“Dai palazzi superbi si passa alle casaccie nere. Nelle città, accecati da luci o fumi, gli uomini diventano idrofobi”
Primo dei tre temi inediti – di Giovanni Della Casa su “il Fatto Quotidiano” del 24 giugno 2022
Non si dee l’uomo contentare di fare le cose buone, ma dee studiare di farle anco leggiadre.
Rileggo sempre con piacere quell’agilissima prosa che il Carducci premise ai suoi Levia Gravia; non solo per i pregi estrinseci che quelle parole possono avere, ma specialmente perché mi pare che alcune tirate che lo scrittore fa contro gli uomini del suo tempo, potrebbero, con lievi varianti, venire attribuite alla generazione presente. E potrei ripetere, senza paura di esagerare, che se l’epoca che trascorse dal 66 all’80 fu una delle più antiestetiche, la presente credo lo sia ancora di più. Non che un’età abbia in sé un tal vizio d’origine che non possa produrre niente di bello; che anzi io credo, che in ogni tempo e in ogni luogo, chi senta bollire nel proprio cervello fantasmi di bellezza e di arte, possa fingersi una sua favola bella. Io credo appunto che il torto dell’età moderna sia quello di avere disgiunto l’arte e la bellezza dalla vita comune, di aver relegato tutte le più belle espressioni del sentimento artistico nei Musei e nelle Gallerie, dove solo gli iniziati sono ammessi al culto della divinità. Si permise che il popolo imbarbarisse in una ributtante volgarità, che piano piano s’infiltrasse la convinzione che noi moderni, pratici e spregiudicati, dobbiamo disprezzare tutto ciò che non interessa il nostro utile immediato; avvenne, se si potesse così dire l’americanarsi della vecchia Europa.
Qualche volta è vero, si sente pure il bisogno di qualche opera che servisse come affermazione o come ricordo; e allora vennero eretti quegli orribili monumenti, quelle idropiche costruzioni che, afferma il Carducci, fanno venire l’itterizia del brutto.
Non si può negare che in questi ultimi anni una certa rinascita sia avvenuta; perché pare sia stato principalmente capito che molti mali che ci affliggono derivano appunto da questa volgarità che ci circonda. Perché, si dica ciò che si vuole, ma in fondo all’uomo c’è pure qualche cosa che aspira a salire, a purificarsi in aere più spirabile; anche nella vita comune avviene di osservare certi piccoli fatti che denotano, che se il gusto degli uomini si è traviato, pure esiste in lui l’amore per il bello. La massaia che adorna le pareti della sua casetta di orribili litografie, o il pastore che adorna la sua zucca di fregi barocchi, esprimono in questi modi primitivi il loro amore per la bellezza. La società dovrebbe incanalare e raffinare questi istinti appena appariscenti, dovrebbe impedire certe sconcezze che ora si verificano.
Ricordo con piacere il giorno che nelle pagine di una rivista, potei vedere l’attuazione che in Inghilterra si sta facendo delle città giardino. Immaginavo di vedere realmente quei villaggi formati di casettine eleganti nella loro semplicità, rallegrate da un pezzettino di aiuola, simpatiche nei loro colori allegri senza essere deturpanti; e poi le paragonai alle case che compongono i nostri villaggi e anche le nostre città; casette di fango, malamente innalzate, bigie e scabbiose, sporche e disadorne; e pensai all’accorante desiderio delle nostre donne di avere un pezzo di terra, dove poter soddisfare il loro desiderio di un po’ di fiori. Nelle città poi il disaccordo è ancora più stridente: dai palazzi superbi delle loro dorature bizantineggianti e policromatiche, si passa alle casaccie nere e tetre, alle viuzze umide e fetenti, che sembrano grotte stillanti umidità e melanconia da ogni poro. E poi si va a ricercare la causa della nevrastenia dei moderni nel sovraccarico di lavoro! dovrebbe invece ricercarsi nella mancanza di soddisfazione del sentimento estetico. L’agricoltore torna a casa e dovendo rimanere in una stanzaccia lurida, fra i suoi animali domestici e non domestici, preferisce andare in una bettola e si rovina alcolizzandosi. Nelle città, continuamente lacerati da stridenti fischi di sirene, o accecati da luci o da fumi nauseanti, gli uomini diventano idrofobi a lungo andare. Come siamo lontani dalla vita dei Greci o da quella del nostro Rinascimento: l’euritmia dominava in tutte le manifestazioni della vita; anche durante le più rudi fatiche l’occhio si posava su una linea aggraziata, su una figurina svelta e elegante, e la pupilla si dilatava dal piacere, e l’animo s’addolciva, e il pensiero non trascorreva su immagini lubriche e urtanti, ma andava fingendosi gentili fantasmi e annodava i diversi fili d’una graziosissima tela. Allora soltanto si avrà la catarsi aristotelica, quando in tutte le manifestazioni predominerà lo spirito dell’artista; e allora l’animo si purificherà dalle male passioni, e sognerà più alti ideali. Ma… fuggir le ninfe a piangere ne’ fiumi occulte e dentro i cortici materni… e chissà semmai più ritorneranno a rallegrare con la loro presenza i figli degli uomini!
Se cade in qualche leggera esagerazione, in massimo Ella dice cose sensate, e ragionevoli e in buona forma.
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