L’estrema destra si racconta spesso rivoluzionaria, ma la Storia dice che è sempre stata garanzia di conservazione dello status quo, che è sempre stata a fianco dei potenti e degli sfruttatori. “Mira, Valentina. Dalla stessa parte mi troverai”
Non recensione di un libro bello e interessante su una stagione entusiasmante.
Con ritardo, che sento quasi come colpa, alla fine ho comprato e letto il libro di Valentina Mira(1) e l’ho trovato molto bello, commovente per molti tratti, sicuramente coraggioso in questo clima di riscrittura della storia(2). Il fatto che lo trovi bello non significa molto, i miei rapporti con la letteratura sono quelli di un lettore onnivoro ma occasionale, rapsodico e non metodico, non sono certo un letterato e, altrettanto certamente, i miei consigli non hanno alcuna autorevolezza.
Quindi questa è una “non recensione”.
“Dalla stessa parte mi troverai” è un libro con tante storie, almeno quattro, c’è la storia di Acca Larentia, c’è la storia di Mario Scrocca, c’è la storia di Rossella Scarponi e c’è la storia di Valentina Mira.
Io conoscevo, o meglio ricordavo, solo Acca Larentia. Mario Scrocca, la sua breve vita felice, mi era ignota (o meglio ricordavo vagamente solo la sua morte assurda), del tutto sconosciute le storie della moglie e dell’autrice. Eppure da Mario Scrocca e Rossella Scarponi, ho scoperto, mi separa un solo grado di conoscenza (molto meno dei famosi sei gradi di separazione dell’omonimo film). Eppure in quegli stessi anni ero attivo in politica, anche se in un quartiere diverso dall’Alessandrino, dove Scrocca agiva, ed in una formazione politica, la Federazione giovanile del P.C.I. che, forse, Scrocca non amava particolarmente(3).
La sintesi della storia di Mario la copio dal sito della Fondazione La Rossa Primavera (4):
“È la sera del 1° maggio 1987 quando i medici dell’ospedale Santo Spirito di Roma dichiarano morto un infermiere di ventisette anni, trasportato dal vicino carcere di Regina Coeli. Mario Scrocca, una militanza politica e sindacale prima in Lotta Continua nel quartiere Alessandrino, poi nel settore sanitario delle Rappresentanze di Base (RdB), era stato prelevato all’alba del giorno precedente nella casa in cui viveva con la sua compagna Rossella e il figlio di due anni. L’accusa con cui i carabinieri arrestano il giovane è da ergastolo. Mario è incriminato per i fatti di via Acca Larentia, avvenuti quasi dieci anni prima, il 7 gennaio del 1978. Davanti alla sezione del Movimento Sociale Italiano due giovani fascisti sono uccisi da oppositori politici, che rivendicano l’azione con la sigla Nuclei armati per il contropotere territoriale, mentre un terzo muore durante i successivi scontri con le forze di polizia. Mario viene accusato, insieme ad altri compagni che evitano la cattura, sulla base dei sentito dire e delle generiche dichiarazioni rilasciate tre anni prima dalla pentita Livia Todini, all’epoca dei fatti quattordicenne, che aveva parlato di un tale Mario, riccio e bruno, senza però riconoscerlo nel corso del riscontro fotografico. Appena arrestato, Mario viene messo in isolamento. Teoricamente sottoposto a una continua sorveglianza a vista, viene invece controllato ogni dieci minuti attraverso lo spioncino. Alle 20 del primo maggio le guardie del carcere di Regina Coeli trovano il detenuto impiccato, con un cappio realizzato con la federa del cuscino. Il 5 maggio, all’Istituto di medicina legale, bandiere rosse e pugni chiusi accompagnano l’uscita del feretro, diretto a Pozzaglia Sabino, in provincia di Rieti, dove si svolge il funerale. Pochi giorni dopo la morte, il Tribunale del Riesame revoca il mandato di cattura contro di lui. Successivamente tutti i compagni indagati per i fatti di via Acca Larentia saranno prosciolti.
L’avvocato Giuseppe Mattina, difensore di Mario, e i familiari, denunciano vari aspetti rimasti oscuri sulla carcerazione, sui primi soccorsi, sui referti autoptici, come sulle stesse modalità del gesto, compiuto in una cella anti impiccagione lasciandosi andare con i piedi nel water. Il procedimento aperto contro ignoti, con la costituzione della moglie Rossella come parte civile, si è chiuso in primo grado a circa un anno di distanza. Nessun responsabile se non lo stesso giovane.”
