MANUALI UTILIZZATI
P. Silva, Corso di storia ad uso dei licei ed istituti magistrali, Messina, 1940
N. Rodolico, Sommario storico per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1937
A. Manaresi, La civiltà contemporanea, Torino, senza data
B. Lizier, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Milano, 1940
L. Simeoni, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Bologna, 1940
A. Bazzola, Roma, Torino, senza data
F. Cognasso, Storia d’Italia per licei ed istituti magistrali, storia contemporanea, Torino, 1935
N. Cortese, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1942
A. Valori – U. Toschi, L’età contemporanea, Torino, 1927
17. IL TOTALITARISMO FASCISTA
Il manuale del Silva, a p. 400, chiarisce quali sono le basi e le conquiste dello Stato fascista.
Appare da ciò una tendenza caratteristica del Fascismo; quella di essere movimento totalitario; il che è espresso dalla formula: “tutto il potere a tutto il Fascismo”. Siffatta tendenza si estrinsecò in pieno dal gennaio 1925 quando, attraverso una serie di leggi fascistissime, venne creato lo Stato totalitario. Ma già nel 1923 la legislazione fascista e il suo spirito avevano avuto manifestazioni di importanza essenziale. Nel gennaio 1923 era stato infatti costituito il Gran consiglio, formato dagli esponenti principali del Fascismo, anche all’infuori del Governo e del Parlamento, perché fosse l’organo della rivoluzione in atto. Qualche mese dopo, fu organizzata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, nella quale vennero immessi e inquadrati con i loro ufficiali i battaglieri elementi delle squadre d’azione.
Va detto che l’autore coglie con precisione nel totalitarismo l’essenza dello Stato fascista. Dimentica di scrivere, però, come si arrivò all’uso del termine totalitarismo. Il termine, infatti, venne usato per la prima volta (quindi si tratta di un vero e proprio neologismo) da Giovanni Amendola, ossia da un antifascista, che con esso voleva caratterizzare negativamente l’azione politica dei fascisti. A Mussolini, invece, la cosa piacque talmente tanto che si appropriò del termine dandogli un’accezione positiva (ovviamente dal suo punto di vista). Se ci si fa caso, nessun regime con le caratteristiche del fascismo ha mai usato per se stesso il termine totalitarismo, proprio perché, in genere, il suo significato è inteso in senso negativo. Le leggi fascistissime sono il cuore dello Stato totalitario, ossia la completa negazione di ogni libertà, la fine dei partiti politici, l’annullamento della più piccola parvenza di vita e di dialettica democratica.
18. LA PATRIA
A p. 402 il Silva mette in evidenza l’importanza centrale della Patria per il fascismo.
Anche titolo altissimo di onore per il Fascismo, ed elemento essenziale della nuova atmosfera spirituale da esso creata nella Patria, è il culto dedicato alle testimonianze gloriose della guerra e della vittoria. Come lontani i tempi in cui quelle testimonianze venivano o trascurate o irrise! Oggi ogni italiano sa e sente che cosa abbia significato lo sforzo eroico e vittorioso della guerra nella storia della resurrezione della Patria, e del suo potenziamento fra le grandi Nazioni del mondo.
Si nota con chiarezza come il fine del ragionamento sulla Patria sia il raggiungimento di un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale usando l’unico strumento che un regime fondato sulla violenza potesse utilizzare: la guerra. Si dimentica, però, di mettere in evidenza come la trascuratezza e l’irrisione furono gli strumenti usati dal potere nei confronti di quei giovani soldati mandati al fronte (la leva del 1899) dopo la rotta di Caporetto con la promessa che a guerra conclusa vittoriosamente avrebbero avuto un riconoscimento sociale al loro impegno per la Patria. Sono gli stessi che occupano le terre e le fabbriche e vengono selvaggiamente aggrediti dai fascisti. Allora, chi difese e onorò la Patria? Non certo i fascisti picchiatori di coloro che la avevano difesa al fronte!
19. LA CONCILIAZIONE
Il Rodolico del 1959, a p. 337, cerca di spiegare cosa fu la Conciliazione fra lo Stato e la Chiesa, sottoscritta l’11 febbraio del 1929 da Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri, a nome di Pio XI.
Mussolini volle e compì la Conciliazione. Fu opera di saggezza politica, fu elemento di pacificazione, di concordia per milioni d’Italiani. In verità Mussolini, politico, non da fervore religioso era mosso: la Conciliazione serviva a lui ad accrescere prestigio al partito fascista, e a convogliare in esso milioni di cattolici italiani. L’opera spiegata da Mussolini e da suoi consiglieri fu facilitata dalla preparazione dell’opinione pubblica del trentennio precedente: molti pregiudizi erano caduti da una parte e dall’altra. Né ciò basta: senza la forte tenace volontà di un grande Papa italiano, Pio XI, la Conciliazione non sarebbe stata possibile. Egli intese, sua missione, ricondurre – come egli disse – l’Italia a Dio.
