Non potevamo più essere prede dell’estremismo rosso, con l’appoggio delle istituzioni, magistratura e ministero dell’Interno, che non facevano indagini sui nostri morti e facevano cadere quei fatti nell’oblio≫ (

Francesca Mambro, testimonianza nel processo a Gilberto Cavallini per la strage di Bologna)

Tutto questo continuava a farci sentire, ogni giorno, minoranza ingiustamente perseguitata. Senza diritto di parola […] Eravamo esclusi da tutto perché “neri”: una specie di razzismo ideologico terribile. E noi cominciavamo a pensare che qualcuno desiderasse davvero la nostra 811 Ivi, cit. p. 52. 812 Ivi, cit. p. 68. 255 fine politica e fisica. È stato anche questo (certo non solo questo) a trascinare alcuni di noi verso rive oscure. A farci diventare latitanti e poi “terroristi” e assassini.≫

(Pierluigi Concutelli, Io, l’uomo nero. Una vita tra politica, violenza e galera, Marsilio editori, Venezia, 2008, pag. 69)

Pisanò: «Caro Foa, dopo tanti anni di battaglie su fronti opposti, ci troviamo qui in Senato, a servire lo Stato pur con le nostre diverse idee. Possiamo stringerci la mano?». E Foa: «Certo, possiamo stringercela. L’importante è ricordarci che lei è qui, in Parlamento, grazie alla Costituzione; e la Costituzione c’è perché abbiamo vinto noi. Se aveste vinto voi, io sarei rimasto in galera e lì sarei morto».

Nella pubblicistica di destra o non ostile (cui abbiamo dedicato una certa attenzione perché a nostro avviso di vera e propria disinformazione o, quanto meno, memoria selettiva si deve parlare) spesso viene citata la strage di Acca Larenzia (7 gennaio 1978) come momento in cui alcuni dei personaggi di cui abbiamo parlato scelsero la lotta armata come metodo politico.

Questa tesi è, mutatis mutandi, arrivata sino a noi e non è estranea né al macabro rituale del “presente” con cui la destra (più meno estrema) rievoca i propri morti né alla retorica dell’underdog finalmente sdoganato tanto cara alla destra “istituzionale”.

Precisamente, afferma Francesca Mambro durante una deposizione resa come teste in uno dei tanti processi per la strage di Bologna: «Noi dovevamo armarci per difenderci – ha aggiunto -, dopo Acca Larentia non avevamo più diritto alla vita né al dolore. Eravamo oggetto di massacro. Avevamo bisogno di armi, non potevamo andare a mani nude. A noi le armi non ce le portavano dall’estero». Poi, la Mambro attacca le istituzioni dell’epoca. «Non potevamo più essere prede dell’estremismo rosso, con l’appoggio delle istituzioni, magistratura e ministero dell’Interno, che non facevano indagini sui nostri morti e facevano cadere quei fatti nell’oblio».”(1)

Quindi a quella strage, soprattutto all’omicidio di Stefano Recchioni ad opera dei Carabinieri che intervennero durante gli scontri che seguirono l’omicidio di Ciavatta e Bigonzetti, daterebbe la conversione violenta di quei nostri coetanei che già si incontravano nelle sedi missine.

Ora, non volendo procedere in una strada comunque impervia e rivoltante, quella della conta delle lapidi, possiamo affidarci ad una analisi scientifica per la verifica delle affermazioni della Mambro (e di Concutelli)?

In un poderoso studio statistico – sociologico (2) a cura di ISODARCO e pubblicato dalle edizioni Ateneo dell’Università di Roma, è contenuta una vera e propria smentita della tesi della motivazione esclusivamente “reattiva” alla violenza della parte avversa.

Gli autori della ricerca (3) hanno individuato un indice di “gravità” degli episodi di violenza politica nel periodo, 1969/1981, considerato. Questo indice articolato su 9 parametri (4) non tiene conto solo del numero degli episodi ma ne riassume la gravità. Nello studio i fatti di violenza politica sono suddivisi per attribuzione tra “Strategia delle tensione”, “Violenza fascista”, “Lotta armata”, “Violenza di sinistra”, “Fatti diversi” e “Ordine pubblico” (5).

Ora, dato che una immagine vale più di mille parole, mettiamo a confronto alcuni grafici.