Detta così, la storia occupa poche righe, un fatto tragico come tanti, un errore, una “tigna investigativa” come tante, un “suicidio” come tanti. E’ anche presente su YouTube un bel racconto filmato da parte dei protagonisti(5). Nel libro di Valentina Mira questa storia centrale assume la veste di paradigma, di come vissero tanti giovani miei coetanei, di come intrapresero il percorso verso un mondo migliore.
Ma, ripeto per l’ennesima volta, questa non è una recensione. Leggetelo il libro, ne vale la pena se avete vissuto quelle esperienze, quegli anni. Ne vale ancor più la pena se quegli anni vi sono stati solo raccontati sulla base delle ricostruzioni giornalistiche in voga in questi anni secondo cui il trentennio dal 1960 al 1990 viene descritto esclusivamente come un trentennio di violenza politica, di scontri, di opposte fazioni.
In realtà, come si è già descritto su questo blog a proposito dell’attentato che i fascisti dei NAR portarono alla Sezione del P.C.I. Esquilino (in cui militavano tanti di noi), quello fu un trentennio di grandissime lotte e di grandi conquiste, in cui un mondo migliore sembrava a portata di mano, un problema di “quando” non di “se”.
Il libro di Mira, insieme alla storia delle ultime ore di Scrocca, descrive la storia d’amore tra due giovani, due proletari che costruiscono una famiglia, hanno un figlio molto amato, la storia dei salti mortali per mettere insieme pranzo, cena, un alloggio senza dimenticare l’impegno sociale e politico, nei quartieri e sul posto di lavoro, il riscatto lavorativo. Mira, una ragazza poco più che trentenne che potrebbe tranquillamente essere figlia della coppia (o di chi scrive che è coetaneo dei protagonisti) parla poco di se ma in maniera assolutamente coinvolgente e sconvolgente. Con questo finisco le anticipazioni perché, ripeto, il libro va letto.
Leggere il libro però mi ha dato l’occasione di mettere insieme e per iscritto una serie di considerazioni.
Volevamo cambiare in meglio il mondo ed eravamo pure tanti, eppure il mondo è peggiorato. Mentre Mario si batteva per i marciapiedi nella sua borgata, noi ci battevamo per spostare il mercato di Piazza Vittorio o il recupero dell’Acquario, sicuramente sia Mario sia noi avevamo il problema della droga che falcidiava la nostra generazione e sono sicuro che anche Mario ha visto ragazzi bucarsi per le strade dell’Alessandrino, così come noi li vedevamo la sera sotto i portici di Piazza Vittorio. Sono sicuro che anche Mario andava nelle bische clandestine a recuperare “pischelli” (ragazzini) e a cercare di coinvolgerli in attività di quartiere perché da perdere ore nelle bischette a bucarsi il passo era brevissimo.
“Fare politica” in quegli anni non era fare accordi con altre forze, era mettere insieme un comitato di quartiere, una consulta giovanile, andare sotto le scuole, organizzare i corsi per l’esame di maturità. Sono sicuro che anche Mario ha fatto queste e altre cose simili.
Lo scopo politico era però lungimitante, lo scopo era di costruire quella società “di liberi e uguali” che unisce la rivoluzione francese al marxismo, al socialismo. Forse inconsapevolmente, eravamo tutti eredi di secoli di lotta per la libertà ed uguaglianza. Con accenti diversi, praticavamo quella aspirazione al socialismo che tutti i diritti deve rispettare tranne quello dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo che tutti gli altri diritti nega (per parafrasare Enrico Berliguer).
Eppure questo nostro agire non si è trasformato, quando la nostra generazione è diventata “grande”, in un governo della società in tal senso, Anzi proprio politici della nostra generazione, nel nostro paese ma anche nel resto del mondo, sono stati tra quelli che hanno smantellato la sanità pubblica, l’edilizia popolare, hanno distrutto le aziende municipalizzate e ha privatizzato i servizi. E non eravamo una infima minoranza, erano pochissimi quelli che, all’epoca, non si dicessero di sinistra(6).
E questa è la prima riflessione un po’ amara. Come disse Warren Buffett: “la lotta di classe c’è stata e l’abbiamo vinta noi” (intendendo ovviamente la classe che rappresenta, i capitalisti(7)).
La seconda considerazione, che nel libro è, più che altro, percepibile sullo sfondo, i fascisti in quegli anni non erano un problema o, meglio, non erano un problema “politico” ma solo di ordine pubblico, di autodifesa delle sezioni, delle compagne e dei compagni, dei cortei.
