Riprendiamo la pubblicazione del saggio sospesa il 13 dicembre scorso

MANUALI UTILIZZATI

P. Silva, Corso di storia ad uso dei licei ed istituti magistrali, Messina, 1940

N. Rodolico, Sommario storico per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1937

N. Rodolico, Sommario storico per licei ed istituti magistrali in letture di documenti contemporanei, Firenze, 1959

A. Manaresi, La civiltà contemporanea, Torino, senza data

B. Lizier, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Milano, 1940

L. Simeoni, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Bologna, 1940

A. Bazzola, Roma, Torino, senza data

F. Cognasso, Storia d’Italia per licei ed istituti magistrali, storia contemporanea, Torino, 1935

N. Cortese, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1942

A. Valori – U. Toschi, L’età contemporanea, Torino, 1927

10. I FASCISTI E IL BOLSCEVISMO

Il manuale di Rodolico del 1959 riassume in poche battute la motivazione profonda della nascita del movimento fascista e della sua costituzione in partito politico.

Nel marzo del 1919 Benito Mussolini fondò a Milano i Fasci italiani di combattimento. I Fasci raccoglievano giovani animosi che intendevano opporsi con la forza ai comunisti e ai socialisti rivoluzionari, sostituendosi al governo, incapace di far valere la sua autorità; essi intendevano inoltre di rimettere in valore la vittoria riportata con le armi, e di affermare la potenza dell’Italia nei rapporti internazionali. Tale programma andava incontro ai desideri di moltissimi Italiani, allarmati dalla minaccia rivoluzionaria bolscevica e dalla mancata difesa dello Stato, e destava l’entusiasmo di reduci dalla guerra, esasperati dallo scempio che si faceva della vittoria sanguinosamente raggiunta. I Fasci di combattimento, nel novembre del 1921, si trasformarono in Partito nazionale fascista. Nel marzo del 1922 le squadre dei fascisti stroncarono l’azione rivoluzionaria dei comunisti che avevano proclamato lo sciopero generale in tutta Italia; i fascisti riuscirono a riorganizzare i servizi pubblici, e a farli funzionare. Gli Italiani, stanchi di due anni di continui scioperi – nel 1920 erano stati 1880 – applaudivano i fascisti, né consideravano che per liberarsi da violenti, davano man forte ad altri violenti.

È abbastanza evidente anche da questo testo, scritto, peraltro, in epoca postfascista, quanto il bolscevismo sia il problema più impellente cui il ceto borghese italiano del primo dopoguerra debba porre rimedio. La questione storica sta nel fatto che i comunisti e i socialisti vengono posti come la causa che scatena l’effetto fascista senza notare che quella causa aveva una sua precisa ragion d’essere nel rappresentare l’unica forza politica autenticamente schierata a difesa degli interessi delle classi subalterne italiane uscite ancor più indebolite sul piano economico e sociale dalla guerra. Quindi non si può definire violenza la rivendicazione del diritto al lavoro e alla terra; è autentica violenza quella esercitata da chi, cioè i fascisti, vuole impedire che quei diritti sacrosanti siano garantiti. Che questa fosse l’impostazione diffusa nella storiografia fascista fanno fede i due brani seguenti tratti dal manuale di Manaresi, p. 235 e p. 237, nei quali addirittura si arriva a dipingere i fascisti come le vittime, “i martiri”, della violenza comunista; sappiamo, e già lo abbiamo ricordato, che le cose andarono proprio in maniera inversa.

Purtroppo di questo malcontento [quello generato nei ceti economicamente più deboli dagli esiti della guerra, n.d.c.] profittarono gli sfruttatori interessati, quei socialisti e comunisti, che avevano sempre predicato contro la guerra, ed ora celebravano le viltà e le vergogne della rivoluzione russa: essi preparavano ai nostri soldati, reduci dalle angoscie della guerra, un più angoscioso dopo-guerra; e a costoro, che, stanchi, poveri, feriti, spesso senza lavoro, tornavano alle loro città, ai loro campi, predicavano la rivoluzione sociale, l’odio contro la proprietà, la ribellione allo Stato, come se dalla rovina della ricchezza pubblica e privata dovesse sorgere la felicità di tutti. Fu quello il momento degli arruffapopoli ignoranti, dei predicatori irresponsabili, delle spie pagate dalla Russia comunista; si maledisse la guerra, si derise la vittoria, si insultarono ufficiali e mutilati per le vie, si assalirono e si occuparono violentemente le fabbriche, si abbandonarono i campi. E intanto biechi delinquenti diffondevano il terrore in ogni luogo con attentati mostruosi, mietendo vittime innocenti.