Il primo, contenuto nella pagina 1212 dello studio descrive la gravità delle violenze politiche nel paese attribuite a formazioni di destra.

Il secondo grafico descrive la gravità degli episodi di violenza politica attribuiti alla sinistra nel medesimo periodo (pag. 1213)

Il terzo grafico rappresenta la gravità degli episodi attribuiti alla Lotta Armata (che riguarda come da premessa dello studio solo le formazioni di sinistra, BR, Prima linea, ecc.)

Ora se sovrapponiamo i tre grafici vediamo che l’attività violenta della sinistra è quasi sconosciuta fino alla fine del 1971, per poi iniziare a crescere e raggiungere il suo picco nel biennio 1977/78.

L’attività violenta dei neofascisti risulta invece costante negli anni Settanta, per poi iniziare a decrescere alla fine del decennio (rammentiamo che l’indice è costruito per non limitarsi al solo dato numerico di quanti episodi registrano le cronache ma tenendo conto di molti parametri). Gli episodi di vera e propria “Lotta armata” cioè ad opera delle formazioni stabilmente armate ed in clandestinità della sinistra, sono, fino al 1974 praticamente irrilevanti, rispetto alla loro rapida e costante ascesa nel periodo successivo.

Però cosa ci dicono questi indici?

Ci dicono che la pretesa dei violenti della destra di essere diventati terroristi solo per reazione non ha fondamento.

Certo, se ci affidassimo solo alla memoria, per ogni Cecchin o Pistolesi potremmo citare un Rossi, una Pacinelli, uno Zini, un Petrone, un Principessa ma questo sarebbe ricadere nella ripugnante contabilità delle lapidi cui abbiamo già detto di volerci sottrarre.

Non è un fallo di reazione quello dei NAR nei confronti della Sezione del P.C.I. Esquilino, non si tratta di un gruppo di amici sconvolti dalla morte di uno di loro, né (come già detto) è una sorta di guerra dei ragazzi della Via Pal con mezzi mortali.

No lo spontaneismo armato è tutt’altro che spontaneista. È il frutto di una attenta costruzione di un universo parallelo in cui malintesi sensi dell’onore, di appartenenza, di fedeltà vengono coltivati coscientemente da un partito che nasce da una sconfitta etica prima che militare e politica, in aperta e radicale antitesi alla repubblica antifascista che non esclude la contrapposizione violenta alle forze del movimento operaio e democratico. Una ambiguità irrisolta che porterà il fascista in doppiopetto (Almirante) ad invocare i colonnelli greci, i boia dei desparecidos argentini e cileni, le feroci dittature franchista e salazariana mentre si impegnava (invero con risultati altalenanti) nel gioco delle elezioni.

Insomma, abbiamo un partito che mentre combatte la democrazia antifascista si giova delle sue istituzioni più sacre, non ripudiando affatto la Repubblica Sociale e le sue nefandezze, sempre giustificate dal pericolo comunista o attribuite esclusivamente all’ex “alleato germanico”.

Sarebbe ipocrita attendersi che un partito fondato sull’ambiguità, con frange ufficialmente antiamericane ma i cui esponenti fecero parte dell’organizzazione Gladio in ambito NATO, isolasse quei figli legittimi che impugnarono, a partire dalle sue sezioni(6), le armi contro lo stato e gli avversari politici.

Sul Secolo d’Italia (già organo del MSI poi passato naturalmente ad Alleanza Nazionale prima e a Fratelli d’Italia ora) nel 2016 esce una intervista del citato Nicola Rao, il quale conferma (con grande onesta intellettuale, ad onor del vero ed anche se in maniera assolutoria, ancora una volta): “Che differenze ci sono rispetto all’atteggiamento del Pci nei confronti delle Br e di quella zona “grigia” che aleggiava tra i due mondi?

