Introduzione di Lelio La Porta al testo di Marx “La guerra civile in Francia”
Il 2 settembre del 1870 nella battaglia di Sédan veniva sconfitto dai prussiani l’esercito di Napoleone III, che lasciava il potere, mentre a Parigi, due giorni dopo, veniva proclamata la terza Repubblica francese che resistette al nemico sino al 28 gennaio del 1871, quando la capitale fu costretta a capitolare dopo un assedio di quattro mesi1. L’8 febbraio veniva eletta l’Assemblea Nazionale. Dopo la fuga di Napoleone III non era chiaro chi governasse legittimamente la Francia e avesse potere di negoziare la pace. Il governo appena eletto non riusciva a formare una maggioranza stabile. Nei territori non occupati prevaleva nettamente la destra monarchica, decisa a restaurare l’Impero e a firmare la pace. A Parigi, invece, 36 deputati su 43 erano repubblicani e ostili a firmare l’armistizio. La Guardia Nazionale, nella stragrande maggioranza formata da operai, come ricorda Engels, era dalla loro parte. Il 17 febbraio il conservatore Adolphe Thiers veniva designato capo dell’esecutivo del nuovo governo da parte dell’Assemblea Nazionale.
Da questo momento gli avvenimenti si succedono ad un ritmo incalzante e subiscono un’accelerazione: firma dei preliminari di pace a Versailles, ratificati dall’Assemblea Nazionale il 1° marzo. La Guardia Nazionale raduna 400 cannoni fabbricati grazie ai fondi raccolti con una pubblica sottoscrizione. L’Assemblea Nazionale approva i preliminari di pace e i prussiani occupano simbolicamente Parigi per tre giorni.
Nelle due settimane fra il 3 e il 18 marzo l’Assemblea Nazionale decide di trasferirsi a Versailles, esautorando di fatto Parigi dal ruolo di capitale. Nel frattempo la Federazione Repubblicana della Guardia Nazionale elegge il Comitato Centrale. Il 18 marzo Thiers mandò truppe di linea con l’ordine di rubare alla Guardia Nazionale l’artiglieria di sua appartenenza (…) Il colpo andò a vuoto; Parigi scese in campo per difendersi, come un sol uomo, e la guerra fra Parigi e il governo francese residente a Versailles fu dichiarata.
Thiers è costretto a fuggire da Parigi. Due generali governativi, Lecomte e Thomas, vengono fucilati. Su queste due figure si sofferma Marx nella sua narrazione dei fatti, ricordando, da un lato, il loro atteggiamento repressivo che, nel caso del primo, spinse le sue stesse truppe a passarlo per le armi, e, nel caso del secondo, riporta alla mente il suo precedente di massacratore nel corso del giugno del 1848 e di bonapartista di acciaio. Peraltro Marx solleva il Comitato Centrale da ogni responsabilità nell’esecuzione dei due:
Il comitato Centrale e gli operai di Parigi furono altrettanto responsabili dell’uccisione di Clément Thomas e di Lecomte quanto la principessa di Galles della sorte di coloro che morirono schiacciati il giorno del suo ingresso a Londra.
Il 19 marzo viene instaurato il governo rivoluzionario, presieduto provvisoriamente dal Comitato Centrale della Guardia Nazionale. Mentre l’Assemblea Nazionale trasferisce ufficialmente la capitale da Parigi a Versailles e non riconosce il governo rivoluzionario, il 26 si svolgono le elezioni del consiglio municipale (la Comune). La componente socialista supera quella borghese repubblicana, favorevole ad un accordo con Thiers. Si instaura il primo governo proletario della storia. Deputati e consiglieri parigini eletti sono distinguibili con una fascia rossa e a disposizione dei cittadini. Ne fanno parte 33 operai, 15 professionisti (avvocati, medici), 14 impiegati, 12 giornalisti, 5 piccoli imprenditori. Scrive Marx:
La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l’agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell’amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l’amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune.