Contro di essi [i fascisti, n.d.c.] si appunta l’odio dei comunisti, che a tradimento uccidono giovani fascisti, li assaltano nei ritrovi, li insultano, li calunniano nei giornali. Così cadono per tutte le città d’Italia i primi martiri fascisti, giovani sul primo sbocciare della vita, uomini maturi, risparmiati dalla guerra e destinati a cadere vittime del nemico interno. Ma i fascisti aumentano di numero e di audacia: l’Italia ne è piena: ad ogni delitto dei sovversivi risponde sicura, fulminea la controffensiva fascista; alla violenza dei folli che trascinano la patria nella vergogna, bisogna opporre la violenza che salverà l’Italia e il suo avvenire.

L’8 maggio del 1920, in un articolo intitolato Per un rinnovamento del partito socialista, pubblicato su «L’Ordine Nuovo», Gramsci scriverà: «La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione … o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo a un lavoro servile: si cercherà di spezzare inesorabilmente gli organismi di lotta politica della classe operaia (Partito socialista) e di incorporare gli organismi di resistenza economica (i sindacati e le cooperative) negli ingranaggi dello Stato borghese». Ancora, in un articolo sempre pubblicato su «L’Ordine Nuovo» il 25 agosto 1921, intitolato I due fascismi, Gramsci chiariva cosa fosse il fascismo, quali ne potevano essere gli esiti (qui la previsione di una scissione fu errata ma ciò nulla toglie alla pertinenza dell’analisi), quanto il proletariato italiano avrebbe pagato per le violenze subite dagli squadristi:

«La crisi del fascismo, sulle cui origini e cause tanto si sta scrivendo in questi giorni, è facilmente spiegabile con un serio esame dello sviluppo stesso del movimento fascista.

I Fasci di combattimento nacquero, all’indomani della guerra, col carattere piccolo-borghese delle varie associazioni di reduci, sorte in quel tempo. Per il loro carattere di recisa opposizione al movimento socialista, eredità in parte delle lotte fra il Partito socialista e le associazioni interventiste nel periodo della guerra, i Fasci ottennero l’appoggio dei capitalisti e delle autorità. Il loro affermarsi, coincidendo colla necessità degli agrari di formarsi una guardia bianca contro il crescente prevalere delle organizzazioni operaie, permise al sistema di bande create ed armate dai latifondisti di assumere la stessa etichetta dei Fasci, alla quale conferirono col successivo sviluppo la stessa caratteristica loro di guardia bianca del capitalismo contro gli organi di classe del proletariato.

Il fascismo conservò sempre questo vizio d’origine. Il fervore dell’offensiva armata impedì fino ad oggi l’aggravarsi del dissidio fra i nuclei urbani, piccolo-borghesi, prevalentemente parlamentari e collaborazionisti, e quelli rurali, formati da proprietari terrieri grandi e medi e dagli stessi coloni, interessati alla lotta contro i contadini poveri e le loro organizzazioni, recisamente antisindacali, reazionari, più fiduciosi nell’azione armata diretta che nell’autorità dello Stato e nell’efficacia del parlamentarismo.

Nelle zone agricole (Emilia, Toscana, Veneto, Umbria), il fascismo ebbe il maggior sviluppo, raggiungendo, coll’appoggio finanziario dei capitalisti e la protezione delle autorità civili e militari dello Stato, un potere senza condizioni. Se da una parte l’offensiva spietata contro gli organismi di classe del proletariato è servita ai capitalisti, che nel volgere di un anno poterono vedere tutto l’apparecchio di lotta dei sindacati socialisti infrangersi e perdere ogni efficacia, è innegabile però che la violenza, degenerando, ha finito per creare al fascismo un’opinione diffusa di ostilità nei ceti medi e popolari.

Gli episodi di Sarzana, Treviso, Viterbo, Roccastrada scossero profondamente i nuclei fascisti urbani, personificati in Mussolini, che cominciarono a vedere un pericolo nella tattica esclusivamente negativa dei Fasci delle zone agricole. D’altra parte questa tattica aveva già dato ottimi frutti trascinando il Partito socialista su un terreno transigente e favorevole alla collaborazione nel paese ed in Parlamento.

Il dissidio latente comincia da questo momento a manifestarsi in tutta la sua profondità. Mentre i nuclei urbani, collaborazionisti, vedono ormai raggiunto l’obiettivo, propostosi, dell’abbandono dell’intransigenza classista da parte del Partito socialista, e si affrettano a verbalizzare la vittoria col patto di pacificazione, i capitalisti agrari non possono rinunziare alla sola tattica che assicura loro il «libero» sfruttamento delle classi contadine, senza seccature di scioperi e di organizzazioni. Tutta la polemica che commuove il campo fascista, fra favorevoli e contrari alla pacificazione, si riduce a questo dissidio, le cui origini non si debbono ricercare che nelle origini stesse del movimento fascista.

