Palmiro Togliatti ha lasciato questo mondo 60 anni fa, il 21 agosto del 1964. Il leader comunista è vissuto in un’epoca molto diversa dall’attuale, in un mondo spaccato in due dalla guerra fredda. Eppure, molti dei suoi insegnamenti ideali e politici sono tutt’oggi di estrema utilità. In particolare, attualissimo è il pensiero sul legame inscindibile tra democrazia e socialismo che rappresenta il nucleo centrale del suo impegno rivoluzionario per affermare la costruzione del socialismo in Italia e nell’Occidente. La saldatura, teorica e pratica, tra socialismo e democrazia è stata per Togliatti una bussola, l’asse centrale della sua elaborazione e azione politica fin dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso.

La battaglia del leader del Pci per la Costituzione

Il percorso per arrivare con sicurezza a questa innovativa visione del processo rivoluzionario si è dipanato tra le contraddizioni della storia del mondo, dell’Italia e del movimento comunista internazionale, di cui Togliatti è stato uno dei maggiori dirigenti. Tutto è cominciato con la Rivoluzione d’Ottobre e la nascita dei partiti comunisti, da quando avvia una riflessione, iniziata da Gramsci, sulla sconfitta del movimento operaio italiano di fronte al fascismo. Questa riflessione portò, dopo una lotta politica contro l’estremismo di Bordiga, ad una svolta nella direzione politica del PCd’I nel 1924 e poi al III° Congresso, 1926. Riflessione che si sviluppò in modo autonomo da Gramsci in carcere (con i Quaderni) e da Togliatti nell’Internazionale comunista (lezioni sul fascismo, 1934), che lo portò ad essere uno dei principali sostenitori della politica unitaria del Fronte popolare, indispensabile per contrastare la crescita dei movimenti fascisti dopo all’avvento al potere di Hitler in Germania. La guerra civile spagnola, poi, è stata la drammatica esperienza in cui matura l’idea della “democrazia di tipo nuovo” che, in seguito, nella Resistenza italiana assumerà la definizione di “democrazia progressiva”: concetto innovativo che ha caratterizzato tutta la politica e le battaglie dei comunisti italiani nella lotta di Liberazione, nell’elaborazione della Costituzione e negli anni che seguirono.

“Attraverso la democrazia, cioè accettando e rispettando il principio della maggioranza liberamente espressa, noi ci sforziamo di realizzare quelle modifiche della nostra struttura sociale che sono mature sia nella realtà delle cose che nella coscienza delle masse lavoratrici. Per questo parliamo oramai tutti o quasi tutti non di democrazia pura e semplice, ma di una democrazia progressiva… È inevitabile, in queste condizioni, che elementi programmatici, non di previsioni ma di guida, siano introdotti nella Carta costituzionale e questa venga ad assumere il valore non più di un patto tra popolo e sovrano, per limitare l’arbitrio di questo e garantire i diritti di quello, ma quasi il patto concluso tra le diverse correnti politiche e i diversi gruppi sociali, e che impegna questi e quelli ad avviare la ricostruzione della patria distrutta su un binario che porti a un rinnovamento audace, profondo, di tutta la struttura della nostra società, nell’interesse del popolo e nel nome del lavoro, della libertà e della giustizia sociale.”

Con la saldatura nella Costituzione dei valori del movimento socialista (Pci-Psi) con quelli dei cattolici e dei liberali democratici, si avvia una nuova fase nella storia d’Italia e nella strategia politica dei comunisti.

Il centro delle lotte sociali per la ricostruzione, il lavoro e la riforma agraria e l’attuazione e la difesa della Costituzione si sviluppano contro forze moderate, conservatrici e reazionarie che con i governi della DC, da una parte, bloccano l’applicazione dei principi ideali e programmatici costituzionali e, dall’altra parte, instaurano un regime di repressione sociale e di discriminazione nei confronti dei comunisti, dei socialisti e dell’intellettualità progressista.

