di Raul Mordenti – pubblicato sulle pagine di Rifondazione Comunista il 19 aprile
Nella forsennata campagna della stampa con l’elmetto schierata per la guerra si è superato ogni limite di decenza quando un mascalzone ha osato interpretare la ‘p’ della sigla dell’ANPI come iniziale di “putiniani” invece che di partigiani. L’accusa di “putinismo” è usata di continuo come un manganello (è il caso di dirlo) contro chiunque fedele alla Costituzione ripudi la partecipazione italiana alla guerra con l’invio delle armi, si permetta di volere la pace e si batta per il cessato il fuoco e la trattativa che pongano fine al massacro in atto.
Se queste ossessive e violente accuse di putinismo non risparmiano neanche la cultura e la scienza, Dostoevsky, il balletto Lago dei cigni, etc., e neppure il Papa, tuttavia i comunisti e le comuniste sono come sempre, non a caso, il bersaglio principale di questa campagna di odio.
La saggezza popolare suggerisce una definizione precisa di questa campagna condotta dalla destra ultra-atlantica: è il bue che, all’ombra delle proprie cospicue corna, accusa l’asino di essere cornuto.
Spicca fra i mass media con l’elmetto in testa il quotidiano “La Repubblica”. Ebbene quel giornale ha pubblicato per sei anni addirittura un supplemento di propaganda putiniana che al tempo non si poteva leggere senza ridere (e oggi senza piangere): i successi di Putin e delle sue scelte, le meraviglie della democrazia putiniana, l’eccellenza della sua personalità e perfino un concorso per decidere democraticamente il nome del suo cagnolino. Il “Fatto” ha meritoriamente riproposto una piccola antologia di queste lodi (vulgo: “marchette”) pubblicate dal quotidiano ora diretto da Molinari e ha anche avanzato una precisa domanda: quanto ha incassato da Putin in cambio di questi servizietti l’editore di “Repubblica”? Aspettiamo ancora la risposta. Gli ingenui sospettano che non fossero estranee a quella campagna nemmeno le esigenze di commercio internazionale delle industrie a cui “Repubblica” è – come dire? – sensibile, ad esempio la vendita a Putin di armi e veicoli di guerra prodotti da aziende partecipate dall’ex gruppo Fiat.
Per restare all’area politica di riferimento del Pd, la socialdemocrazia europea, basterà ricordare che uno dei suoi numi ispiratori, l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, ha fatto parte addirittura dei vertici di Gazprom, la plurimiliardaria industria energetica russa.
Del membro dell’attuale maggioranza di governo, Matteo Salvini si ricorda un solenne patto con Putin, sottoscritto per sancire la fraternità fra la Lega e il partito putiniano “Russia unita”; in quel contratto (firmato nel 2017 e tuttora in vigore) l’art.1 prevede fra l’altro “scambi di informazioni su temi relativi ai due stati (…) nonché su relazioni bilaterali e internazionali”, e si noti che Salvini era al tempo Ministro degli Interni e che la Lega fa a tutt’oggi parte del Governo Draghi-Pd-M5S-FI. Naturalmente questo patto Salvini-Putin è solo la punta di un iceberg che nella sua parte sommersa presenta ancora una volta affari e attività di mediazione commerciale e finanziamenti. La convergenza della Lega con Putin è tanto profonda perché risale alla condivisione della proposta strategica dell’ideologo putiniano Aleksandr Gel’evič Dugin. Costui è definito da Wikipedia “il principale ideologo dell’eurasiatismo contemporaneo, che ha coniugato con il tradizionalismo integrale, principalmente René Guénon e Julius Evola, e con il pensiero di Martin Heidegger” (rinvio per la descrizione di questo rapporto Lega-Dugin a un bel libro di Wu Ming, Cent’anni di Nordest, edito da Alegre). La proposta di Dugin è un’Europa cristiana e “bianca” che si contrapponga all’inquinamento della globalizzazione pluto-giudaico-protestante e liberale, combattendo aspramente l’immigrazione, l’omosessualità, la libertà delle donne e la democrazia (e papa Bergoglio). Del tutto consonante con Dugin è Steve Bannon, che rappresenta l’ala americana della medesima internazionale sovranista nera. Costui, consigliere del Partito Repubblicano americano di Trump, è sodale di Giorgia Meloni, che nel settembre 2018 lo ha accolto ed osannato alla festa di Fratelli d’Italia intitolata Atreju, annunciando l’intenzione di iscriversi al movimento neo-con di Bannon, così allineandosi con la Le Pen e Bolsonaro. Anzi la “Scuola internazionale dei sovranisti” di Bannon doveva avere sede in Italia, presso la Certosa di Trisulti, comprata con l’aiuto degli amici italiani (ma il progetto non è andato in porto, anche per un incidente giudiziario che ha portato all’arresto dell’amico della Meloni accusato di frodi).
