Le quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943)
Sono trascorsi ottant’anni dal 1943. La memoria va vivificata; non si può ritenere di vivere in un eterno presente come se quel passato, così tragico per il nostro paese, dovesse essere messo in soffitta. Cogliere nella Resistenza di Napoli e del Sud, dopo Porta San Paolo a Roma, il punto di avvio del movimento che portò alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo significa legare quel momento alla vicenda che lo precedette e di cui fu la naturale, spontanea, popolare conseguenza. Sono tre articoli, che presenteremo in tre parti, comparsi su «La Rinascita della sinistra» nel 2003 e che vengono riproposti con alcune integrazioni di cui ringrazio il compagno Roberto Del Fiacco.
La prima parte (25 luglio 1943) e la seconda (8 settembre 1943) sono state pubblicate, rispettivamente, domenica 17 settembre e domenica 24 settembre, questa è la terza e ultima parte
I tedeschi forse non pensavano che gli avvenimenti di Boves (Cuneo) il 19 settembre, di Matera (21 settembre) e di Bosco Martese (Teramo) appena qualche giorno dopo (25-27 settembre) sarebbero stati l’inizio del biennio che va sotto il nome di Resistenza; e per loro, e i loro collaboratori fascisti, l’inizio della fine. Soprattutto a Boves i nazisti, dopo aver inutilmente attaccato un gruppo di uomini, reduci dell’esercito italiano, guidati da Ignazio Vian, si lasciarono andare ad un’autentica orgia di sangue, incendiando il paese ed uccidendo 24 persone fra cui il parroco che fa bruciato vivo. Ricorda Battaglia, lo storico della Resistenza: “La prima azione di rappresaglia condotta in Italia, utile da ricordare anche per mettere cronologicamente a posto le cose, per smentire l’idea che il sistema del terrore sia stato introdotto come reazione al movimento partigiano già maturo e minaccioso e non abbia invece contrassegnato fin dall’inizio la dominazione nazista”.
Nel frattempo, a Napoli, il colonnello Scholl emana un proclama con cui impone lo stato d’assedio, il coprifuoco e la consegna delle armi dopo che i suoi uomini si sono resi responsabili di stragi e massacri, oltre ai saccheggi e alle distruzioni il più delle volte gratuite, che hanno falcidiato la popolazione civile creando un crescente clima di opposizione al regime di terrore stabilito dall’occupante nazista. La città partenopea, inoltre, è sotto pressione: gli alleati sono sbarcati a Taranto, risalgono la penisola dalla Calabria, combattono a Salerno.
II 24 settembre un appello fascista invita i cittadini a mobilitarsi al fianco dei tedeschi. Risultato: rispondono in 150 su una previsione di 30.000. A questo punto il colonnello Scholl opera un giro di vite avvertendo (25 settembre) che chi non si fosse presentato sarebbe stato fucilato. Ormai il nazista è identificato senza mezzi termini con l’oppressore contro il quale bisogna agire usando ogni mezzo.
I nazisti sono talmente sicuri di sé che lasciano abbandonati i depositi di armi o di munizioni nonché le caserme che, nella notte tra il 27 e il 28 settembre, divennero luogo di un continuo andirivieni di uomini e di donne alla ricerca di viveri e di armamento.
Il proclama fascista del 24 settembre era stato ormai stracciato simbolicamente dai napoletani che avevano invece scelto nel senso opposto: contro i tedeschi e contro gli stessi fascisti.
Già nel pomeriggio e nella sera del 27 si verificarono i primi episodi di sollevazione culminati nell’inseguimento al Vomero di due guastatori tedeschi.
II 28 la rivolta esplode a causa del rastrellamento di 8.000 uomini da destinare alla deportazione in Germania. Dal Vomero e da Chiaia fino a Piazza Nazionale, dove viene eretta la prima barricata, a Moiarello di Capodimonte dove un gruppo di insorti blocca una colonna di carri Tigre. Un temporale determina lo stallo delle operazioni. Ha scritto Battaglia che “mai un esercito moderno fu attaccato in tal modo e fu sgominato da un avversario così privo di mezzi, così imprevisto e così audace”.