«Ci sono molti punti di contatto tra le due vicende. In entrambe i partiti ufficiali non solo presero le distanze ma condannarono e combatterono apertamente i terrorismi della rispettiva parte politica. Della battaglia contro il terrorismo nero di Almirante ho appena detto. Ma ricollegandomi al discorso appena fatto, c’è una differenza fondamentale: mentre il terrorismo rosso nasce per lo più dalle ceneri dei gruppi extraparlamentari di sinistra (in primis Potere operaio e Lotta Continua), il terrorismo nero (da Concutelli a Cavallini fino ai Fioravanti e Alibrandi, ma anche Mambro, Nistri e Pedretti, tanto per fare i nomi dei militanti più noti di allora) prende le mosse all’interno di alcune sezioni del Msi e del Fuan».”(7)

Questo brano, in una intervista che comunque tende a riproporre la tesi missina e post missina della prevalenza della “violenza di sinistra”, conforta però quanto sin qui documentato cioè la continuità/contiguità tra gli ambienti missini e quelli del terrorismo di destra ed allo stragismo.

Ma la storia della violenza politica nel nostro paese è antica, anche tralasciando le violenze del regime fascista con lo Stato e i suoi apparati che diventano essi stessi “terroristi”, spesso è stata una violenza repressiva nei confronti del movimento operaio, dei Sindacati e dei Partiti della sinistra. Almeno fino a tutti gli anni sessanta la violenza è stata esercitata esclusivamente nei loro confronti (tralasciamo, in questa sede, lo stragismo) e spesso usando manovalanza fascista o mafiosa (8) per la repressione.

Purtroppo il lavoro di ricerca da cui siamo partiti, lo studio ISODARCO, si occupa di un solo ventennio, sicuramente il più significativo non foss’altro per la nascita di due mostri speculari, lo stragismo e il terrorismo. Manca però una analisi puntuale dei periodi precedente e successivo ed affidarci alla memoria significa farci ricadere nella esecrata conta delle lapidi.

Sta di fatto che, fino all’esplosione del fenomeno della lotta armata (che De Lutiis, nella prefazione allo studio ISODARCO(9) individua nell’arresto del gruppo storico delle Brigate Rosse, Curcio e Franceschini, 1974) negli anni considerati la violenza politica è quasi esclusivamente di matrice neofascista (abbiamo già visto come le persone coinvolte passano agevolmente da una formazione all’altra, sempre però frequentando le sedi missine anzi essendo militanti di quel partito).

Anzi, proprio un omicidio fascista all’università, quello di Paolo Rossi, avvenuto nel 1966(10) è stato individuato come atto di nascita del movimento studentesco romano per l’indignazione che questo omicidio suscitò tra i giovani tanto da costringere l’allora rettore, Giuseppe Ugo Papi, alle dimissioni.

Altro esempio è la vicenda, ancora precedente, del tentativo di omicidio del partigiano Walter Audisio maturato all’interno del Movimento Sociale e abortito solo perché chi se ne era incaricato (Giulio Salierno, di cui abbiamo già parlato) nel procurarsi l’auto per compiere l’attentato uccide un innocente.

È questo il clima, quello della violenza diffusa, l’ambiente, dove matura, anni dopo, sempre ad esempio, l’omicidio di Walter Rossi(11). Basta questo omicidio a smentire la tesi di Mambro della nascita dei NAR come reazione alla strage di Via Acca Larentia poiché quell’omicidio, attribuito post mortem ad Alibrandi ma cui ha partecipato Cristiano Fioravanti, avviene, come un vero e proprio agguato, diversi mesi prima.

Il passato è uno strumento per comprendere il presente.

Chi scrive non chiederà a nessuno degli eredi di quella storia di dichiararsi antifascista, non chiederemo loro neppure di prendere le distanze da quel passato di cui si dichiarano orgogliosamente eredi, come ha fatto il Presidente del consiglio nel discorso di insediamento. Non ci interessa, sembra una richiesta sciocca ed una eventuale adesione a tale richiesta apparirebbe una menzogna.

Quello che conta sono i comportamenti, le cose che si fanno e la consapevolezza della storia, nessuno può essere diverso da quello che è (sembra una ovvietà). Gli attuali “a-fascisti”, “post fascisti”, ecc. quello sono, da quella storia provengono, l’essenziale è che quella storia sia conosciuta e non riscritta(12). È questo lo scopo e il senso della nostra memoria.