Non è da meno del duo putinista Salvini-Meloni anche Silvio Berlusconi, che definiva Putin (cito alla lettera) “una persona rispettosa degli altri, un riflessivo, un uomo profondamente liberale è uno che mantiene la parola data, è veramente un democratico, io lo conosco da più di 15 anni …”. Il famoso “lettone di Putin” di cui si vantava Berlusconi evidentemente era il pegno di questa bella amicizia fra simili.
Questi dunque gli amici di Putin nel Governo Draghi e nel centrodestra, che dai loro giornali e dalle loro Tv accusano noi comunisti di essere putiniani.
Da Rifondazione e dalla Sinistra Europea, al contrario, ci sono state in questi anni solo costanti e motivate condanne della politica estera di Putin (a cominciare dalla Cecenia) non meno che della sua politica interna, caratterizzata dalla dittatura, dalle privatizzazioni e dal dominio delle oligarchie di regime.
Davvero: che c’entrano i comunisti e le comuniste di Rifondazione con Putin? Per quello che può valere un fatto personale, il militante di Rifondazione che scrive queste righe produsse e diffuse nel 2016 un Dossier sui rapporti fra Putin e il neofascismo legaiolo italiano ed europeo, anzi non avendo ottenuto chiarezza su questo punto da alcuni elementi della redazione del giornale LCF (che pure aveva contribuito a fondare) ruppe ogni rapporto con loro.
Noi comunisti/e non dimentichiamo che il putinismo rappresenta l’incarnazione stessa della negazione del socialismo e del tentativo di “assalto al cielo” dell’Ottobre, avendo attuato la più colossale privatizzazione della storia, quella del patrimonio pubblico costruito in settant’anni dal proletariato dei Soviet; ed è proprio questo ciò che ha reso tanto graditi all’Occidente prima Eltsin (anche quando sparava sul parlamento russo) e poi il suo degno successore Putin. Alla negazione del socialismo si accompagna coerentemente la rivalutazione dello zar e la teocrazia reazionaria rappresentata da Kirill, il patriarca ortodosso di tutte le Russie.
Il fatto che Putin sia tutto questo orrore, e che Zelensky coi suoi nazisti non sia niente di meglio, non impedisce affatto ai pacifisti di volere che il massacro di Ucraini e Russi si fermi, che la NATO, cioè Biden, la smetta di fornire armi, di spingere come sta facendo in questi giorni affinché la guerra continui, e sia la più lunga e sanguinosa possibile (come ha scritto Fubini sul “Corriere della Sera”). E diventa ogni giorno più chiaro che Biden, cioè la NATO, non vuole nessuna trattativa e si oppone sempre più apertamente alla cessazione della guerra, da cui trae evidenti vantaggi economici e politici (a spese dell’Europa), dando luogo a un’escalation che non può non portare alla guerra atomica.
È talmente coerente e limpida la nostra posizione contro Putin e contro la NATO che – magari con un piccolo sforzo – dovrebbero riuscire a capirla perfino i “giornalisti” arruolati dagli USA e dalle industrie di armi, a meno che l’elmetto che indossano non gli impedisca di vedere l’evidenza.
Foto di Rifondazione Comunista