I fascisti, i neo fascisti, non “facevano politica”. Anche ad Esquilino, quartiere in cui c’era la famosa/famigerata Colle Oppio, non rammento volantinaggi del Fronte della Gioventù o del Movimento Sociale, neanche in quella parte del quartiere (da Via Merulana verso, appunto, Colle Oppio) che era considerato zona loro, men che meno nel resto del quartiere. Al massimo qualche affissione. E non perché noi fossimo violenti, andassimo a picchiarli appena mettevano fuori la testa da Colle Oppio, alcuni di loro venivano tranquillamente nelle nostre stesse scuole, persino uno degli assassinati ad Acca Larentia, Francesco Ciavatta frequentava una scuola del nostro quartiere, il Galilei, senza particolari problemi.
Leggendo le cronache di quegli anni l’attenzione si concentra sulle gesta delle Brigate Rosse, dei Nuclei Armati Proletari, ecc. Eppure quelli che “scelsero la lotta armata” furono una assoluta minoranza rispetto alla totalità dei movimenti di sinistra ed anche uno slogan del movimento “né con lo Stato né con le BR” (che come giovani del P.C.I. abbiamo sempre avversato) esprimeva la lontananza da quella scelta violenta. Anzi, e non è una tesi solo mia, è proprio con l’apice del terrorismo, il rapimento di Aldo Moro, che il movimento del settantasette inizia a deperire rapidamente e non penso sia una mera coincidenza temporale. Eppure, in termini di tempo, l’apice della lotta armata si concentra in una manciata di anni, cinque o sei, rispetto ad un trentennio di lotte.
Insomma negli anni settanta c’era politica e la violenza era solo, e largamente, minoritaria, certo faceva notizia, ma a vedere quella stagione con quegli occhiali che vogliono metterci per forza non vediamo tutto il resto cioè l’enorme potenzialità di un movimento di rinnovamento del paese fatto di lavoratori e giovani, con partiti politici strutturati e capillari, Organizzazioni sindacali rappresentative e combattive sui luoghi di lavoro, autorganizzazione nei quartieri anche fuori dai partiti. Con ciò non nego crimini efferati, il rogo di Primavalle in cui furono uccisi i due poveri fratelli Mattei ragazzo uno, bimbo l’altro, la stessa strage di Acca Larentia. Ho già detto, su questo blog, che se fossero arrestati e condannati i criminali che spararono a Ciavatta e Bigonzetti la mia conclusione sarebbe che giustizia è stata fatta. Come sarebbe fatta giustizia se venissero condannati gli autori degli omicidi di Valerio Verbano, di Fausto e Iaio, di Ivo Zini.
Un altra considerazione deriva da questi ultimi pensieri sparsi e riguarda l’eterno vittimismo degli eredi, diretti o indiretti, di Salò, cui accenna anche Valentina Mira nel libro.
Su queste stesse pagine ho già contestato(8), numeri alla mano, la pretesa dei fascisti (siano essi “neo-” o “a-”) di essere stati le uniche vittime della violenza politica di quegli anni e sulla speculare tesi che la loro fu una violenza “di reazione”. Non mi interessa tornarci, non ho cambiato idea.
Mi interessa però capire come mai questa pretesa non sia stata mai, finora, contrastata né dai media, asseritamente progressisti, né dai tanti politici che, miei coetanei, sanno come sono andate veramente le cose.
Si è operato uno sdoganamento e non solo ad opera di Berlusconi che ha portato gli eredi del MSI al governo per primo.
Quando si interloquisce con coloro che ospitavano i NAR nelle loro sedi (fatto processualmente accertato(9)) come se fosse cosa normale, come se fossero politici qualsiasi, quando si va alle feste di Atreju così come se fossero feste di un partito normale si dimentica la loro storia, storia che viene puntualmente rivendicata (dall’attuale Presidente del Consiglio all’ultimo dei militanti).
Solo da qualche giorno le “sparate” dei fascisti di governo, questo misto di riscrittura della storia, falsità, vittimismo, appelli ad un patriottismo che è solo nazionalismo xenofobo e vuoto, sono state notate dai media e sono state oggetto anche di inchieste sotto copertura che hanno “svelato” realtà che noi conoscevamo bene.
La stessa pretesa di “rovesciare l’egemonia culturale della sinistra” attraverso operazioni di governo, cioè colpendo le espressioni culturali “nemiche” (si veda il progetto di riforma degli incentivi alla cinematografia proposto da non rimpianto ministro Sangiuliano) cosa è se non un progetto simile al “Minculpop”?
Epperò, forse, una ragione psicologica c’è in questa rimozione.
Ricordare chi sono i fascisti significa anche ricordare cosa si faceva come “politica agita” tutti i giorni, quali erano gli ideali e aspirazioni di molti di, se non tutti, noi.
