Martedì 3 settembre Ezio Mauro nell’ottava puntata del suo “Romanzo russo” è tornato a parlare del “Testamento di Lenin”. Al di là dello scritto di Mauro il tema del passaggio da Lenin a Stalin è da non sottovalutare ai fini di una riflessione storica e storicista sulla costruzione del socialismo in Urss.

Di cosa si tratta? Di una lettera, scritta dal rivoluzionario russo tra il 22 e il 26 dicembre, – con una aggiunta riguardante la proposta della rimozione di Stalin da segretario del 4 gennaio successivo – indirizzata al Congresso del Partito comunista russo (bolscevico) che doveva rimanere segreta e aperta solo dopo la sua morte. In essa si davano giudizi su Trotzkij, Stalin, Zinoviev e Kamenev, Bucharin e Pjatakov e si faceva la proposta di aumentare di 50 ai 100 membri del CC tratti dagli operai di fabbrica. Quella lettera passò poi alla storia come il “Testamento di Lenin”.

Le preoccupazioni di Lenin per il nazionalismo “grande russo”

Lenin, è consapevole che, dopo il secondo colpo apoplettico del 9 dicembre, gli rimane poco da vivere ed è ossessionato, a ragione, dalla possibile scissione del suo Partito comunista. Egli vede con lucidità che il partito bolscevico è sottoposto a una pressione esterna non solo del mondo contadino ma anche del mondo “grande russo”, più in generale, col suo nazionalismo impastato di concezioni feudali e di usi e costumi conservatori e “asiatici” cui i bolscevichi stanno piano piano diventando preda. Affiorano segni di una certa predisposizione autoritaria (amministrativa) già in alcuni comportamenti di dirigenti di partito come i georgiani Ordžonikidze, Stalin e il polacco Dzeržinskij, fondatore della Ceka che non hanno saputo governare in Georgia la delicata questione nazionale che è un altro dei temi centrali in quel momento della formazione dell’Urss che viene fondata il 30 dicembre 1922.

Molti bolscevichi russi non si rendono conto della distinzione leniniana fra il “nazionalismo della nazione oppressiva” e quello “della nazione oppressa” cioè “il nazionalismo della grande nazione e il nazionalismo della piccola nazione” e non sono in grado di “difendere gli allogeni della Russia dall’invasione dell’uomo veramente russo, da quello sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo. Per Lenin non vi è dubbio che la percentuale degli operai sovietici senza una continua battaglia contro il nazionalismo grande-russo “affogherà in questa marmaglia sciovinista grande-russa, come una mosca nel latte”.

La Nep

La sua scelta della Nuova politica economica (Nep), dopo il comunismo di guerra adottato durante la spietata guerra civile, è stata strategica anche se presentata come una scelta tattica e provvisoria una specie di “ritirata strategica”. La consapevolezza di fondo del rivoluzionario russo è che con essa bisogna avanzare verso il socialismo. Per questo prende in considerazione il 27 dicembre 1922 anche un potenziamento del Comitato statale per la pianificazione (Gosplan) attribuendogli funzioni legislative. Gli ultimi scritti sulla centralità della “cooperazione” nell’economia sovietica, dove i grandi mezzi di produzione sono in mano allo Stato operaio, è, secondo Lenin, fondamentale per i contadini, non solo dal punto di vista economico ma anche culturale a cominciare dall’alfabetizzazione.

Il contadino con la Nep commercia – scrive Lenin il 4 gennaio 1923 – “ora alla maniera asiatica, ma per essere un buon mercante, bisogna commerciare all’europea. Da ciò lo divide un’epoca intiera”. Perciò spetta ai bolscevichi affrontare la questione con pazienza, tenacia ed entusiasmo per colmare questo gap storico rispetto all’Europa civilizzata. Certo non è l’entusiasmo dell’Ottobre ’17 e della “marcia trionfale” dei soviet che ne seguì nei mesi successivi un po’ in tutto lo sterminato paese russo, né è la tenacia dimostrata nella guerra guerra civile; è qualcosa di diverso che attiene ai tempi lunghi di un processo lungo più simile alla “guerra di posizione” che non a quella di “movimento” su cui rifletterà Gramsci anni dopo.

Lenin, comunque, non ha alcun dubbio sul fatto che fosse giusto nell’Ottobre del ’17 prendere il potere perché quell’atto ha avuto un impatto mondiale anche se in Europa occidentale non c’è stata quella rivoluzione che, dopo la conclusione della Prima Guerra mondiale, sembrava incipiente, particolarmente in Germania, e che costituì uno dei motivi, forse il principale, che Lenin adoperò per spingere il partito bolscevico a insorgere per prendere il potere.