1 ANSA Emilia Romagna 23 maggio 2018, processo contro Gilberto Cavallini per la strage del 2 agosto 1980.

2 “Venti anni di Violenza politica in Italia”, Shaerf, De Lutiis, Sili, Carlucci, Bellucci, Argentini, ISODARCO (International School on Disarmament and Research on Conflicts, Italian Pugwash Group), Roma, Università degli studi La Sapienza, Centro stampa d’Ateneo, 1992, fuori catalogo ma reperibile nel sistema SAN, https://www.memoria.san.beniculturali.it/it/w/venti-anni-di-violenza-politica-in-italia-1969-1988-a-cura-di-isodarco-1992-

3 L’attendibilità scientifica della ricerca è attestata dalle qualifiche dei ricercatori e dalla pubblicazione a cura dell’ateneo romano. Chi scrive ha avuto modo di apprezzare di persona il lavoro e la disponibilità personale del prof. De Lutiis quando ricevette un gruppetto di giovani della FGCI Esquilino impegnati in un lavoro di studio sul terrorismo cui illustrò l’allora recente suo lavoro sulla storia dei servizi segreti che resta, a quarant’anni esatti di distanza, una pietra miliare della ricostruzione storica delle trame eversive nel nostro paese (Giuseppe De Lutiis, Storia dei Servizi Segreti in Italia). Significativamente l’archivio del Prof. De Lutiis è conservato presso l’Archivio Flamigni che collabora con noi in questa opera di memoria.

4 “Venti anni di Violenza politica in Italia”, pag. 1200, per la descrizione dei parametri e dell’indice.

5 Idem, pag. 89 per la descrizione dei criteri di attribuzione e le differenze tra categorie di fatti violenti.

6Si veda quanto documentato nel contributo pubblicato il 20 maggio scorso https://www.parliamodisocialismo.it/2024/05/20/16-giugno-1979-ore-1930-esquilino-roma-i-nuclei-armati-rivoluzionari-camerati-che-sbagliano-i-rapporti-con-il-movimento-sociale-romano/

7Intervista di Luca Maurelli a Nicola Rao, Il Secolo d’Italia, 18 ottobre 2016 (https://www.secoloditalia.it/2016/10/rao-il-msi-fu-il-partito-che-pago-il-piu-atroce-prezzo-di-sangue-lintervista/).

8Chi scrive, marsicano di origine, ha nelle memorie familiari l’eccidio di Celano, quando nel 1950, il 30 aprile Carabinieri, missini e guardie del principe Torlonia aprirono il fuoco contro i braccianti uccidendo due persone, tra cui una persona della nostra grande famiglia. Memorabile l’articolo di Luigi Pintor sull’Unità del 2 maggio: “Quella sera del 30 aprile 1950, in piazza IV Novembre qualcuno sparò, per vendetta e rappresaglia contro questa conquista dell’unità dei lavoratori”;

9De Lutiis, Giuseppe, Il Sistema Eversivo, pag. 34 in ISODARCO;

10Dodicesima Disposizione, Fascismo e neofascismo: conoscerli per combatterli, Dip. Antifascismo del PRC, curatore Mordenti, Raul, pag. 150;

11Di cui si è già descritta la dinamica ma, soprattutto, le coperture politiche e l’inquadramento all’interno delle attività “politiche” del Movimento Sociale di quel crimine su queste pagine nel precedente intervento del 20 maggio

12Proprio nei giorni in cui queste righe sono state revisionate, è uscita una inchiesta della testata on line Fanpage che ha documentato la diffusione delle idee propriamente neofasciste tra i giovani del partito dell’attuale Presidente del Consiglio, il documento filmato è “passato” su La7 ed è comunque reperibile su Fanpage. Si ascoltano iscritti ad un partito che si presenta “istituzionale” inneggiare a Fioravanti, Concutelli, Mambro, rievocare con nostalgia (“ci siamo imborghesiti”) “i tempi delle sprangate ai rossi”. Non avevamo molti dubbi sul posizionamento di questo partito, ma dà comunque i brividi sentire dalla viva voce dei protagonisti cose che confermano i dubbi. Basterebbe questa inchiesta per giustificare la nostra iniziativa.

Di Roberto Del Fiacco

Libero professionista, consulente tributario, esperto nell'economia dei servizi comunali di raccolta rifiuti. Si illude di essere ancora iscritto al Partito Comunista Italiano e alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (quelli veri). E' nato e morirà comunista

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *