C’è un modo sinuoso per accreditare una certa visione anticomunista della Resistenza. Ieri ne ha dato un saggio Federico Fubini sul “Corriere della sera”, considerato la nave ammiraglia della borghesia lombarda e italiana nel campo della carta stampata.
Dunque la notizia sarebbe un documento anonimo ritrovato nell’Archivio centrale dello Stato, ufficio del Ministero dell’interno – forse dei servizi segreti dice Fubini stesso riportando l’opinione di uno storico serio Massimo Franzinelli – il quale afferma che i comunisti italiani tra il ’44 e il ’45 tentarono di gonfiare il numero dei partigiani del Pci a Roma e nel Lazio da 1.200 a 14 mila. La data del foglietto è 19 settembre 1945. Il dattiloscritto ce l’ha con l’allora “Ufficio patrioti, il cui personale – secondo l’anonimo spione – è pressoché totalmente comunista”.
Di contro a questo foglietto anonimo stanno i risultati finali della “Commissione per il riconoscimento della qualifica di partigiano combattente, patriota, ferito, caduto in base al Decreto legge luogotenenziale del 21 agosto n. 518” sono allegati al libro “Il sole è sorto a Roma”, edito nel 1965 a cura di Roberto Forti e Lorenzo D’Agostini, con prefazione di Giorgio Amendola e patrocinato dall’Anpi comitato provinciale di Roma.
In questo documento, pressoché definitivo – le sedute della Commissione finirono nel 1950 in rappresentanza del Pci c’erano Carlo Salinari, Rosario Bentivegna e Gino Mangiavacchi – sono elencati tutti i membri della Resistenza romana e laziale per aderenti alle innumerevoli formazioni, circa 52. Quelli del Pci sono 2.336, suddivisi in 1.178 partigiani combattenti e 1.064 patrioti. Anche sommando ad essi i 2098 comunisti di “Bandiera Rossa” si arriva a meno di un terzo del totale dei 15.424 partigiani e patrioti di ogni tendenza politica, che, come sa chi ha un po’ di memoria storica, furono solo la punta di un iceberg di quella che fu la Resistenza romana che si espresse in tanti altri modi, pubblici e privati, molto profondi ed estesi.
In sostanza il Fubini prende un anonimo foglietto dattiloscritto non firmato né redatto su carta intestata e lo propone come possibile verità rispetto a un documento ufficiale che dice tutt’altro. E Fubini ipotizza che il tutto sia attribuibile alla volontà di Togliatti: “Sembra dunque molto verosimile, – scrive infatti – se non proprio probabile, che Togliatti abbia esercitato pressioni per far apparire più importante il contributo del suo partito alla liberazione della capitale”. Il titolo dell’articolo era già insinuante: “Chi moltiplicò i partigiani”. La risposta di Fubini è: Togliatti.
Certo, l’uomo è prudente, non siamo mica su “Libero”, “Il Giornale”, “La Verità” e robaccia del genere, siamo sul “Corriere della sera” perbacco!, e perciò Fubini ammanta di dubbi l’affidabilità del dattiloscritto. In fondo, se si tratta di servizi segreti, bisogna pur considerare che sono rimasti quelli in esercizio ai tempi di Mussolini, riciclati in monarchici e badogliani e poi atlantici e antidemocratici, deviati e devianti, in una continuità inossidabile che neanche la Resistenza riuscì a scalfire.
Che lo sforzo dei comunisti italiani e delle altre forze di sinistra, socialisti e azionisti, fosse quello di fare della Resistenza una “guerra di popolo” quanto più partecipata e popolare di contro alla volontà Alleata e dei conservatori di ridurla ai sabotaggi, è cosa risaputa e fece parte della dialettica interna al vasto fronte antifascista allora operante in Italia e sul piano internazionale. I comunisti volevano una tale guerra per due motivi fondamentali. Uno nazionale, per riscattare l’Italia dal fascismo di fronte alle altre nazioni che avevamo aggredito e l’altro per affrettare la fine della guerra le cui conseguenze continuavano a pesare sulle spalle dei lavoratori, delle classi subalterne e le masse popolari. Ma per averne contezza non c’è bisogno di ricorrere a foglietti anonimi ed erigerli a scoop, per altro di assai dubbia veridicità su quel che dissero, basterebbe studiare un po’ la storia.
In sostanza dalla pagina di Fubini esce che Togliatti truccava i numeri – oddio al segretario del Pci, allora come ancora oggi, è stato imputato ben di peggio – e per Fubini è quello che conta. Non l’inaffidabilità dell’anonimo foglietto, non i risultati finali e ufficiali di una Commissione apposita.
Il revisionismo storico grufola in questi trogoli ammantati da ricerca storica e s’ingrassa.
E anche una certa superficialità giornalistica confinante con la cialtroneria.
Credit immagine di copertina: autore sconosciuto, anteriore al 1964, PD