In compenso, Lenin osserva in seguito, che la Rivoluzione di Ottobre ha risvegliato in Asia rivolgimenti nazionali anticoloniali e rivoluzionari. I quali, poi, avrebbero avuto i loro effetti in tempi più lunghi.

La vecchia burocrazia zarista

L’altra preoccupazione è la burocrazia. Lenin parte dalla consapevolezza che “il Nostro apparato statale, se si eccettua il Commissariato del popolo degli affari esteri, è, più di ogni altro, una sopravvivenza di quello passato ha subìto serie modificazioni. è soltanto stato riverniciato un po’ in superficie, ma per il resto è rimasto un tipico relitto del nostro vecchio apparato statale”. Di qui la sua proposta il 23 gennaio al XII Congresso del partito per una riorganizzazione dell’Ispezione operaia e contadina collegato alla Commissione centrale di controllo del partito in un tempo dove inevitabilmente le funzioni del partito si sovrapponevano e confondevano con quelle dello Stato. Anche qui Lenin pensa e propone di eleggere 75-100 operai e contadini nella Commissione con tutti i diritti dei membri del CC e riorganizzare l’Ispezione riducendola a 200-400 impiegati ben selezionati e ben pagati.

La preoccupazione per il partito

Ma al centro della sua preoccupazione più grande vi è il motore di tutto: il partito. Il “Testamento” a questo proposito fa alcune proposte e osservazioni. Lenin parte dalla considerazione che “Il nostro partito si fonda su due classi e perciò è possibile la sua instabilità ed è inevitabile il suo crollo se fra queste due classi non potesse sussistere un’intesa. In questo caso sarebbe inutile prendere queste o quelle misure e in generale discutere della stabilità del nostro CC. Non vi sono misure, in questo caso, capaci di evitare la scissione. […] Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questione della stabilità siano certi membri del CC come Stalin e Trockij. I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio parere, dovrebbe servire, tra l’altro, l’aumento del numero dei membri del CC a 50 o a 100 persone. Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D’altro canto, il compagno Trockij come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell’attuale CC, ma ha anche una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi. Queste due qualità dei due capi più eminenti dell’attuale CC possono portare alla scissione e se il nostro partito non prende misure per impedirlo, la scissione può avvenire improvvisamente”. Poi prosegue. “Non continuerò a caratterizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l’episodio di cui sono stati protagonisti nell’ottobre Zinov’ev e Kamenev non fu certamente casuale, ma che d’altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trockij. Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bucharin e Pjatakov. Sono queste, secondo me, le forze più eminenti (tra quelle più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bucharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teorico del partito, ma è considerato anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue concezioni teoriche solo con grandissima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di scolastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialettica). Ed ora Pjatakov: è un uomo indubbiamente di grandissima volontà e di grandissime capacità, ma troppo attratto dal metodo amministrativo e dall’aspetto amministrativo dei problemi perché si possa contare su di lui per una seria questione politica. Naturalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presupposto che ambedue questi eminenti e devoti militanti trovino l’occasione di completare le proprie conoscenze e di eliminare la propria unilateralità”.

Il 4 gennaio successivo aggiunse una nota che proponeva la rimozione di Stalin da segretario del CC. Carica di scarso rilievo all’origine ma che il futuro dittatore dell’Urss, fin dalla sua nomina all’ XI Congresso del partito, aveva sfruttato per consolidare la sua persona tramite nomine amministrative di numerosi quadri del partito bolscevico. “Stalin è troppo grossolano, – scrisse Lenin – e questo difetto, del tutto tollerabile nell’ambiente e nel rapporto tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell’impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotzkij, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un’importanza decisiva”.

Gli errori

Secondo la mia opinione è che accanto all’intuizione profetica del maggior pericolo per i bolscevichi dal contrasto possibile fra Trotzkij e Stalin, come poi si verificò, anzi proprio per questo Lenin fece almeno due errori.

Il primo fu di rendere questo suo Testamento apribile solo dopo la sua morte che avvenne un anno dopo nel gennaio 1924 quando ormai nel partito era già in corso una lotta per il potere fra Trotzkij e il triumvirato di Stalin, Kamenev e Zinoviev. Lenin stesso ebbe un terzo ictus il 9 marzo 1923 dopo di che cessò ogni attività.