Il 29 l’insurrezione raggiunge l’apice. Si costituiscono comandi partigiani in varie zone della città: il più importante al Vomero, nella sede del Liceo Sannazaro, dove il comunista Antonino Tarsia fissa il quartier generale del Fronte unico rivoluzionario; si combatte ovunque con accanimento e si mette in mostra un giovane capitano dell’esercito italiano, Vincenzo Stimolo, già mutilato in guerra. Al campo sportivo del Vomero il presidio comandato dal maggiore Sakau chiede di trattare la resa. Scholl ordina l’evacuazione del campo sportivo e la restituzione di 47 ostaggi ivi detenuti. È l’inizio della capitolazione nazista.
Il 30 i combattimenti continuano e i tedeschi, nel corso della ritirata, lastricano le strade con gli ammazzati per rappresaglia.
Alla Pigna, nella masseria Pezzalonga, si svolge un violento corpo a corpo: è l’ultimo vero combattimento delle Quattro Giornate. Ha scritto Robert Capa (il famoso fotografo, ungherese naturalizzato statunitense, autore dello scatto nel 1936 a Cordova in cui appare il soldato repubblicano in camicia bianca colpito dai franchisti durante la guerra civile spagnola), testimone dei fatti: “La stradina che conduceva all’albergo era bloccata da una piccola folla di persone, in silenzio davanti a una scuola. Non era una fila per il cibo: tutti avevano in mano soltanto il cappello. Restai in attesa, in fondo al gruppo. Entrando all’interno della scuola, fui subito avvolto da un odore dolciastro di fiori e di morte. Nella stanza c’erano venti piccole bare, fatte alla buona, coperte a malapena dai fiori e che non riuscivano a contenere anche i piedi sporchi di alcuni bambini, già abbastanza adulti da combattere i tedeschi ed esserne uccisi ma troppo grandi per venire sepolti in casse così piccole. Questi bambini di Napoli avevano rubato armi e proiettili e combattuto i tedeschi per quei giorni durante i quali eravamo rimasti immobilizzati al valico di Chiunzi. I piedi di questi bambini furono il mio autentico benvenuto all’Europa, la terra dove ero nato. Molto più vero dell’eccitata accoglienza gridata dalla folla di persone incontrate lungo la strada e molte delle quali, soltanto un anno prima, avevano urlato «Viva il Duce!». Mi tolsi il berretto e presi la macchina fotografica. Puntai l’obiettivo sui volti delle donne distrutte dal dolore, che stringevano in mano le foto dei loro bambini morti. Scattai fino al momento in cui le bare furono portate via. Queste foto sono la testimonianza più vera e sincera della vittoria: immagini scattate al semplice funerale di una scuola”.
Il primo ottobre ha luogo l’ultima rappresaglia: dal bosco di Capodimonte la città è sottoposta ad un violento bombardamento che procura terrore e morte fra i civili fino quasi mezzogiorno. Alle 13,00 le avanguardie alleate entrano nella città ormai liberata.
I tedeschi si accaniscono allora sulle memorie di Napoli: infatti, a San Paolo Belsito, presso Nola, danno alle fiamme l’Archivio storico di Napoli. Il popolo napoletano ha lasciato sul terreno 152 combattenti, 140 caduti civili e 19 ignoti, più 162 feriti. Ha scritto Luigi Longo: “Dopo Napoli la parola d’ordine dell’insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu d’allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana”.
Non è solo Napoli che insorge; tutto il Mezzogiorno è in rivolta: Acerra il primo ottobre, tutta la zona bracciantile della Terra di Lavoro, dove più consolidata era l’organizzazione del Pci e, perciò, più consapevole la lotta contro il fascismo. Ed ancora Lanciano, che insorge fra il 4 e il 6 di ottobre e, nonostante i tedeschi fossero riusciti a sedare l’insurrezione, i lancianesi non abbandonarono la città nascondendosi ovunque.