Le pretese dei socialisti italiani, di aver cioè essi provocata la scissione nel movimento fascista colla loro abile politica di compromesso, sono nient’altro che una riprova del loro demagogismo. In realtà la crisi fascista non è di oggi, ma di sempre. Cessate le ragioni contingenti che mantenevano compatte le schiere antiproletarie, era fatale che i dissidi si manifestassero con maggior evidenza. La crisi è quindi niente altro che il chiarirsi di una situazione di fatto preesistente.

Dalla crisi il fascismo uscirà scindendosi. La parte parlamentare, capeggiata dal Mussolini, appoggiandosi sui ceti medi, impiegati e piccoli esercenti ed industriali, tenterà la loro organizzazione politica, orientandosi necessariamente verso una collaborazione coi socialisti e coi popolari. La parte intransigente, che esprime la necessità della difesa diretta e armata degli interessi capitalistici agrari proseguirà nella sua azione caratteristica antiproletaria. Per questa parte, la piú importante nei confronti della classe operaia, non avrà alcun valore il «patto di tregua» che i socialisti vantano come una vittoria. La «crisi» segnerà soltanto l’uscita dal movimento dei Fasci di una frazione di piccoli borghesi che hanno invano tentato di giustificare con un programma politico generale di «partito» il fascismo.

Ma il fascismo, quello vero, che i contadini e gli operai emiliani, veneti, toscani conoscono per la dolorosa esperienza degli ultimi due anni di terrore bianco, continuerà, anche magari cambiando il nome.

Compito degli operai e dei contadini rivoluzionari è di approfittare del periodo di relativa sosta, determinata dai dissidi interni delle bande fasciste, per infondere alle masse oppresse ed inermi una chiara coscienza della reale situazione della lotta di classe e dei mezzi adatti a vincere la baldanzosa reazione capitalistica».

11. IL COMUNISMO

Il manuale di Lizier alla p. 445 riporta una sintetica descrizione del concetto di comunismo

Dei negati maggiori compensi per la parte avuta dall’Italia nella guerra, della grave crisi economica e finanziaria, della miseria diffusa, approfittavano i superstiti neutralisti e i partiti sovversivi: quelli per recriminare contro la guerra da essi deprecata, questi per bestemmiare ogni ideale patrio e guadagnare le folle al programma anarcoide della lotta di classe o al mito della rivoluzione russa, di cui nulla si sapeva di preciso e i cui orrori venivano taciuti, ma che alle folle, ignare e malcontente, era presentato come il paradiso in terra: il paradiso di Lenin. Il Paese era mantenuto così in uno stato di agitazione irosa, pronta ai peggiori eccessi. Penosa situazione interna, che aveva dolorosi riflessi anche nella politica estera, togliendo ai governi del dopo-guerra la forza necessaria per difendere gli interessi nazionali e li rendeva impazienti di affrettare, anche per via d’accomodamenti, la liquidazione della guerra.

A parte il fatto che non viene spiegato allo studente delle medie superiori del periodo fascista perché mai le folle italiane erano “malcontente” alla fine della prima guerra mondiale, restano alcuni dubbi sul concetto di comunismo e sulla sua pratica applicazione nella Russia di Lenin; che il programma della lotta di classe fosse anarcoide, nonostante tutte le discussioni fatte e da fare sulla teoria marxista dello Stato, sembra abbastanza fuorviante così come sembra fuorviante parlare di mito a proposito della rivoluzione russa la quale il suo programma lo aveva rispettato: fuori dalla guerra e battaglia per il pane contro la fame. Che “la situazione irosa” in cui il Paese versava potesse essere la conseguenza delle notizie provenienti dalla Russia è molto parzialmente vero; infatti l’autore dimentica che nel 1917 c’erano stati moti di piazza nel nord, soprattutto a Torino, per denunciare la carenza di pane il quale di certo mancava non a causa degli avvenimenti russi. Gramsci ci dice, in un articolo intitolato Operai e contadini e pubblicato su «L’Ordine Nuovo» del 2 agosto 1919, che cos’è il comunismo e, di conseguenza, capiamo perché quante e quanti a esso si richiamavano erano odiati dai fascisti e da chi li foraggiava: «Gli operai d’officina e i contadini poveri sono le due energie della rivoluzione proletaria. Per loro specialmente il comunismo rappresenta una necessità esistenziale: il suo avvento significa la vita e la libertà, il permanere della proprietà privata significa il pericolo immanente di essere stritolati, di tutto perdere fino alla vita fisica (…) Il comunismo è la loro civiltà, è il sistema di condizioni storiche nelle quali acquisteranno una personalità, una dignità, una cultura, per il quale diventeranno spirito creatore di progresso e di bellezza».