Il 28 è proclamata la Comune che fissa nel modo seguente i suoi obiettivi: separazione dello Stato dalla Chiesa, istruzione laica e gratuita, salario operaio per chi detiene cariche pubbliche, elezione e revocabilità dei magistrati, promozione e sostegno delle associazioni dei lavoratori. Commenta Marx:
La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro.
Dai primi di aprile ha inizio la guerra civile con i primi bombardamenti organizzati da Versailles su Parigi. Nonostante ci siano le richieste di sospensione dei bombardamenti da parte dei comunardi, Thiers, al contrario, messo insieme un esercito, avanza nella periferia parigina. Il 10 maggio è firmato il Trattato di Francoforte con cui la Francia cede alla Germania Alsazia e Lorena oltre a dover pagare un’ingente indennità di guerra. Il 16 maggio, all’abbattimento della Colonna Vendome, simbolo della guerra e del militarismo, fa seguito la requisizione delle officine abbandonate dai loro padroni e affidate all’autogestione operaia. Dal 21 le truppe di Thiers, guidate da Mac Mahon, entrano in città ed iniziano un’opera meticolosa di repressione nei confronti dei comunardi. Scrive Marx:
L’eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi – uomini, donne e bambini – combattè per otto giorni dopo l’entrata dei versigliesi, rispecchia la grandezza della sua causa, quanto le azioni diaboliche della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di quella civiltà di cui essa è la vendicatrice mercenaria. Gloriosa civiltà invero, il cui problema vitale consiste nel trovare il modo di far sparire i cadaveri da lei ammucchiati, dopo che la battaglia è terminata!
Per trovare un parallelo alla condotta di Thiers e dei suoi segugi, bisogna risalire fino ai tempi di Silla e dei due triunvirati di Roma. Gli stessi eccidi in massa a sangue freddo; la stessa noncuranza nel massacro di fronte all’età e al sesso; lo stesso sistema di torturare i prigionieri; le stesse prescrizioni, ma ora di una classe intera; la stessa caccia selvaggia ai capi nascosti, per non lasciarne sfuggire nemmeno uno; le stesse denunce di nemici politici e privati; la stessa indifferenza per il massacro di persone assolutamente estranee al conflitto. La sola differenza è che i romani non avevano mitragliatrici per ammazzare in massa i prigionieri, e non avevano “la legge nelle loro mani”, né sulle labbra il grido di “civiltà”.
Il 28 maggio la Comune aveva fine. Nel modo seguente chiosa Engels:
Il “Muro dei federati” nel cimitero del Père Lachaise, dove fu consumato l’ultimo eccidio in massa, rimane ancor oggi come un muto ma eloquente documento della furibonda follia di cui è capace la classe dominante, non appena il proletariato osa farsi innanzi per far valere i suoi diritti2.
La narrazione che Marx offre al lettore delle giornate della Comune può generare l’idea che si stia parlando di un mito che, però, fu realtà: la realtà di un governo insurrezionale di operai che, seppure durato all’incirca due mesi, fu un governo. Lo stesso Marx dovette rivedere quanto ancora scriveva nel Secondo Indirizzo all’Internazionale sulla guerra franco-prussiana del 9 settembre 1870:
Ogni tentativo di rovesciare il nuovo governo nella crisi presente, mentre il nemico batte quasi alle porte di Parigi, sarebbe una disperata follia.
Si trattò, come sosterrà poi Marx nella Guerra civile in Francia, di “un governo della classe operaia” che diventò la rappresentazione concreta di quello spettro che si aggirava per l’Europa di cui Marx ed Engels avevano scritto nel Manifesto del Partito comunista. Ancora più concreto visto l’appoggio che ebbe dall’Internazionale al punto che le grandi potenze ritennero opportuno coalizzarsi in una nuova Santa Alleanza contro la diffusione internazionale di una possibile rivoluzione proletaria che, a Parigi, aveva dato prova di saper dare forma ad un governo. Per questo e nonostante la I Internazionale fosse in fase di declino (la Comune può essere vista come atto conclusivo dell’esperienza iniziata nel 1864?), comunque nel 1873 nacque la Lega dei Tre Imperatori (Austria, Germania e Russia) che può essere definita una contro-Internazionale capitalista.
La Comune fu un’insurrezione di lavoratori, considerata la composizione sociale delle donne e degli uomini che ad essa diedero vita; e fu anche una rivoluzione alimentata da notevoli elementi di socialismo. Infatti, prendendo le mosse dall’idea dell’”autogoverno dei lavoratori”, la richiesta politica andava nella direzione di interventi governativi sistematici e radicali. Lo stesso Marx era consapevole del significato transitorio dell’esperienza comunarda pur assegnando ad essa un valore esemplificativo fondamentale:
La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par dècret du peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese.
Dalla lucidità dell’analisi di Marx, fortemente intrisa di toni ironici e sprezzanti nei confronti dei rappresentanti della classe dominante francese, emerge il concetto di quell’inizio che fu, per tutte le forze rivoluzionarie future, la Comune di Parigi. Quest’aspetto è centrale nell’elaborazione di Lenin per il quale l’attualità della Comune è nella sua attualizzazione. Per Lenin, la Comune ha valore di riferimento storico in quanto essa segna l’inizio di un processo che culminerà con la Rivoluzione russa. Inoltre la Comune di Parigi è un riferimento teorico, dopo l’Ottobre, in specie in rapporto alla dittatura del proletariato, e diventa anche un modello quando a Lenin si pone l’urgenza di risolvere alcuni problemi pratici fondamentali quali l’armamento del popolo e la sostituzione dell’esercito di mestiere con una milizia permanente. In sostanza:
La Comune è la forma “finalmente scoperta” della rivoluzione proletaria sotto la quale poteva prodursi la emancipazione economica del lavoro. La Comune è il primo tentativo della rivoluzione proletaria di spezzare la macchina dello Stato borghese; è la forma politica “finalmente scoperta” che può e deve sostituire quel che è stato spezzato. Vedremo più avanti che le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 continuano, in una situazione differente, in altre condizioni, l’opera della Comune e confermano la geniale analisi storica di Marx3.
Infatti, nel rapporto tenuto l’8 marzo del 1918 al VII Congresso del Partito bolscevico, nel modo seguente Lenin sottolineava la continuità fra la Comune e i Soviet:
Dal punto di vista storico non si può negare che la Russia ha creato la repubblica dei soviet. Noi diciamo che, in qualsiasi caso, anche se dovessimo essere respinti indietro, noi, senza rifiutarci di utilizzare il parlamentarismo borghese, – se le forze di classe a noi ostili ci ricacceranno su questa vecchia posizione, – continueremo a marciare verso l’obiettivo che è stato conquistato dall’esperienza, verso il potere dei soviet, verso il tipo sovietico di Stato, verso lo Stato del tipo della Comune di Parigi4.
È interessante notare come Gramsci avesse colto la specificità metodologica dello scritto di Marx, nel quale individuava elementi in comune con tutte le opere marxiane di contenuto storico:
La pretesa (presentata come postulato essenziale del materialismo storico) di presentare ed esporre ogni fluttuazione della politica e dell’ideologia come una espressione immediata della struttura, deve essere combattuta teoricamente come un infantilismo primitivo, o praticamente deve essere combattuta con la testimonianza autentica del Marx, scrittore di opere politiche e storiche concrete. Per questo aspetto sono importanti specialmente il 18 Brumaio e gli scritti sulla Quistione Orientale, ma anche altri (Rivoluzione e Controrivoluzione in Germania, La guerra civile in Francia e minori). Un’analisi di queste opere permette di fissar meglio la metodologia storica marxista, integrando, illuminando e interpretando le affermazioni teoriche sparse in tutte le opere5.