Il secondo fu che, indicati i limiti dei compagni presi in esame – Stalin, Trotzkij, Kamenev, Zinoniev, Bucharin, Pjatakov -, il problema della direzione del partito rimaneva insoluto e non poteva essere certo risolto con l’aumento nel CC degli operai di fabbrica. Paradossalmente sembrava quasi che quel partito non potesse fare a meno di Lenin, della sua direzione e della lucidità del suo pensiero politico.

Il XIII Congresso bolscevico

Quando la moglie di Lenin, Nadežda Krupskaja, chiese di portare a conoscenza del XIII Congresso dei bolscevichi il suo “Testamento”, i giochi a favore di Stalin dentro al partito comunista russo per gran parte erano già fatti. Fu Zinoviev, con l’appoggio di Kamenev e il tacito supporto di Stalin, suoi alleati nel cosiddetto triumvirato, che alla riunione del CC propose di portarlo a conoscenza non di tutti i delegati al Congresso come avrebbe voluto Lenin, ma solo dei capi delegazione. Inoltre Zinoviev respinse la proposta postuma di Lenin di rimuovere Stalin da segretario del CC. Curiosamente con la non opposizione di Trotzkij e degli altri. In questo il racconto di Ezio Mauro coincide sostanzialmente con quello di Edward Carr nel suo volume “La morte di Lenin. L’interregno” edito da Einaudi 1965. C’è solo una diversità ripresa dai ricordi di Trotzkij. Se la riunione fu di tutto il CC o solo del “Senior convent” un organismo informale del medesimo CC tuttavia la votazione finale, 30 a 10 fra cui la Krupskaja, riportato sia da Mauro che da Carr, ci dice che fu una votazione di tutto il CC che, per l’appunto, contava 40 membri eletti al XII Congresso. Secondo Roy Medvedev nel suo volume “Lo Stalinismo” edito da Mondadori nel 1972 il “Testamento” fu conosciuto dai delegati al XV Congresso del Pcr(b) nel 1927 ma non ebbe seguito, soffocato in vari modi dallo stalinismo incipiente. La cosa sarebbe da verificare approfonditamente perché nel 1927 Stalin era già ampiamente vincitore, se non proprio dominatore nel Pcr(b) diventato dal Congresso precedente Pcu(b) e perciò sembra assai improbabile che in quella condizione di dominio staliniano sul partito il Testamento di Lenin potesse essere conosciuto dai delegati al Congresso.

Il socialismo in un paese solo

Stalin, tra l’altro, – altro nodo decisivo della storia russa, che ebbe riflessi non secondari su quella dei comunisti in tutto il mondo organizzati nel Komintern, su cui riflettere – aveva ottenuto la sua vittoria sulle opposizioni adottando senza riserve il concetto del “socialismo in un solo paese” presentato al XIII Congresso nel ’24 da Bucharin per contrapporlo alla “rivoluzione permanente” di Trotzkij. Indubbiamente la parola d’ordine del “socialismo in un solo paese” ebbe più presa sul partito e sulle masse russe, suscitandone un certo orgoglio nazionale, di fronte alle sconfitte della rivoluzione collezionate dai comunisti in Europa occidentale, soprattutto in Germania. Altra cosa fu, in seguito, la curvatura nazionalistica basata sulla liquidazione della Nep leninista datale da Stalin in vista di una modernizzazione accelerata della Russia con il passaggio alla collettivizzazione forzata nelle campagne.

Il socialismo che ne venne fuori ebbe le caratteristiche staliniane di dittatura personale e, insieme, di modernizzazione della Russia accompagnate da un’innegabile ed estesa promozione sociale di operai e, in parte, di contadini delle vecchie classi subalterne al sistema semi feudale zarista. Quel socialismo, poi, ebbe una funzione determinante nella distruzione del nazifascismo nel quadro della grande alleanza antifascista con Usa e Gran Bretagna; e, nel bene e nel male, fu di sponda, punto di riferimento e aiuto al gigantesco movimento di liberazione anticoloniale e antimperialista scaturito dalla Seconda guerra mondiale.

Considerazioni
La prima. Credo che sia indispensabile riflettere sui passaggi storici decisivi della storia del socialismo in Russia per capire il perché quel sistema è poi crollato. Non basta, non è mai bastato, rifarsi alla malevolenza degli avversari.

La seconda. Il modo di avanzare verso il socialismo propugnato da Lenin – Nep fondata sull’alleanza non tattica ma strategica con i contadini – era radicalmente diverso da quello poi attuato da Stalin. Gli ultimi scritti suoi oltre al Testamento sono inequivocabili.

La terza. Era possibile mantenere il pluralismo dentro al partito bolscevico, come propugnava Lenin, senza dare vita a una qualche forma di pluralismo corrispondente a quello economico della Nep?

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