L’idea rivoluzionaria del “partito nuovo”

Lo strumento strategico inventato da Togliatti per dirigere e far avanzare il processo di trasformazione democratica e socialista in Italia è il “Partito Nuovo”. Un partito di milioni di iscritti, capace di dare soluzione ai problemi, grandi e piccoli, nella prospettiva delle riforme di struttura e non solo di fare propaganda del socialismo che verrà. Un partito nazionale che forma politicamente e culturalmente le forze del lavoro e popolari per renderle nuove classi dirigenti, che salda la liberazione e i diritti del lavoro con gli interessi di tutta la nazione.

All’innovazione teorica, quindi, corrisponde per Togliatti un partito inedito: di massa, non più di soli quadri, in grado di essere presente e orientare le lotte sociali e culturali, capace di formare dal basso le nuove classi dirigenti e di metterle nelle condizioni di essere autonome e di “fare politica”. Un partito nuovo, unitario e non settario, ramificato nei territori, nei luoghi di lavoro e di studio con sezioni e cellule per stimolare, attivare e organizzare la partecipazione consapevole della classe operaia e delle forze popolari.

La sua opera alimenta e rilancia il marxismo italiano, attraverso l’esperienza delle lotte politiche e la valorizzazione del pensiero di Gramsci, verso cui guardano molti intellettuali che hanno aiutato la cultura italiana a superare l’egemonia crociana e quella clericale. Per Togliatti la lotta su basi democratiche è indispensabile per indirizzare verso il socialismo ogni conquista sociale dei lavoratori.

Questa scelta, sempre negata dalle forze filo-americane, l’ha difesa in più occasioni: contro le resistenze interne superate solo nell’VIII Congresso (1956), contro le durissime critiche sovietiche (Cominform 1947), poi con la polemica con Garaudy (1956) e, nei primi anni Sessanta, nei confronti degli attacchi del Pc cinese. La critica che gli si opponeva era rivolta verso la strategia democratica del Pci, per loro esisteva un solo modello rivoluzionario, cioè quello sovietico. In più i comunisti cinesi criticavano duramente la politica di coesistenza pacifica del movimento comunista internazionale, viceversa, convintamente sostenuta da Togliatti. Ironia della storia, oggi è proprio il segretario di quel partito a riproporla.

Per decenni, il nesso tra lotte democratiche sociali e civili, partecipazione popolare e rappresentanza proporzionale è stato lo strumento con cui le forze popolari italiane sono intervenute sulle decisioni politiche generali e locali, e con cui hanno salvaguardato il ruolo del Parlamento e delle assemblee elettive dei comuni, delle province e delle regioni. La lotta democratica per l’attuazione della Costituzione e per la pace, quindi, è stata concepita da Togliatti, e dal Pci, come la condizione indispensabile per il cambiamento democratico e socialista dell’Italia. Già nella Conferenza d’organizzazione del Pci (1947), Togliatti affermava che “il socialismo è lo sviluppo massimo della democrazia” e che si realizza con l’azione politica e le lotte sociali.

A guardar bene, gli anni della Repubblica, vissuti dal leader comunista, possono essere definiti come l’epoca in cui la democrazia si è affermata e costruita grazie alle lotte dei lavoratori che, seguendo il Pci, hanno individuato in essa il valore e lo strumento per combattere le discriminazioni e le ingiustizie e per affermare l’uguaglianza e la solidarietà, la pace e la liberazione dei popoli dal colonialismo.

La crisi attuale delle democrazie occidentali, dunque, sta proprio nell’aver perso l’energia pulita del progresso sociale e dei valori dell’eguaglianza, della solidarietà e della coesistenza pacifica. E i sistemi democratici occidentali, diversi gli uni dagli altri, stanno pagando la separazione tra le politiche dei governi e gli interessi, le aspirazioni al progresso, al lavoro, alla tutela ecologica e ai diritti sociali e civili di masse enormi di lavoratori, di giovani e di donne. La separazione tra democrazia e interessi del lavoro e popolari è il denominatore comune che ha ridotto le società occidentali a “democrazie dei ricchi”, egemonizzate dagli oligopoli e dagli oligarchi, i cui esponenti (da Berlusconi a Trump) si sono potuti permettere di fondare partiti, di essere proprietari di imperi dell’informatica, dell’informazione e dell’industria energetica e militare, di avere a disposizione numerose schiere di politici, di intellettuali e di tecnocrati, di avere imperi economici con bilanci pari, o superiori, a quelli di Stati medio alti, di avere il sostegno della finanza mondiale.