Al racconto dei fatti vanno aggiunte alcune considerazioni intorno alle giornate napoletane che consentiranno di capire il perché della loro rimozione, o comunque di una non completa e spesso inesatta ricezione presso l’opinione pubblica democratica, del loro significato fondamentale nell’ottica della Resistenza e dell’avvio di un ampio movimento insurrezionale nel Mezzogiorno.
Benedetto Croce, sfollato a Sorrento al tempo dell’insurrezione napoletana, mentre pone attenzione alla ripresa dell’attività politica da parte degli antifascisti meridionali, annota sul suo diario, quasi in maniera distratta, di conoscere “quel che è accaduto in Napoli nella settimana dell’occupazione tedesca”. Quasi a voler sottolineare l’importanza davvero secondaria da lui attribuita ad un moto popolare causato dai bisogni della gente comune.
Non vanno dimenticati i fascisti che, non avendo avuto l’ardire di combattere in campo aperto contro i partigiani partenopei, hanno collaborato assiduamente con i nazisti attraverso un’indefessa opera di delazione oppure trasformandosi in cecchini pronti a colpire dall’alto, senza essere visti. Peraltro, la valutazione che la radio fascista propone delle Quattro Giornate è apertamente filotedesca in quanto vengono presentate come opera di “bande armate di comunisti, agli ordini di inglesi fuggiti dalla prigionia”.
A questa notizia, chiaramente falsa, si aggiungerà l’altra, altrettanto falsa, che le giornate napoletane non erano frutto di alcun eroismo in quanto il nemico era rappresentato da un esercito, quello tedesco, ridotto ai minimi termini e in fuga. La falsità della prima notizia sta nel fatto che intellettuali e operai, impiegati ed artigiani, combatterono insieme sulle barricate contro i nazisti ed i fascisti; l’organizzazione venne dopo, nel vivo della battaglia.
L’infondatezza della seconda notizia sta nel fatto che nel settembre del 1943 l’esercito tedesco era più che efficiente visto e considerato che bloccò per quasi un anno l’avanzata alleata sulla linea di Cassino. Altro che Wehrmacht malridotta e in rotta; i partigiani napoletani batterono un esercito forte e ben armato.
Cosa furono, al dunque, le Quattro Giornate di Napoli? Nel fornire la risposta ci soccorrono, oltre ai classici della storia della Resistenza, anche le ricerche dell’Istituto campano per la storia della Resistenza, i cui materiali sono di importanza fondamentale per comprendere i fatti e le loro conseguenze. Le giornate napoletane furono, oltre che l’epicentro di quel terremoto insurrezionale che investì il nostro Mezzogiorno nell’autunno del 1943, il primo esempio, nell’Europa occupata dai nazisti, di guerriglia urbana i protagonisti della quale furono giovani, studenti, donne, proletari, popolani. Ci furono anche esponenti politici, ma presi alla sprovvista dagli eventi stessi; insomma, a voler ripetere, gli insorti si fornirono di un embrione di organizzazione durante la rivolta stessa.
Come si vede, ricollegando gli eventi di cui qui si è scritto all’8 settembre di Porta San Paolo a Roma, ne sortisce il quadro omogeneo di un movimento di riscossa popolare che non è riducibile a jacquerie, ma è frutto di una vera e propria insubordinazione sempre più diffusa. Un movimento che, ammesso ce ne sia ancora bisogno, dimostra una volta di più che il Mezzogiorno fu in prima fila, e primo in ordine di tempo, nella lotta di Resistenza e nella manifestazione di un inevitabile scontro fra dominazione nazista, con annesse connivenze fasciste, e popolo italiano.
Immagine in evidenza: Targa celebrativa collocata a palazzo S. Giacomo nella sede del Municipio di Napoli
Bel ricordo. Complimenti.