Sembra che lo scritto marxiano del 1871 sia citato quasi in modo casuale; in realtà, proprio traendo spunto da esso, Gramsci svolge una riflessione acuta sugli esiti della sconfitta della Comune e, soprattutto, sul significato dell’uso del suffragio universale nella storia della Francia dopo la Rivoluzione della fine del secolo XVIII:
Nel 1871 Parigi ha fatto un gran passo in avanti, perché si ribella all’Assemblea Nazionale di Versailles, formata dal suffragio universale, cioè implicitamente «capisce» che tra «progresso» e suffragio può esserci conflitto; ma questa esperienza storica, di valore inestimabile, è perduta immediatamente perché i portatori di essa vengono immediatamente soppressi. D’altronde dopo il 71 Parigi perde in gran parte la sua egemonia politico-democratica sulla restante Francia per diverse ragioni: 1) perché si diffonde in tutta la Francia il capitalismo urbano e si crea il movimento radicale socialista in tutto il territorio; 2) perché Parigi perde definitivamente la sua unità rivoluzionaria e la sua democrazia si scinde in gruppi sociali e partiti antagonistici. Lo sviluppo del suffragio universale e della democrazia coincide sempre più con l’affermarsi in tutta la Francia del partito radicale e della lotta anticlericale, affermazione resa più facile e anzi favorita dallo sviluppo del così detto sindacalismo rivoluzionario. In realtà l’astensionismo elettorale e l’economismo dei sindacalisti sono l’apparenza «intransigente» dell’abdicazione di Parigi al suo ruolo di testa rivoluzionaria della Francia, sono l’espressione di un piatto opportunismo seguito al salasso del 1871. Il radicalismo unifica così in un piano intermedio, della mediocrità piccolo-borghese, l’aristocrazia operaia di città e il contadino agiato di campagna. Dopo la guerra c’è una ripresa dello sviluppo storico troncato col ferro e col fuoco nel 1871, ma esso è incerto, informe, oscillante, e specialmente privo di cervelli pensanti6.
In sostanza la sconfitta della Comune dà il via ad un lungo processo di restaurazione-rivoluzione (rivoluzione passiva) che, nota Gramsci in un altro luogo, giustifica “il sorellismo col panico successivo alle stragi parigine del 1871?”7. Tutta la questione di Sorel e del panico post-Comune è chiarita da Gramsci nel modo seguente:
Non si può comprendere il Sorel come figura di «intellettuale rivoluzionario» se non si pensa alla Francia di dopo il 70, come non si può comprendere il Proudhon senza il «panico antigiacobino» dell’epoca della Restaurazione. Il 70 〈e il〉 71 videro in Francia due terribili disfatte, quella nazionale, che pesò sugli intellettuali borghesi e la disfatta popolare della Comune che pesò sugli intellettuali rivoluzionari: la prima creò dei tipi come Clémenceau, quintessenza del giacobinismo nazionalista francese, la seconda creò l’antigiacobino Sorel e il movimento sindacalista «antipolitico». Il curioso antigiacobinismo del Sorel, settario meschino, antistorico, è una conseguenza del salasso popolare del 71 (…); da esso viene una curiosa luce per le sue Riflessioni sulla violenza. Il salasso del 71 tagliò il cordone ombelicale tra il «nuovo popolo» e la tradizione del 93: Sorel avrebbe voluto essere il rappresentante di questa rottura tra popolo e giacobinismo storico, ma non gli riuscì8.
La Comune di Parigi rappresentò la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione francese, da un lato, mentre, dall’altro, segnò la vittoria della borghesia. Scrive Gramsci:
…solo nel 1870-71, col tentativo comunalistico si esauriscono storicamente tutti i germi nati nel 1789 cioè non solo la nuova classe che lotta per il potere sconfigge i rappresentanti della vecchia società che non vuole confessarsi decisamente superata, ma sconfigge anche i gruppi nuovissimi che sostengono già superata la nuova struttura sorta dal rivolgimento iniziatosi nel 1789 e dimostra così di essere vitale e in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo9.