Queste forze, neoliberiste e liberaldemocratiche, sono state, e sono, protagoniste dell’attacco forsennato ai valori del socialismo.

A febbraio del 2023, la Camera degli Usa ha approvato una risoluzione neo-maccartista di condanna del socialismo e ha assestato un colpo durissimo alle libertà politiche e di opinione: “Il Congresso denuncia il socialismo in tutte le sue forme, e si oppone all’attuazione di politiche socialiste negli Stati Uniti d’America” poiché portano alla rovina economica e all’autoritarismo. Ironia della storia: a calpestare i principi democratici americani però è stato Trump, il presidente uscente, miliardario e liberal-reazionario, che ha addirittura tentato un colpo di Stato per non voler rispettare il voto popolare.

Ma anche il Parlamento europeo nel 2019 ha dato il suo vergognoso contributo confondendo ideologia e regimi, paragonando i valori socialisti del movimento comunista con il razzismo, il militarismo e la volontà di dominio su tutti i popoli, fino all’imperdonabile olocausto, del nazismo. Oggi, diverse forze che hanno guidato l’Europa, si allarmano per il fatto che si stanno affermando partiti razzisti e nazionalisti che inneggiano al nazismo e al fascismo e che godono di un allarmante consenso tra alcune fasce popolari.

Il primo responsabile dell’indebolimento del nesso democrazia e progresso sociale, e del conseguente arresto dell’ascesa dello Stato sociale, è stato il neoliberismo. Poi, il dissolvimento dell’Urss ha rimosso ogni ostacolo alle pretese di dominio mondiale degli Usa e agli appetiti neo-colonialisti dei paesi occidentali nel Medio Oriente, in Africa, in America Latina e in Asia.

Nelle società occidentali si è aperta la competizione tra forze liberiste e quelle liberaldemocratiche, che si alternano al governo da decenni, ma sempre all’interno di una logica che riduce e penalizza le funzioni sociali ed economiche dello Stato e favorisce gli oligopoli.

Neppure l’Unione Europea e gli Stati che ne fanno parte sfuggono a questa dialettica, tutti sottoposti alla pressione e ai dettati della grande finanza.

A guardar bene, una delle cause principali della crisi della democrazia risiede nel fatto che l’attuale sistema sociale occidentale, a guida americana, ha registrato fallimenti continui e drammatici sulle questioni principali della nostra epoca: clima, difesa della natura, lotta alla povertà, immigrazione, governo pacifico del mondo, tutela dei diritti del lavoro, delle donne e di genere. Il fallimento più grande e pericoloso, perché siamo nell’era atomica, è rappresentato dall’idea conflittuale delle relazioni internazionali e dalla non volontà di ammettere che il mondo è multipolare. La diplomazia e la volontà di una risoluzione pacifica lascia troppo spesso il posto alle armi, puntando sul riarmo e sulla disseminazione di basi atomiche nei vari continenti per affermare il dominio politico ed economico dell’Occidente. Il risultato? Decine e decine di guerre atroci, guerra in Europa, nuove guerre in Medio Oriente e nessuna iniziativa significativa per il cessate il fuoco e per trattative di pace. Putin non è portato al tavolo della trattativa e gli Usa non sono stati in grado di fermare i crimini orrendi di Netanyahu contro il popolo palestinese.

Anche il permanere nella povertà di miliardi di persone e le conseguenti migrazioni, segnano un grande fallimento epocale perché non si vuole investire nello sviluppo sostenibile, non si vogliono cambiare i rapporti ineguali e neo-colonialisti del commercio internazionale e la ricchezza mondiale continua a concentrarsi in pochissimi gruppi economici a dimensione planetaria.