“Con i fascisti abbiamo smesso di parlare il 25 aprile” affermava Giancarlo Pajetta ma quello era un pericoloso sovversivo (“Il ragazzo rosso” come si intitolava la sua autobiografia). Karl Popper, con il suo famoso paradosso, invitava ad essere tolleranti con tutte le ideologie tranne con quelle che incitano alla intolleranza ed alla discriminazione (fondamento di ogni ideologia nazionalista e xenofoba). Popper era profondamente anticomunista, oggi passerebbe per un sovversivo al pari di Pajetta.
Non voglio incitare i media e i politici progressisti a rifarsi a Pajetta (potrebbero soffrire di un forte shock anafilattico) ma almeno non scordassero Popper.
Questo mi fa pensare che non tutti siano rimasti “dalla stessa parte”
In conclusione, ripeto, leggete il libro di Valentina Mira prima che lo facciano sparire dalle librerie…
1 Mira, Valentina. Dalla stessa parte mi troverai. SEM, Prima edizione in “Italian Tabloid” febbraio 2024
2 Ricorderete che la selezione del libro per il premio Strega di quest’anno ha scatenato le polemiche di tanta “destra di governo” che, senza neppure averlo letto, ha attaccato ValentinaMira con l’eleganza che è tipica dei fascisti (a-fascisti, neo fascisti, fascisti del terzo millennio, ecc.) accusandola di revisionismo storico (falso) e scrittura militante (vero e rivendicato apertamente). Trovate questi attacchi e le risposte puntuali di Mira in rete, segnalo le domande di Mira a Lamberto Sechi a 8 e ½ su la Sette come esempio. Oppure leggete la bella intervista pubblicata dal Manifesto https://ilmanifesto.it/acca-larentia-la-parola-letteraria-si-confronta-con-la-memoria-politica
3 In alcune ricostruzioni Mario Scrocca viene definito come militante di Lotta Continua, che però si era “sciolta” come partito nel 1976, restava il quotidiano e un area di militanti privi però di una struttura. I rapporti di noi della F.G.C.I. con quell’area non erano facili, anche se spesso nelle scuole e nei quartieri alla fine si collaborava, diverso era il caso dell’area di Autonomia Operaia con cui i rapporti politici erano quasi inesistenti soprattutto, per quanto ci riguardava, per una certa contiguità con le ragioni della “lotta armata” (era un epoca così)
4 https://larossaprimavera.org/mario-scrocca/
5 “Il ragazzo che lottava per i marciapiedi” di Giancarlo Castelli, Rossella e Tiziano Scrocca https://www.youtube.com/watch?v=zORV-U8wR2A&rco=1
6 Illuminante e sferzante la battuta che Francesco Guccini mette in bocca al padreterno arrabbiato con il figliolo in “Genesi” (Opera Buffa, 1973): “che significa sono di sinistra? Non sono un socialdemocratico anch’io?”
7 “There’s class warfare, all right, but it’s my class, the rich class, that’s making war, and we’re winning.” New York Times, Ben Stein, 26/11/2006
8 https://www.parliamodisocialismo.it/2024/06/18/16-giugno-1979-ore-1930-esquilino-roma-i-nar-come-risposta-alla-violenza-di-sinistra-altri-momenti-di-riscrittura-della-storia/
9 https://www.parliamodisocialismo.it/2024/06/09/16-giugno-1979-ore-1930-esquilino-roma-la-sentenza/
Non ho letto il libro e, quindi, non posso parlarne (cosa che, invece, non si periterebbe di fare l’ex ministro della cultura, meglio, incultura). Le cose che scrive Roberto richiamano alla mente un’epoca che è passata ma che non va assolutamente dimenticata! Sono stati quelli anni tremendi! Il giorno di Acca Larentia ero, con altri compagni, al cinema Trianon, all’epoca un d’essai, e durante lo spettacolo (mi pare un film su Gramsci) arrivò un gruppo di compagni che, entrando di corsa in sala, ci invitò a lasciarla in quanto stavano arrivando i fascisti organizzati in squadre! Questo era il clima e concordo con le parole di Roberto intorno al vittimismo di cui si rivestono i personaggi che oggi occupano posizioni di potere e provengono dalla destra. Ringrazio, quindi, Roberto per la bella e stimolante riflessione da riprendere, magari, con un’iniziativa in presenza.
Bravo Roberto , analisi lucida e spietata il rammarico è che i nostri ricordi sono sovrapposti dai loro e in questo gioco delle carte nessuno guarda il punto un due di coppe non copre un re.