Quindi, senza “sollecitare il testo” di Gramsci, sembra di capire che per lui la Comune fu l’episodio ultimo di “guerra manovrata” a cui seguì un lungo periodo di incubazione di una nuova “guerra manovrata” che, in Europa, avrebbe avuto la Prima Guerra Mondiale come volano. Ma, si chiede Gramsci, almeno in Francia, dove erano i “cervelli pensanti”, i dirigenti, gli intellettuali che avrebbero dovuto dirigere con il fine di una nuova “guerra manovrata”?
C’è, al di là di tutte le considerazioni di ordine teorico e politico, un elemento che avvicina in maniera indiscutibile Marx, in specie il Marx della Guerra civile in Francia, a Gramsci: la critica a quella modernità che intende la storia come terreno sul quale si muovono a loro piacimento le classi dominanti che, pur sottoposte a continue crisi, sembra che riescano sempre e comunque a sopravvivere, anche più forti di prima. Contro questa concezione della storia si muovono all’unisono il pensatore di Treviri e il comunista sardo al punto che si potrebbe assumere come luogo di riferimento per entrambi un passaggio di una lettera di Gramsci al figlio maggiore Delio, finora letta soltanto in un’ottica affettivo-sentimentale, privandola, invero, del suo autentico valore di approccio alla storia delle classi subalterne di cui la lotta dei comunardi parigini del 1871 fu manifestazione teorico-pratica oltre ogni legittimo dubbio; invitando il figlio a studiare la storia, Gramsci gli ricorda che essa
…riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi…10.
Concependo la storia in questo modo, risulterà difficile che essa possa presentarsi una volta come tragedia e la seconda volta come farsa; nella storia dei subalterni non c’è farsa ma soltanto tragedia da cui liberarsi: questo è il senso profondo della Comune di Parigi che si concretizza attraverso le parole di Marx.
Lelio La Porta, Prefazione a K. Marx, La guerra civile in Francia, a cura di P. Togliatti, Editori Riuniti, Roma, 2018.
note
1 Tutte le citazioni, salvo diversa indicazione, sono tratte da K. Marx, La guerra civile in Francia, a cura di P. Togliatti, Editori Riuniti, Roma, 2018. Scrive Engels nell’Introduzione all’edizione tedesca del 1891, ventesimo anniversario della Comune parigina, della Guerra civile in Francia: “… il 28 gennaio 1871, Parigi, sfinita dalla fame, capitolò; ma con onore senza precedenti nella storia delle guerre”. L’Introduzione engelsiana va tenuta nel giusto conto in quanto fornisce un quadro storico di riferimento esaustivo anche rispetto agli eventi di lungo periodo che condussero dapprima alla guerra franco-prussiana e, poi, alla Comune.
2 Per chi, oggi, si rechi nel Cimitero parigino è quasi obbligatorio recarsi presso il “Muro dei comunardi”, lì dove molti e molte di loro furono fucilati dall’esercito di Thiers e dove ancora, sul muro, compaiono i segni delle pallottole dei massacratori.
3 Lenin, Stato e rivoluzione in id., Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 19763, p. 893
4 Lenin, La Comune di Parigi, a cura di E. Santarelli, Editori Riuniti, Roma, 19773, p. 153
5 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975 (l’indicazione del luogo della citazione è fornita attraverso il numero del Quaderno, la nota e la/le pagina/e): Q7, 24, 871-2
6 Ivi, Q13, 37, 1648-1649
7 Ivi, Q15, 11, 1766.
8 Ivi, Q11, 66, 1498
9 Ivi, Q13, 17, 1581-1582
10 A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Antonio A. Santucci, Sellerio, Palermo 20172, pp. 807-808; ora anche in A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di F. Giasi, Einaudi, Torino, 2020, p. 1069.