L’accordo con la Chiesa garantiva una crescita di consenso al regime da sfruttare sul piano politico viste la disponibilità e la simpatia di cui il fascismo godeva presso una percentuale non minima dell’alto clero. Ciò che sfugge all’autore è quanto segue: ci furono momenti di attrito fra lo Stato fascista e la Chiesa, soprattutto nel 1931, quando vennero sciolte le associazioni cattoliche fasciste e Pio XI levò alta la sua protesta con l’enciclica Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931). Subito, però, fu raggiunto il compromesso con l’accordo del 2 settembre del 1931 che prevedeva l’impegno delle associazioni cattoliche, in primis l’Azione cattolica, in un’opera di apostolato religioso e di appoggio politico allo Stato fascista senza ricorrere a dirigenti del Partito popolare che, essendo antifascista, non godeva di certo delle simpatie del regime. I testi dell’epoca fascista affrontarono il discorso in termini non dissimili come è possibile evincere dal passo seguente tratto da pag. 242 del manuale di Manaresi.
Dicemmo come dopo il 1870 tra l’Italia e la Santa Sede i rapporti fossero sempre ostili a causa della questione romana. Di questa ostilità aveva profittato la massoneria per creare tra il popolo uno spirito anticlericale, che il Fascismo, rispettoso della grande forza spirituale e morale del Cattolicismo, non poteva tollerare. Ciò che ad altri governi non era riuscito, riuscì invece a S.E. Mussolini, il quale nel febbraio 1929 potè portare a compimento l’opera della Conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa (…). Così si è chiusa la lunga e dolorosa questione romana per l’illuminata bontà di Pio XI, che gl’Italiani ricorderanno sempre come il papa della Conciliazione.
20. MUSSOLINI
Nelle letture in appendice al capitolo XIII del manuale di Manaresi, a p. 256, è possibile avere un ritratto di Mussolini, di seguito riportato, tratto dal volume di P. Gorgolini (Il fascismo spiegato al popolo).
Mussolini riassume in sommo grado le più schiette qualità della stirpe. E’ uomo d’azione; logico e a un tempo acuto pensatore; d’intuizione rapida; temperamento esuberante, polemico, passionale, volitivo, moderno. Egli campeggia nella scena politica italiana sovrastando “dalla cintola in su” tutte le figure più popolari del Fascismo italiano, di cui è anima, cuore e cervello. Possiede larga e profonda dottrina, genialmente assimilata. Oratore efficacissimo, tribuno di trascinante eloquenza, agitatore di grandi risorse. Mussolini incarna virilmente la superiore espressione del sentimento nazionale. Egli odia la bolsa retorica, i chiacchieroni, i saccenti, i pessimisti, gli infingardi, tutte le persone in mala fede. Detesta i traditori d’Italia, e, quando può, esemplarmente li punisce. La sua generosità è senza limiti. Taciturno, lavoratore, coraggioso, tenace, coerente nella sua apparente incoerenza. Fascinatore di folle. Terribile nello scatto. Nell’amicizia fedele. Tremendo nella vendetta e inesorabile. Nella buona e nella mala sorte tutto d’un pezzo. Il trionfo non l’ha mai inebriato, come la sconfitta mai abbattuto. E’ giovane nel senso più assoluto del termine. È instancabile e di vulcanica attività. Possiede poi in alto grado il senso della misura.
Il passo è esplicativo di come si crei il mito del Capo attribuendogli capacità in grado di guarire i mali del popolo e della nazione. Alla menzogna di questa descrizione serva come cura la descrizione gramsciana di seguito riportata.
«Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro feroce meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia. Conosciamo tutto questo meccanismo, tutto questo armamentario e comprendiamo che esso possa impressionare e muovere i precordi alla gioventù delle scuole borghesi; esso è veramente impressionante anche visto da vicino e fa stupire. (…) Egli era allora [quando militava nel Psi, n.d.c.], come oggi, il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica, che spera di vedere nella classe operaia lo stesso terrore che essa sentiva per quel roteare degli occhi e quel pugno chiuso teso alla minaccia» (A. Gramsci, Capo in «L’Ordine Nuovo», marzo 1924, poi in «L’Unità», 6 novembre 1924).
21. IL FASCISMO COME RELIGIONE DELLA POLITICA
Il Lizier, a p. 463, sottolinea i caratteri per cui il fascismo va inteso come una religione della politica.
Mediante la trasformazione degli istituti e la ricostruzione economica, il Fascismo mirava alla rigenerazione spirituale degli Italiani: si proponeva di formare l’Italiano nuovo già auspicato dai grandi educatori politici del Risorgimento, saldo nelle sue persuasioni e consapevole delle sue responsabilità, votato alla Patria come a un ideale religioso, e disposto a sacrificarsi per essa senza badare a rischi e scomodità. Si intese dare alla vita non più un semplice valore economico, ma il significato austero e combattivo di una milizia, in cui il fervore intimo degli ideali desse vigore alla disciplina e alla forza collettiva.
