Il compagno Aldo Tortorella compie oggi gli anni, l’Associazione «parliamo di socialismo» lo vuole festeggiare proponendo le conclusioni di un suo saggio intitolato Berlinguer aveva ragione. Note sull’alternativa e la riforma della politica, pubblicato nel 1994 per le «Edizioni di Critica Marxista».

Berlinguer aveva ragione. Note sull’alternativa e la riforma della politica

di Aldo Tortorella

A me pare vi sia in Berlinguer, e particolarmente nella ultima parte del suo lavoro, una traccia da riscoprire per l’oggi, pur in una situazione radicalmente diversa. Quando ci furono i funerali di Berlinguer, venne anche Gorbaciov, non ancora presidente dell’Unione sovietica. Oggi l’Urss non c’è più e Gorbaciov dirige un istituto di ricerca, braccato da Solgenitsyn.

Nella ex-Jugoslavia ci si ammazza ferocemente, come in altri paesi dell’Est, in Africa, in Asia. Però, tra Israele e i palestinesi si avvia un processo di pace, nel Sud Africa è finita l’apartheid, e in America al posto di Reagan c’è Clinton.

In Italia, come si sa, al governo, anziché i progressisti e gli eredi del Pci variamente collocati, sono andati, all’interno di una variopinta coalizione, tutti gli uomini del vecchio Msi, uniti e ribattezzati. La libertà d’antenna ha trovato la sua soluzione nel potere personale d’un capo, di cui già si tessono encomi mirabolanti. La nuova legge elettorale maggioritaria impone le coalizioni, ma le coalizioni sono litigiose e già si pensa ad un sistema che costringa ad un bipartitismo più netto o all’elezione diretta dell’esecutivo.

Le sinistre si devono unire, se vogliono avere una prospettiva, e, anzi, la loro unione non basterà se non ci sarà un accordo con il centro dei popolari.

A che servirà mai Berlinguer, un uomo e un dirigente politico che non ha mai smesso di credere, addirittura, nella necessità di una trasformazione di tipo socialista? Se una sinistra vuol essere vincente – si dice – deve smetterla con le utopie, con i vacui ideologismi, con sogni e trastulli infantili. Fatevi uomini: ci sono problemi concreti, diteci come si debbono risolvere.

Obietterei che il primo problema concreto è quello di capire innanzitutto che cosa è successo a sinistra.

Aveva pienamente ragione Berlinguer e aveva torto Craxi e torto quelli che pensavano che sulla linea imboccata dal Partito socialista ci potesse essere una prospettiva. O che, fallito Craxi, andasse bene Martelli. Era una linea e una teoria politica, non solo gli uomini in cui si incarnava, che non andava e portava fuori strada.

Era sbagliato pensare che Berlinguer fosse un moralista e un apocalittico, che esagerasse con la «questione morale», che volesse il socialismo per «via giudiziaria». All’inizio degli anni ottanta i giudici si mossero, ma le loro inchieste furono soffocate dalla maggioranza di pentapartito con l’abuso della immunità. Se si fosse fatta giustizia dieci anni prima, sarebbe stato certamente meglio.

Era sbagliato pensare che fosse settaria la linea di Berlinguer e che portasse ad un pernicioso isolamento. Al contrario. Era vero che da quel modo di essere dei partiti bisognava stare lontano il più possibile, e denunciarne le malefatte ancora più severamente. Dove anche il vecchio Pci si fece convincere dalla logica craxiana e ne accettò i metodi, esso e la sua memoria sono crollati e al suo posto non è fiorito nulla, com’è accaduto in vaste plaghe lombarde.

Non era vero che Berlinguer avesse esagerato nella denuncia di un attacco alla condizione dei lavoratori e delle contraddizioni nel tipo di sviluppo. Il salario reale è diminuito. La disoccupazione è un male ormai cronico. Il Terzo mondo non solo non si risolleva, ma sprofonda. La questione ambientale diventa più preoccupante.

Non era vero che tutta quella attenzione di Berlinguer ai cattolici fosse il risultato di una specie di fissazione unitaria: ancora oggi i cattolici democratici sono una realtà e se sbandano a destra è un altro disastro.

Non c’è neppure bisogno di ricordare che avevano torto tutti quelli che attaccarono Berlinguer per il cosiddetto «strappo»; semmai il suo pessimismo pur radicale sull’Urss si è rivelato inferiore alla realtà.