12. PROVOCATORI E PROVOCATI

Il Lizier, a p. 352 del suo manuale, e il Valori-Toschi, a p. 508, descrivono episodi di violenza accaduti soprattutto nel 1920 attribuendoli al proletariato e alle sue organizzazioni.

Sono quelli gli anni [1919, 1920, n.d.c.] appunto degli scioperi a catena, dell’occupazione delle fabbriche, dell’invasione delle terre; ma sono anche gli anni nei quali i cittadini, contro la marea montante del disordine e contro gli eccessi e il prepotere del sovversivismo, che il Governo pareva impotente a frenare, cominciano a guardare al Fascismo come alla loro difesa e sotto la sua bandiera si raccolgono e si organizzano le reazioni individuali e collettive. Così, in seguito ai fatti di Bologna e di Ferrara del 21 novembre e del 20 dicembre 1920, la popolazione di quelle città insorge, sotto l’egida del Fascismo, contro la tirannide rossa, e nelle stesse campagne del Ferrarese e del Bolognese, che parevano roccheforti imprendibili dei rossi, si ha nel 1921 un capovolgimento di posizioni.

[…]

Una lunga serie di conflitti turbò la vita pubblica italiana per il triennio 1920-21-22 culminando talora in stragi atrocissime, come quelle del palazzo d’Accursio a Bologna (novembre 1920), della piazza del castello Estense a Ferrara (dicembre 1920) (…) in cui la ferocia sovversiva fece scempio dei giovani generosi che mostravano di non temerla.

Cosa sono gli “eccessi e il prepotere del sovversivismo”? Semplice, ma non scritto dall’autore: lo sciopero di La Spezia contro il rincaro dei generi di prima necessità, lo sciopero dei metallurgici in Liguria, Lombardia ed Emilia, le occupazioni delle terre, la sollevazione generale contro l’aumento del pane, l’occupazione delle fabbriche; possono essere definite prepotenze tutte le iniziative finalizzate al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei ceti meno abbienti? Inoltre va specificato quello che avvenne in Emilia nel 1920, in specie a Bologna il 21 novembre. I socialisti avevano vinto le elezioni amministrative; visto che era stata da poco assalita dai fascisti la sede della Camera del Lavoro, la nuova amministrazione decise di dare una particolare solennità all’insediamento. I fascisti, sotto la protezione dei carabinieri e delle guardie regie, assalirono a revolverate palazzo d’Accursio, sede del municipio, determinando la risposta da parte di chi era all’interno; i morti, tutti socialisti, ad esclusione del consigliere liberale Giulio Giordani, furono Livio Fazzini, Antonio Amadesi, Vittorio Fava, Carolina Zecchi, Fulvio Bonettini, Enrico Comastri, Gilberto Cantieri, Leonida Orlandi (deceduto il 22 novembre), Ulderico Lenzi (deceduto il 7 gennaio) ed Ettore Masetti (deceduto il 13 febbraio). Nonostante il diniego del questore Poli, i fascisti erano riusciti ad affiggere su diversi muri di Bologna il seguente testo, scritto dal Fascio bolognese alla vigilia dei fatti di Palazzo d’Accursio, dalla cui lettura si evince come gli squadristi, ben lungi dall’attendersi un’insurrezione della popolazione “contro la tirannide rossa”, temessero l’esatto contrario: «Cittadini, i massimalisti rossi sbaragliati e vinti per le piazze e per le strade della città chiamano a raccolta le masse del contado per tentare una rivincita, per tentare d’issare il loro cencio rosso sul palazzo comunale! Noi non tollereremo mai questo insulto! Insulto per ogni cittadino italiano e per la Patria nostra che di Lenin e di Bolscevismo non vuole saperne.
Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino in casa e se vogliono meritare della patria espongano dalle loro finestre il Tricolore Italico.
Per le strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi solo Fascisti e Bolscevichi.
Sarà la prova! La grande prova in nome d’Italia».
Ripristinata la verità storica, si capisce di chi fu la responsabilità dei morti: fu dei fascisti e di chi li copriva. Sullo scatenamento delle violenze fasciste nel biennio 1921-1922 si rimanda a Dodicesima disposizione. Fascismo e neofascismo: conoscerli per combatterli, (nuova edizione ampliata), a cura del Dipartimento Antifascismo del Partito della Rifondazione Comunista, Roma, Bordeaux, 2023, specialmente pp. 28-39.

Crediti foto: Wikimedia Commons, adunata balilla, autore e data sconosciuti, PD per decorso del tempo

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