Quali in definitiva i caratteri dell’Italiano nuovo? L’autore non dice che per italiano nuovo doveva intendersi un individuo privo di coscienza il cui controllo era affidato totalmente all’ideologia che aveva nel Duce il suo sacerdote massimo. Achille Starace, segretario del Pnf dal dicembre del 1931, dirà senza mezzi termini che la base dello stile di vita del fascista perfetto sarà un’«educazione guerriera come modo di pensare e di sentire». Tale progetto pedagogico sarà realizzato nelle organizzazioni, soprattutto giovanili, appositamente create dal fascismo ed avrà il suo compendio nel comandamento che recita: «credere, obbedire, combattere».
22. L’ANTISEMITISMO E LE LEGGI RAZZIALI
A p. 465 del Lizier c’è un riferimento alla politica razziale del fascismo e alla sua attuazione grazie alle apposite leggi promulgate nel 1938.
(…) fu resa possibile, infine, la prospettiva di costruire una razza italiana sana e forte, preservandola da commistioni nocive capaci di alterarne i caratteri fisici e morali, come quelle con gli indigeni dell’impero coloniale che intanto si andava formando. Nacque così nel 1938 la politica razziale, la quale ha assunto specialmente carattere di contrapposizione fra la razza ariana e la razza ebraica, carattere cioè di antisemitismo.
L’antisemitismo non ebbe soltanto uno scopo biologico e di pura e semplice discriminazione razziale; esso nascondeva un fine politico esplicitato da Starace durante un incontro con gli estensori del Manifesto della razza nel corso del quale dichiarò l’impegno ufficiale del Partito nella campagna antisemita poiché, ovunque, gli ebrei rappresentavano lo stato maggiore dell’antifascismo. Questo aspetto sfugge all’autore che, peraltro, al problema dedica soltanto le righe appena riportate.
IL MANIFESTO DELLA RAZZA
- Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito, ma corrisponde ad una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori ed inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
- Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
- Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso è quindi basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di Nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di Nazione stanno delle differenze di razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi, dai tedeschi, dai turchi, dai greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
- La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Questa popolazione di civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra Penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
- È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della Nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre Nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i 44 milioni di italiani di oggi rimontano quindi nell’assoluta maggioranza a famiglie che abitano in Italia da un millennio.
- Esiste ormai una «pura razza» italiana. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico linguistico di popolo e di Nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
- È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli italiani e gli scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiorecoscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
- È necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
- Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.
- I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
Crediti foto: Wikimedia Commons, autore e data sconosciuti, PD per decorso del tempo
Come ho già accennato a Lelio, autore di questo pregevole studio, quando ho fatto la ricerca iconografica e ho trovato questa foto mi aveva colpito il fatto che tutti, o quasi tutti, i maschi fossero in divisa, tra i professori c’è quello, a destra, con fare spavaldo da “simpatica canaglia” un po’ all’Amedeo Nazzari, ci sono le due donne anche loro in una simil divisa, c’è quello che sembra parecchio fuori luogo in orbace e persino il prete, probabilmente insegnante di religione, con i gradi e quelle che sembrano stellette sulle spalline. Quello che regge il labaro, anch’egli in orbace, che forse è un bidello, i ragazzi in divisa, con atteggiamenti da duri a spavaldi, inconsapevoli del fatto che il regime che li aveva messi in divisa, quasi come un gioco, presto li avrebbe mandati a uccidere e morire in Russia, in Grecia, in nord Africa (la foto viene datata nell’anno 1938). Da appassionato di fotografia storica ho guardato quei volti con attenzione, solo allora ho visto, sulla estrema destra della foto un ragazzo, l’unico, in borghese con quello che sembra (la risoluzione è molto bassa) un classico completo giacca e cravatta, con una camicia bianca. Mi sono chiesto come mai, in un regime che scoraggiava, osteggiava, perseguitava chi rifiutava l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista o nelle sue articolazioni giovanili, un ragazzo aveva il coraggio di non indossare la divisa da avanguardista, penso che resterà una curiosità insoddisfatta. Naturalmente il fotografo sconosciuto lo ha piazzato ai margini, anche se stranamente non lo ha escluso. Talmente pervasiva era stata la propaganda fascista che ci appare strano l’unico ragazzo abbigliato in maniera normale per la sua età. Resta di dire che mi sono un po’ informato sulla storia del Liceo Ginnasio di Mirandola, intitolato a Giovanni Pico (ovviamente) e ho scoperto che “Durante la seconda guerra mondiale, il liceo Pico ebbe un ruolo importante nell’ambito della Resistenza italiana. Diversi professori bolognesi, tra cui Roberto Serracchioli (fucilato dai fascisti a Rovereto sulla Secchia il 7 agosto 1944), Sergio Telmon e Amilcare Mattioli incitarono la ribellione di molti intellettuali e studenti liceali della bassa modenese, che aderirono agli ideali liberalsocialisti del movimento partigiano “Giustizia e Libertà” e comunisti delle brigate garibaldine; tra questi, si ricorda lo studente medaglia di bronzo al valor militare Silvano Marelli fucilato dai fascisti il 15 marzo 1945, all’età di soli 16 anni.” (tratto dalla voce di Wikipedia). Mi piace pensare che quel solitario “ribelle” abbia avuto un ruolo, qualche anno più tardi, nel riscatto della nostra patria dalla barbarie nazifascista