Tutto questo non significa affatto ritenere che Berlinguer avesse ragione su ogni cosa e che si possano trovare nella sua azione o nei suoi scritti ricette salvifiche. Egli – come tutti – era figlio della cultura del suo tempo.

A lungo aveva sperato – come tanti di noi, come l’intellettualità di sinistra di molta parte del mondo – che, forse, la costruzione sovietica potesse essere riformata e democratizzata. La sua medesima idea della politica di unità democratica aveva in sé una sottovalutazione non sanabile degli interessi reali presenti sul campo.

Nell’analisi della degenerazione dei partiti Berlinguer non andò sino in fondo nell’esame dei difetti del proprio partito: parlò di burocratismo, di verticismo, di opportunismo, di necessità di una nuova vita democratica interna, ma – certo – alla denuncia non seguì sempre una ricerca adeguata. La stessa attenzione alle organizzazioni e ai movimenti sociali non gli suggerì una compiuta riforma del modo di essere del suo partito.

Tutto questo, se non sbaglio, rinvia ad una formazione culturale che fu quella assolutamente prevalente nel gruppo dirigente del Pci, con una forte impronta data dalla replica di Gramsci a Croce, ma anche dal sistema di idee che pur sempre Croce aveva affermato. Una cultura, dunque, ferma ad una tradizione nobilissima e per tanti aspetti fruttuosa, innanzitutto per il suo radicale antidogmatismo, ma insufficiente dinnanzi all’avanzamento delle scienze sociali e umane.

E, tuttavia, pur constatando questo limite, chi aveva allora e chi ha avuto dopo una qualche formula risolutiva? Ancora oggi, quello che sta in piedi a sinistra è per buona parte l’opera compiuta dal vecchio partito comunista. Purtroppo, il mutamento del nome non ha prodotto, finora, un partito realmente nuovo.

È importante dunque ricordare su quanti e decisivi punti Berlinguer abbia avuto nettamente ragione per chiedersi quali ne sono i motivi. Perché altri, studiosi anche valenti o politici di professione, hanno tanto sbagliato su Craxi, sul Psi, sulla questione morale, sulle previsioni nello sviluppo economico e sulle sorti del sistema politico italiano?

A me sembra che vi sia stato, in molti, una grave miopia. Una sinistra riformatrice o riformistica non poteva nascere gettando via il bagaglio di cultura critica elaborato da tanta parte del pensiero d’ispirazione socialistica e comunistica, e liberandosi dalle aspirazioni, dalle idealità, dalla tensione morale, dalle speranze. Certo che vi erano ideologismi di cui disfarsi. Ma occorreva o no una analisi della società e delle sue ingiustizie? Naturalmente se scrivo la parola «ingiustizia» debbo cercare di capire perché e in riferimento a che cosa la scrivo. So bene che «l’aspirazione alla giustizia» può condurre al peggio, so bene che l’immagine della società perfetta non solo può portare al peggio, ma certamente vi porta. Dunque, è indispensabile una cultura critica anche rispetto alle medesime aspirazioni e speranze.

Ma era appunto questa la strada su cui si era incamminato Berlinguer. Un quotidiano inglese ha scritto – dopo le rivelazioni su Tangentopoli – che l’Occidente dovrebbe riflettere sul perché, in definitiva, rifiutò Berlinguer e preferì Craxi.

Non era vero che la motivazione interiore di Berlinguer – quella «utopia dei tempi lunghi» – portasse fuori strada, fuori da una «cultura di governo». Al contrario quella idea della politica impegnava ad una ricerca per congiungere il realismo delle soluzioni al bisogno di correggere storture, soprusi, ingiustizie, escludeva una lotta per il potere come fine a se stesso, chiedeva serietà, lavoro, rigore morale.

Non ebbero paura tante donne e tanti uomini lontani o lontanissimi dai comunisti a votare per quel vecchio partito di Berlinguer. Questo accadde per tanti motivi. Ma anche per il fatto che sentivano che quell’uomo credeva profondamente e veramente in una causa di libertà e di giustizia.

E se alla sua morte fu salutato da un milione di donne e uomini con un affetto e una commozione come non si videro mai, è perché se lo era meritato.

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