Intorno al negazionismo. Cosa realmente si nasconde dietro l’equazione antitotalitaria e al processo degenerativo del dibattito pubblico sul passato

di Davide Conti – fonte “il manifesto” del 12 giugno 2021

I senatori dell’estrema destra hanno presentato un disegno di legge che chiede di ricomprendere chiunque non si adegui alle vulgate e alla propaganda sulle foibe nell’articolo del codice penale (604 bis) che punisce i negazionisti della Shoah. Si giunge così all’ultimo stadio di un processo degenerativo del dibattito pubblico sul passato che oggi propone l’equiparazione antistorica attraverso l’applicazione del dispositivo penale.

IN ORIGINE FU L’ISTITUZIONE del giorno del ricordo nel 2004, promossa dall’estrema destra post-missina e approvata con voto bipartisan a eccezione della sinistra radicale, che dichiarò il 10 febbraio giornata in memoria delle vittime delle foibe nonostante quella data nulla c’entrasse con le uccisioni del settembre 1943 e del maggio 1945 e che anzi avrebbe dovuto ricordare la firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947 dopo la guerra mondiale scatenata dall’Italia fascista e dalla Germania di Hitler.
Quasi un decennio prima Luciano Violante insediandosi da presidente della Camera aveva invitato a comprendere «i motivi» e le ragioni dei «ragazzi di Salò» ovvero dei collaborazionisti fascisti che avevano torturato e assassinato decine di migliaia di civili e partigiani al fianco dei nazisti mentre l’Italia combatteva la sua Guerra di Liberazione 1943-45.
Con il giorno del ricordo la «storia per legge» compiva il suo passo decisivo e si avviava lungo il percorso approdato oggi al «populismo storico», ovvero all’uso politico della storia che distorce il senso degli eventi, determina la torsione della conoscenza e viene usato come regolazione e controllo selettivo della memoria per governare il presente. Il populismo storico si propone la contestazione di legittimità dell’impianto valoriale antifascista emerso dalla seconda guerra mondiale e crea le condizioni di convergenza tra estrema destra sovranista e grandi istituti finanziari come la banca d’affari JP Morgan che già nel 2013 indicò la Costituzione italiana nata dalla Resistenza come un ostacolo all’egemonia liberista.
L’approdo regressivo di oggi ha avuto una lunga gestazione passando attraverso tre fasi determinate da eventi periodizzanti e concluse con il riadattamento populista della narrazione storica.
La prima fase 1945-1989 (dal secondo dopoguerra alla caduta del muro di Berlino) fu segnata dalla centralità della Resistenza europea come radice di rifondazione democratica del continente e dalla condanna della Germania nazista come responsabile unica della guerra di sterminio (ciò permise all’Italia di eludere i conti con il fascismo e i crimini di guerra).

LA SECONDA FASE post-1989 vide la Shoah divenire perno della memoria collettiva nell’ottica dell’affermazione di un paradigma organizzato sulla centralità delle vittime. Dagli anni Duemila si assiste allo sviluppo pervasivo delle istanze del populismo storico tese all’equiparazione sia delle vittime (assimilazione Shoah-foibe) sia delle parti in lotta fascisti-antifascisti.
L’Italia è stata laboratorio sperimentale di questa involuzione, tuttavia fu il Parlamento europeo con la risoluzione del 19 settembre 2019 ad equiparare nazismo e comunismo, aggregandoli nella discussa e discutibile categoria politologica del totalitarismo, contribuendo a questa deformazione e disconoscendo la centralità e l’eccezionalità della Shoah (art. 3 e 10 della risoluzione) in cui l’unicità dell’Olocausto viene meno ed esso si trasforma in una delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale.

LA PROIEZIONE di questo dispositivo politico all’interno della retorica pubblica italiana determina un’equazione «antitotalitaria» in cui la Shoah si configura come crimine nazista e le foibe come crimine comunista. Contestualmente il populismo storico chiede l’applicazione di misure penali contro chi si opponga, con gli argomenti del sapere scientifico, a «quell’annullamento della storia» che, scrive Enzo Collotti, «consentirebbe il dilagare di comportamenti svincolati da ogni pregiudiziale ideologica o etica». Questa sarà la «politica memoriale» che l’estrema destra italiana perseguirà, come accade da anni in Polonia e Ungheria, se dovesse governare il Paese.
Un controllo del passato finalizzato al governo del presente contro la memoria dei civili di ieri, che subirono il nazifascismo e lottarono contro di esso, e contro i civili di oggi che muoiono in mare o sul lavoro; che si vedono privati dei diritti e subiscono discriminazioni o violenze. «Nell’infermeria del Lager di Buna-Monowitz – scrive Primo Levi – eravamo rimasti in ottocento. La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Erano quattro giovani soldati quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo».
La questione della libertà della storia diviene oggi questione di civiltà proprio laddove «l’ingiustizia diventa legge» e «la Resistenza diventa dovere».

*( L’articolo è in interlocuzione con quello di Claudio Vercelli, uscito su queste pagine l’8 di giugno, https://ilmanifesto.it/la-destra-e-quellassurda-equiparazione-tra-le-foibe-e-la-shoah/).

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