arma particolarmente efficiente.
In conclusione, Aronica, Di Vittorio, Fioravanti Valerio e Pedretti devono rispondere in concorso fra loro del delitto di strage contestato sub lett. A, proc. 13/83, e dei delitti connessi sub lett.re B, C e D, considerandosi però la detenzione comune di armi contestata sub b, assorbita in quella qualificata ex art. 21 legge n.ro 110/75 ascritta con la lett. D. Ciò perché le armi furono detenute da persone motivate dal fine di porre in pericolo la sicurezza dello Stato mediante la commissione di delitti cd di “comune pericolo mediante violenza” e del delitto di banda armata. Concorrendo tale fattispecie, per le ragioni dette sub.par.fo 2 della presente motivazione, la detenzione comune ex lege 497/74 rimane assorbita nella precedente.
Le ipotesi di reato contestate, in relazione allo stesso episodio sub lett. da F ad H stesso proc. al Fioravanti Valerio si riferiscono quanto a detenzione e porto di armi allo stesso fatto cui si riferiscono le ipotesi di reato contestate nelle lettere precedenti, per cui non è ammissibile una duplice contestazione per un medesimo episodio che ha avuto una sua realizzazione concreta unitaria.
Quanto alla fattispecie della cessione contestata sub F, essa non sussiste, perché va ricordato che le armi erano custodite nel deposito del quartiere Talenti come dotazione comune del FUAN. Quando il Fioravanti Valerio le mise a disposizione degli altri che avevano deciso di compiere l’azione, ciò fece in quanto leader del gruppo insieme al Pedretti che aveva piena ragione di prestare il suo consenso alla disposizione delle armi, oppure ad opporvisi, ma non in quanto potesse cedere agli altri ciò che era dotazione comune.
Quando egli dirà che le armi gli erano state “fregate” dall’Aronica, affermerà in sostanza che costui – in assenza sua e del Pedretti – aveva trasferito le armi custodite presso il Testani e facenti parte della dotazione del FUAN anche quelle, in luogo a lui sconosciuto e agendo così come nuovo, incontrastato leader del gruppo sopravvissuto al FUAN.