Papa Pio XII, sulla sedia gestatoria, saluta i parrocchiani durante un'udienza in Vaticano (Dominio Pubblico per decorso del tempo, fonte Wikimedia Commons)Dicembre 1953, Papa Pio XII, sulla sedia gestatoria, saluta i parrocchiani durante un'udienza in Vaticano

Quando si tratta di difendere la democrazia bisogna stare molto attenti a chi si prende come punto di riferimento. Pio XII non pare il pontefice giusto. Nonostante ciò, questo è stato il tema del convegno dell’Istituto cattolico Luigi Sturzo “Chiesa e democrazia. A ottant’anni dal Radiomessaggio di Pio XII per il Natale 1944”, organizzato per commemorare l’importante discorso di Papa Pio XII, pronunciato durante la Seconda Guerra Mondiale. Vi hanno partecipato, tra gli altri, il cardinale Zuppi, Andrea Riccardi, Patrizia Giunti e Giuseppe de Rita che hanno svolto relazioni.

Naturalmente per perorare la causa della democrazia oggi assaltata dai nazionalismi in Occidente va bene di questi tempi attaccarsi a tutto, anche a Pio XII. Ma a che pro, vista la personalità conservatrice ai limiti del reazionarismo di papa Pacelli?

Andrea Riccardi, per esempio, autore di recenti e onesti libri su papa Pacelli e i suoi silenzi su polacchi ed ebrei durante la guerra (L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Roma-Bari, Laterza, 2008; La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei, Laterza, Roma-Bari, 2022), dice che Pio XII “scelse la democrazia”. Visto il ruolo complessivo che ebbe durante la guerra e poi subito dopo, mi pare sia più giusto dire – considerato che il Pacelli era sì un conservatore ai limiti del reazionarismo ma non un cretino – che la sua non fu una scelta ma un’accettazione obtorto collo che prendeva atto di come stavano le cose nell’animo delle genti alla fine di quell’anno ’44 quando ormai il nazifascismo risultava irrimediabilmente sconfitto.

Infatti il radiomessaggio parte dalla costatazione che i popoli “richieggono un sistema di governo, che sia più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini”. Per la Chiesa, dice in punta di dottrina, “non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l’origine e l’uso del potere pubblico”, e che “la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini. (Leone XIII Encicl. ‘Libertas’, 20 giugno 1888, in fin.)”. Inoltre, osserva che “lo Stato democratico può essere monarchico o repubblicano”. Sul tema della diseguaglianza distingue fra quella, considerata naturale che è nell’ordine delle cose e quella prodotta dall’arbitrio. Mette in guardia sulla differenza fra popolo che “vive e si muove per vita propria” e “massa” “facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl’istinti o le impressioni”. Non li nomina ma è facile scorgere tra gli “sfruttatori” il profilo dei comunisti e dei socialisti. “Nessuna forma di Stato – aggiunge – può non tener conto di questa intima e indissolubile connessione [con i dogmi del dio pacelliano]; meno di ogni altra la democrazia”. Pertanto, “Soltanto la chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell’opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il potere, in condizione di adempire i propri obblighi di ordine sia legislativo, sia giudiziario od esecutivo”. Insomma, la democrazia o è cattolica apostolica romana o non è. Per questo, esorta il Papa, occorre che in Parlamento sieda numerosa “Una eletta di uomini di solida convinzione cristiana”. Sua Santità teme i tanti mali intenzionati che la lotta al nazifascismo ha risvegliato.

Tra le tante speranze di condizionamento regressivo della democrazia che Pio XII nutre c’è il voto alle donne. In particolare confidava, come è noto, che l’elettorato femminile possa essere meglio influenzato, almeno in Italia, dalla Chiesa in senso conservatore e reazionario.

Che la sua propensione andasse nella direzione del conservatorismo reazionario ne dette subito una palpitante testimonianza il 2 giugno del ’46. Quando il giorno prima, approfittando del suo onomastico, in spregio a ogni delicatezza istituzionale e rompendo il silenzio elettorale previsto dal governo, dice ai cattolici che la scelta dell’indomani fra Monarchia e Repubblica è fra la “salda rocca del cristianesimo” e la “onnipotenza di uno Stato materialista senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio”. Quella volta gli andò male; persino nel bianco Trentino e nell’altrettanto bianco Veneto i cattolici non seguirono Pacelli e votarono per la Repubblica, cioè, seguendo il suo dire, per lo Stato materialista. La monarchia savoiarda ne aveva combinate troppe.

Gli andrà assai meglio, invece, nelle prime elezioni parlamentari del ’48, ma ormai era pienamente operante la “guerra fredda” fondata non più sulla coppia fascismo-antifascismo ma su quella comunismo – anticomunismo a Pacelli assai più consona.

Pio XII non fu un nume tutelare della democrazia ma un suo avversario o, almeno, un solido frenatore dei suoi sviluppi più avanzati e costituzionali.

Immagine di apertura di dominio pubblico per decorso del tempo (fonte Wikimedia Commons)

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