Le sfide che sono davanti alla sinistra

Gli ultimi trent’anni hanno visto anche l’incapacità di gran parte dei tradizionali movimenti di sinistra e dei partiti socialisti di innovare e rilanciare le idealità del socialismo per difendere e rinnovare i sistemi democratici. Hanno semplicemente ammainato la bandiera della difesa delle forze del lavoro e delle masse popolari, per allinearsi alle politiche liberiste e liberaldemocratiche del capitalismo finanziario mondiale. Il risultato è stato che consistenti fasce popolari hanno perso la propria identità di forze progressiste e di conseguenza hanno perso la fiducia in sé stesse e nella democrazia come valore e strumento per combattere le diseguaglianze e per costruire il cambiamento sociale. I limiti delle forze progressiste nel contrastare le politiche liberiste sono stati evidenti, in alcuni casi hanno accettato le privatizzazioni dei beni pubblici, le delocalizzazioni, la precarizzazione del lavoro, il blocco dei salari e l’iniqua redistribuzione della ricchezza verso i ceti popolari. Abbiamo assistito alla continua svalorizzazione del lavoro, alla costrizione degli immigrati in aziende neo-schiavistiche, al pericoloso attacco alle organizzazioni sindacali. La debolezza, culturale e politica, delle sinistre e la loro divisione nel rispondere all’egemonia liberista, ha indebolito e reso poco credibile ogni alternativa politica: tanto sono tutti uguali. I fenomeni più gravi che continuano a svuotare e cancellare la democrazia sono l’allontanamento dalla politica, l’astensionismo, l’offuscamento dei valori antifascisti e la conseguente crescita di movimenti nazionalisti, razzisti e neofascisti in tutta Europa. La vicenda italiana, che ha portato forze reazionarie e fascistiche al governo e come tali stanno agendo, spiega bene questo processo.

Il paradosso, apparente, in cui si trovano i sistemi e le forze borghesi liberal-democratiche occidentali è che dopo la damnatio memoriae delle idealità socialiste, per superare la crisi della democrazia occorrerebbe proprio far rinascere i valori del socialismo, arricchendoli del valore della difesa della natura.

Ora, a pensarci bene, e con un po’ di ironia, mi verrebbe da dire che un Togliatti servirebbe proprio agli esponenti del pensiero e dei governi liberaldemocratici per convincerli, come fece col movimento operaio e comunista italiano, del grande valore civile e storico che rappresenta la saldatura tra valori socialisti e quelli democratici. E per ricordagli che:

  1. la discriminazione delle idealità del socialismo svuota i valori democratici e la democrazia si trasforma in democratura, in elitarismo, in affarismo e in paravento per le ineguaglianze;
  2. senza la rappresentanza delle forze del lavoro e dei loro interessi nella direzione politica degli Stati, la democrazia non ha né difese né prospettive;
  3. senza l’affermazione dei valori della pace, dell’eguaglianza, della solidarietà, della libertà e della tutela della natura, la democrazia deperisce e si annichilisce.

Per quanto riguarda le forze della sinistra italiana, valgono le stesse considerazioni, con due sottolineature in più: la prima, è che va superata la subalternità culturale e politica verso i gruppi oligopolistici per tornare ad essere un autonomo soggetto, plurale, della lotta politica e culturale, organizzato in partiti di massa che “sono la democrazia che si organizza” e rappresentativo dei bisogni immediati e delle aspirazioni di giustizia sociale dei lavoratori, dei giovani, delle donne; la seconda, è che si avvii immediatamente una fase unitaria tra le forze popolari e progressiste e, parallelamente, il mondo del lavoro in tutte le sue articolazioni deve ritrovare la propria unità, acquisire una nuova coscienza politica di classe generale, in grado di renderlo un soggetto sociale unitario e protagonista della lotta per l’attuazione della Costituzione e per l’estensione massima della democrazia che, direbbe Togliatti, è il socialismo.


Questo articolo è già uscito su Strisciarossa (https://www.strisciarossa.it/la-lezione-di-togliatti-sulla-democrazia-in-un-mondo-che-tende-a-cancellarla/) e sarà pubblicato anche sul sito della Associazione Futura Umanità (futuraumanita.com)

Credit immagine di copertina: autore sconosciuto, anteriore al 1964, PD

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