Mercoledì 15 novembre su “la Repubblica” è uscito un lungo duetto fra Corrado Augias e Marco Minniti. Il tema, introdotto dal direttore Maurizio Molinari, era quanto mai interessante, il titolo lo recitava così: “Il senso della Patria per la sinistra”.
La tesi di Augias è che nel dopoguerra il Pci ha regalato l’idea di Patria “ai neofascisti per il loro uso esclusivo”. E questo perché “il vecchio Partito Comunista […] il concetto di Patria ha rifiutato a lungo”. Marco Minniti, da parte sua, fa risalire la cosa sia all’uso nazionalistico e smodato di cui il fascismo di Mussolini fece uso del concettodi Patria sia alle ascendenze ideologiche marxiste del Pci basate – interloquisce Augias – sull’internazionalismo del “Proletari di tutti i paesi unitevi”. Lui, in verità, dice “Lavoratori di tutto il mondo unitevi” ma non fa niente, il senso è lo stesso.
È verissimo che i comunisti, come la maggioranza dei socialisti del resto da cui si scissero, fu antipatriottica. Ma antipatriottiche, e con qualche ragione, erano le stesse masse popolari anche cattoliche e non solo perché facevano riferimento a ideologie universalistiche, cosa verissima, ma perché le classi dominanti le avevano escluse, anche violentemente, dalla conquista dell’unità d’Italia nell’ottocento. Alla grande massa dei contadini ai primi nuclei operai e artigiani il Risorgimento non era apparso tanto nazionale e patriottico. Respinte, ma anche utilizzate (Garibaldi), le istanze repubblicane e anche quelle federaliste di un Cattaneo la Patria italiana, monarchica e piemontese si era presentata con la tassa sul macinato, gli stati d’assedio, la leva militare obbligatoria, la guerriglia anti contadina mascherata da guerra al brigantaggio, l’incameramento delle terre ecclesiastiche dai nuovi borghesi liberali mentre i medesimi contadini vedevano che i loro signori latifondisti, in combutta con i borghesi parvenu, indossavano la coccarda tricolore e istituivano la “guardia nazionale” contro di loro a difesa della “sacra proprietà” terriera.
Con la Resistenza e la guerra di Liberazione nazionale c’è un arrovesciamento del Risorgimento. Alla testa della riconquista della Patria ci sono le forze popolari e progressiste. Il tricolore viene depurato dalla “ranocchia” monarchica, la Costituzione fa dell’Italia una Repubblica e una Patria democratica avnzata. Non viene meno l’internazionalismo ma fra questo e il momento nazionale si crea un nuovo e più avanzato equilibrio. Non per caso le brigate partigiane del Pci si chiamano “Brigate Garibaldi”.
È falso, come dice Augias, che il Pci nel dopoguerra lasci la bandiera del patriottismo ai fascisti eredi di Salò. Basterebbe leggere i manifesti del Pci, le pubblicazioni, i suoi organi di stampa come “l’Unità”, “Rinascita”, “Il calendario del popolo” “Vie Nuove”, “Critica marxista” ecc., o solo lo Statuto del partito per rendersi conto dell’impostazione patriottica nazionale e internazionalista dei comunisti italiani e della loro costante battaglia anche con parti recalcitranti della loro base popolare. Nel febbraio del 1952 esce il periodico dell’Anpi, allora diretta da partigiani comunisti vivi e vegeti, e non per caso si chiama “Patria Indipendente”. Togliatti, ancora alla II Conferenza operaia comunista di Milano nel 1961, invitò gli operai, in occasione del centenario dell’unità d’Italia, a mettere il tricolore accanto alla bandiera rossa. Ma di esempi dell’orientamento patriottico dei comunisti, da Togliatti a Longo a Secchia, se ne potrebbero fare moltissimi.
Su altre cose del cordiale “duetto” ci sarebbe da dire e da ridire: da Pannella padre del divorzio (Augias) che spinge alla battaglia un riottoso Pci berlingueriano, al ’56 ungherese equiparato, per ciò che riguarda il Pci, al ’68 cecoslovacco (Minniti). Per parafrasare il finale di Augias “è bene che, invece, ci fermiamo”.
Soprattutto per carità di Patria.
Per tutti, è una lettura interessante “Possa il mio sangue servire – Uomini e Donne della Resistenza” di Aldo Cazzullo, interamente basato su lettere di patrioti Resistenti, tra cui anche di militanti comunisti.